Lunedì, 10 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni
Un incontro durante un viaggio in treno, un segnale del karma di giornaliste e scrittrici viaggiatrici: ci siamo conosciute pochi anni fa con Tiziana, in libreria, alla presentazione di un libro che narrava di viaggi in qualche modo, non perché l’autore di spostava di chilometri nelle sue pagine, ma perché attraversava il mondo con le sue diverse lingue e culture, un chiasmo simbolico di incontri. Si trattava dello scrittore pakistano residente a Londra Aamer Hussein, citato anche ne “La manutenzione della meraviglia”.
L’autrice stessa spiega titolo e copertina e il senso è tutto lì, in quella citazione de’”L’arte della manutenzione della motocicletta”, letto in giovane età, del principio zen della conservazione dello stupore per la vita, per le piccole cose e il valore della meditazione; per Tiziana della meditazione buddista alla quale allude una monaca che stende un bucato singolare al sole, i cuscini monocromi del tempio: siamo nel sud della Francia, un episodio narrato nel libro. La fotografia è stata scattata nel 2009 a Plum Village, il ritiro del maestro buddista vietnamita Thich Nhat Hanh. C’è nel libro, le cui pagine scorrono con il flusso e il ritmo di un viaggio che trascina, ma potrebbero essere altresì righe sulle quali soffermarsi a lungo, per una meditazione appunto – ognuno scelga il suo ritmo e il suo mood – una freschezza quasi fanciullesca, il senso del meravigliarsi davanti alla natura, una sana curiositas verso le storie umane molto lontani però, a mio avviso, dalla sensibilità greca descritta da Aristotele. Avverto un senso indefinito, forse perché molto lontano da me, sconosciuto, che ingenuamente e genericamente mi sento di chiamare oriente. Nulla a che fare con l’orientalismo, il fascino romantico del lontano. L’autrice, al contrario, è consapevole e porta l’Oriente, lo trova e lo vive, lo coltiva anche a casa propria. Si avverte un’intimità e una fusione che non è intellettuale, ma vissuta nella sue pagine. C’è un’evidente consapevolezza come di se stessa, non avulsa da una divertente autoironia, nella sua percezione del tempo e nel parlare del proprio corpo come dotato di un’età indefinita da sempre. E a mio parere è proprio così. Finalmente una persona che si sa guardare allo specchio.
La recensione integrale su Saltinaria.it
martedì 11 febbraio 2014
lunedì 10 febbraio 2014
Presentazione del libro di Alfonso Campisi " Voyageurs arabes en Sicile normanne", Venerdì 14 febbraio a Tunisi
Venerdì 14 febbraio 2014 alla libreria Millefeuille de la Marsa, ore 17.00
Presentazione del nuovo libro di Alfonso Campisi " Voyageurs arabes en Sicile normande" Ed. MC.
La prefazione è del prof. Habib Kazdaghli, Decano de la Manouba.
Ilaria Guidantoni che ha raccontato spesso nei suoi libri questo luogo di incontro parteciperà alla presentazione
Presentazione del nuovo libro di Alfonso Campisi " Voyageurs arabes en Sicile normande" Ed. MC.
La prefazione è del prof. Habib Kazdaghli, Decano de la Manouba.
Ilaria Guidantoni che ha raccontato spesso nei suoi libri questo luogo di incontro parteciperà alla presentazione
Editoriaraba - I sei finalisti al premio per la narrativa araba 2014
Nella conferenza stampa in onda live dal sito del premio per la narrativa araba 2014 sono stati annunciati i titoli dei sei romanzi finalisti:
Youssef Fadel, Un raro uccello blu che vola con me, Dar al-Adab (Marocco)
Abdelrahim Lahbibi, I viaggi di Abdi, figlio di Hamriyya, Africa East (Marocco)
Inaa Kachachi, Tashari, Dar al-Jadid (Iraq)
Khaled Khalifa, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, Dar al-Ayn (Siria)
Ahmed Mourad, L’elefante blu, Dar el-Shorouq (Egitto)
Ahmed Saadawi, Frankenstein a Baghdad, al-Jamal (Iraq)
Su twitter potete seguire l’hashtag #IPAF2014 o l’account di 7iber @7iber.
Il vincitore verrà annunciato il 29 aprile ad Abu Dhabi, la sera prima dell’inaugurazione della fiera del libro dell’emirato.
Youssef Fadel, Un raro uccello blu che vola con me, Dar al-Adab (Marocco)
Abdelrahim Lahbibi, I viaggi di Abdi, figlio di Hamriyya, Africa East (Marocco)
Inaa Kachachi, Tashari, Dar al-Jadid (Iraq)
Khaled Khalifa, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, Dar al-Ayn (Siria)
Ahmed Mourad, L’elefante blu, Dar el-Shorouq (Egitto)
Ahmed Saadawi, Frankenstein a Baghdad, al-Jamal (Iraq)
Su twitter potete seguire l’hashtag #IPAF2014 o l’account di 7iber @7iber.
Il vincitore verrà annunciato il 29 aprile ad Abu Dhabi, la sera prima dell’inaugurazione della fiera del libro dell’emirato.
Editoriaraba - Yasmine Ghata a Venezia, Bergamo e Roma ospite del Festival della narrativa francese 2014
E' diffidenza definire Yasmine Ghata come un’esponente della letteratura francofona e se parlarne su un blog che si occupa di letteratura araba sia a tutti gli effetti corretto.
Yasmine Ghata, nata in Francia nel 1975, studi alla Sorbonne e all’ École du Louvre, una specializzazione in arte islamica, figlia della poetessa libanese Venus Khoury-Ghata, nonché nipote di una degli ultimi esponenti dell’arte calligrafica.
La nonna paterna dell’autrice infatti, vissuta nella Istanbul di inizio Novecento, pare sia stata l’ultima discendente della grande scuola della calligrafia arabo-ottomana.
E proprio a questa donna-nonna d’eccezione Yasmine Ghata ha dedicato il suo primo romanzo, La notte dei calligrafi (trad. dal francese di Yasmina Melaouah), pubblicato in italiano da Feltrinelli nel 2005, tradotto in 13 lingue, con cui l’autrice ha vinto nel 2007 il Premio Grinzane Cavour – autore esordiente, il premio libanese Kadmos e il premio Prince Pierre de Monaco.
Il filone esplorato da Ghata è quello dell’elaborazione del lutto, personale e collettivo, che l’autrice affronta con una scrittura elegante e immaginifica. E d’altronde in un’intervista pubblicata sul blog della casa editrice Del Vecchio la scrittrice ha affermato: “Vorrei vivere in un paese tra Oriente e Occidente, tra il reale e l’immaginario”.
Il tema del lutto riferito alla figura paterna lo troviamo nel secondo libro pubblicato in italiano proprio da Del Vecchio, La bambina che imparò a non parlare (trad. dal francese di Angelo Molica Franco). Il padre assente, scomparso, ricordato, ritorna nell’ultimo romanzo, che Ghata presenterà al pubblico italiano in questi giorni: Concerto per mio padre (trad. dal francese di Angelo Molica Franco), in cui la scrittrice si immerge in un mondo fatto di strumenti musicali, arabeschi e perdite dolorose:
“Ma cambiare le corde di un târ equivale a cambiare la sua stessa anima e quella del musicista che lo possiede. E adesso che sono qui, rinchiuso con mio fratello Nur in questa cella di polvere e silenzio a scontare una condanna inclemente e sconosciuta, adesso che la vista mi sta abbandonando e che non riesco più a distinguere il giorno dalla notte, adesso che questo buio diventa sempre più mio senza voce e senza sguardi, ho paura. Ho paura di non tornare mai più.”
Il tour italiano prevede tre tappe:
12 febbraio, ore 16.00 @ Venezia
Incontro insieme alla scrittrice Nahal Tajadod – Università Cà Foscari, Auditorium Santa Margherita
13 febbraio, ore 16.00 @Bergamo (città alta)
Università di Bergamo, piazza Rosate, sala 2
14 febbraio, ore 17.30 @Roma
Bibliocaffè letterario, via Ostiense 95
* Piccola nota sulle copertine: pollice verso per quella di Feltrinelli, grandi applausi invece per Del Vecchio e la copertina di Concerto per mio padre, che è una piccola opera d’arte e che tra colori, immagini e ghirigori, trova spazio per inserire il nome del traduttore
Yasmine Ghata, nata in Francia nel 1975, studi alla Sorbonne e all’ École du Louvre, una specializzazione in arte islamica, figlia della poetessa libanese Venus Khoury-Ghata, nonché nipote di una degli ultimi esponenti dell’arte calligrafica.
La nonna paterna dell’autrice infatti, vissuta nella Istanbul di inizio Novecento, pare sia stata l’ultima discendente della grande scuola della calligrafia arabo-ottomana.
E proprio a questa donna-nonna d’eccezione Yasmine Ghata ha dedicato il suo primo romanzo, La notte dei calligrafi (trad. dal francese di Yasmina Melaouah), pubblicato in italiano da Feltrinelli nel 2005, tradotto in 13 lingue, con cui l’autrice ha vinto nel 2007 il Premio Grinzane Cavour – autore esordiente, il premio libanese Kadmos e il premio Prince Pierre de Monaco.
Il filone esplorato da Ghata è quello dell’elaborazione del lutto, personale e collettivo, che l’autrice affronta con una scrittura elegante e immaginifica. E d’altronde in un’intervista pubblicata sul blog della casa editrice Del Vecchio la scrittrice ha affermato: “Vorrei vivere in un paese tra Oriente e Occidente, tra il reale e l’immaginario”.
Il tema del lutto riferito alla figura paterna lo troviamo nel secondo libro pubblicato in italiano proprio da Del Vecchio, La bambina che imparò a non parlare (trad. dal francese di Angelo Molica Franco). Il padre assente, scomparso, ricordato, ritorna nell’ultimo romanzo, che Ghata presenterà al pubblico italiano in questi giorni: Concerto per mio padre (trad. dal francese di Angelo Molica Franco), in cui la scrittrice si immerge in un mondo fatto di strumenti musicali, arabeschi e perdite dolorose:
“Ma cambiare le corde di un târ equivale a cambiare la sua stessa anima e quella del musicista che lo possiede. E adesso che sono qui, rinchiuso con mio fratello Nur in questa cella di polvere e silenzio a scontare una condanna inclemente e sconosciuta, adesso che la vista mi sta abbandonando e che non riesco più a distinguere il giorno dalla notte, adesso che questo buio diventa sempre più mio senza voce e senza sguardi, ho paura. Ho paura di non tornare mai più.”
Il tour italiano prevede tre tappe:
12 febbraio, ore 16.00 @ Venezia
Incontro insieme alla scrittrice Nahal Tajadod – Università Cà Foscari, Auditorium Santa Margherita
13 febbraio, ore 16.00 @Bergamo (città alta)
Università di Bergamo, piazza Rosate, sala 2
14 febbraio, ore 17.30 @Roma
Bibliocaffè letterario, via Ostiense 95
* Piccola nota sulle copertine: pollice verso per quella di Feltrinelli, grandi applausi invece per Del Vecchio e la copertina di Concerto per mio padre, che è una piccola opera d’arte e che tra colori, immagini e ghirigori, trova spazio per inserire il nome del traduttore
"Sono più forte di te. Una storia di stalking" di Andrea Rosselli
Venerdì, 07 Febbraio 2014 Ilaria Guidantoni
Una storia di malattia, perché lo stalking è una malattia: la si contrae per contagio e il sintomo della paura può essere il miglior alleato del virus, determinando la lenta ed inesauribile fine della vittima che può morire per consunzione, ovvero rassegnarsi a sopravvivere; qualche volta morire sotto i colpi della violenza del virus che non sempre si arrende.
Questa è la storia di una ragazza giovane e matura, consapevole, che proviene da una famiglia solida, con la quale ha confidenza, un lavoro stabile e comune, com’è quello dell’impiegato di banca, amici e un passato recente con qualche storia che ci immaginiamo fresca e sana. Ecco la parola giusta per definire la protagonista, sana. Per questo il romanzo che potrebbe essere la trascrizione di una storia vera è credibile ed è al contempo drammaticamente realistico. Scritto come un diario, ne conserva l’immediatezza e la freschezza, i cambi d’umore, con una scrittura spontanea, senza particolari rifiniture o guizzi, ma piacevole. Le pagine scorrono e commuovono, in certi punti fanno sorridere e mi ricordano tante storie che ho letto di autodistruzione di donne affette da disturbi del comportamento alimentare, un altro volto dei disagi del comportamento affettivo, dall’anoressia, alla bulimia fino all’obesità.
Colpisce la capacità dell’autore, un uomo. Andrea Rosselli, al suo terzo libro, per la sensibilità nell’identificazione che aggiunge valore ad un testo che nella mia lettura è dedicato soprattutto agli uomini, come ogni testo che parla alle vittime femminili. Il libro è un buon compagno di viaggio perché non racconta una storia ‘estrema’, una donna dai connotati disturbati che non giustificano certamente nessun tipo di violenza ma che la rende, almeno apparentemente, circoscritta e in qualche modo evidenzia una relazione connivente tra vittima e carnefice.
La recensione integrale su Saltinaria.it
Una storia di malattia, perché lo stalking è una malattia: la si contrae per contagio e il sintomo della paura può essere il miglior alleato del virus, determinando la lenta ed inesauribile fine della vittima che può morire per consunzione, ovvero rassegnarsi a sopravvivere; qualche volta morire sotto i colpi della violenza del virus che non sempre si arrende.
Questa è la storia di una ragazza giovane e matura, consapevole, che proviene da una famiglia solida, con la quale ha confidenza, un lavoro stabile e comune, com’è quello dell’impiegato di banca, amici e un passato recente con qualche storia che ci immaginiamo fresca e sana. Ecco la parola giusta per definire la protagonista, sana. Per questo il romanzo che potrebbe essere la trascrizione di una storia vera è credibile ed è al contempo drammaticamente realistico. Scritto come un diario, ne conserva l’immediatezza e la freschezza, i cambi d’umore, con una scrittura spontanea, senza particolari rifiniture o guizzi, ma piacevole. Le pagine scorrono e commuovono, in certi punti fanno sorridere e mi ricordano tante storie che ho letto di autodistruzione di donne affette da disturbi del comportamento alimentare, un altro volto dei disagi del comportamento affettivo, dall’anoressia, alla bulimia fino all’obesità.
Colpisce la capacità dell’autore, un uomo. Andrea Rosselli, al suo terzo libro, per la sensibilità nell’identificazione che aggiunge valore ad un testo che nella mia lettura è dedicato soprattutto agli uomini, come ogni testo che parla alle vittime femminili. Il libro è un buon compagno di viaggio perché non racconta una storia ‘estrema’, una donna dai connotati disturbati che non giustificano certamente nessun tipo di violenza ma che la rende, almeno apparentemente, circoscritta e in qualche modo evidenzia una relazione connivente tra vittima e carnefice.
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giovedì 6 febbraio 2014
Editoriaraba - Kotobi.com e la rivoluzione dell’ e-kitab
Gli e-book, o e-kitab, nel mondo arabo presto potrebbero diventare una realtà a tutti gli effetti. È stato lanciato nei giorni scorsi Kotobi, il primo negozio online arabo per e-book, e per i lettori di letteratura araba (in arabo) questa è una di quelle notizie che si aspettava da tempo.
Perché è importante che gli e-book siano diffusi nel mondo arabo?
Il primo e più importante motivo è la distribuzione, che nel mondo arabo è praticamente inesistente. Gli e-book potrebbero anche essere un modo per aggirare la censura governativa che limita la circolazione e la vendita dei libri soprattutto in alcuni paesi. Se gli e-book diverranno davvero una realtà affermata nei paesi arabi, potrebbe profilarsi una vera rivoluzione per i lettori di questi Paesi. Per chi legge in arabo ma non vive nei paesi arabi, inoltre, diventerà molto più facile poter comprare finalmente testi originali in arabo senza farseli spedire dal Cairo o da Beirut.
La notizia l’hanno data i ragazzi di ex Libris – Digital Orient Express, il primo e-book store italiano specializzato in libri dal Mediterraneo e Medio Oriente, che così scrivono sul loro sito:
Kotobi.com – “اقرب مكتبة اليك“ è il primo negozio online arabo per ebook. Il progetto è proprietà della Vodafone ed è stato presentato ieri al Cairo. Appena possibile su Editoriaraba ci saranno i formati a disposizione dei lettori e come avviene il download dei file.
Oltre 40 editori sono già presenti nello store con circa 400 titoli in formato digitale.
Kotobi.com nasce dall’analisi della situazione del mercato editoriale cartaceo arabo: pochi lettori, poche librerie tradizionali, problemi di distribuzione. Ecco quindi una soluzione, non solo per gli editori ma, a quando dice il sito, anche per gli autori.
Dobbiamo aspettarci presto anche una piattaforma di self-publishing? Quello che è certo è che Kotobi mira a far crescere il contesto editoriale arabo e soprattutto il numero di lettori arabofoni, perché “la lettura è un ingrediente chiave per lo sviluppo di ogni nazione”.
Perché è importante che gli e-book siano diffusi nel mondo arabo?
Il primo e più importante motivo è la distribuzione, che nel mondo arabo è praticamente inesistente. Gli e-book potrebbero anche essere un modo per aggirare la censura governativa che limita la circolazione e la vendita dei libri soprattutto in alcuni paesi. Se gli e-book diverranno davvero una realtà affermata nei paesi arabi, potrebbe profilarsi una vera rivoluzione per i lettori di questi Paesi. Per chi legge in arabo ma non vive nei paesi arabi, inoltre, diventerà molto più facile poter comprare finalmente testi originali in arabo senza farseli spedire dal Cairo o da Beirut.
La notizia l’hanno data i ragazzi di ex Libris – Digital Orient Express, il primo e-book store italiano specializzato in libri dal Mediterraneo e Medio Oriente, che così scrivono sul loro sito:
Kotobi.com – “اقرب مكتبة اليك“ è il primo negozio online arabo per ebook. Il progetto è proprietà della Vodafone ed è stato presentato ieri al Cairo. Appena possibile su Editoriaraba ci saranno i formati a disposizione dei lettori e come avviene il download dei file.
Oltre 40 editori sono già presenti nello store con circa 400 titoli in formato digitale.
Kotobi.com nasce dall’analisi della situazione del mercato editoriale cartaceo arabo: pochi lettori, poche librerie tradizionali, problemi di distribuzione. Ecco quindi una soluzione, non solo per gli editori ma, a quando dice il sito, anche per gli autori.
Dobbiamo aspettarci presto anche una piattaforma di self-publishing? Quello che è certo è che Kotobi mira a far crescere il contesto editoriale arabo e soprattutto il numero di lettori arabofoni, perché “la lettura è un ingrediente chiave per lo sviluppo di ogni nazione”.
mercoledì 5 febbraio 2014
"Greco Eroe d'Europa" di Francesco De Palo
Venerdì, 31 Gennaio 2014 Ilaria Guidantoni
Esce nei giorni di apertura del semestre greco di Presidenza UE il libro del giornalista Francesco De Palo, innamorato delle storie del Mediterraneo, di ieri e di oggi, che in Grecia ha trovato una patria del cuore e lo si avverte, al di là del suo intento dichiarato.
Fa da sponda alla passione dell’uomo, l’acume e la curiosità instancabile del giornalista. Le pagine del libro raccontano un contatto quotidiano, aggiornato e a trecento sessanta gradi sulla realtà greca. E’ un fatto che si avverte, si sente, la naturalezza con la quale parla, la partecipazione emotiva, la capacità di argomentare. Il libro a metà tra il saggio storico-politico e il reportage socio-economico, con ampie incursioni nel mondo culturale è una fotografia della Grecia tra scandali e degrado sociale, accanto a storie d’onore e di coraggio di ieri e di oggi. L’intento è dichiarato da Francesco De Palo nelle prime pagine, non solo un pamphlet, ma ‘uno sforzo narrativo’ per raccontare – e aggiungerei dimostrare – che anche nei momenti peggiori di sconforto la Grecia non si è mai arresa, memore del suo passato grandioso. Greco per l’autore è un dna che dagli eroi di ieri a quelli di oggi fa dire a questo popolo, e ad alcuni suoi grandi protagonisti, che è meglio morire da ellenico piuttosto che deporre le armi.
Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.
Scritto con un eloquio veloce, accattivante, che unisce la lingua veloce della presa diretta giornalista, la cultura classica con qualche nota di lirismo e una buona conoscenza della lingua greca classica e moderna, senza che l’inserzione di vocaboli e note appesantisca le pagine, la prima parte è un’ampia descrizione circostanziata della situazione attuale. Si narrano gli scandali, il degrado della casta, la miseria della popolazione, soprattutto il dramma dell’economia sulla spesa e i guai del sistema sanitario, la caduta vertiginosa dell’occupazione, ma in particolare si tratta di una lunga denuncia alla ‘disattenzione’ di quell’Europa che appare lontana e che pure in Grecia ha la sua culla.
La recensione integrale su Saltinaria.it
Esce nei giorni di apertura del semestre greco di Presidenza UE il libro del giornalista Francesco De Palo, innamorato delle storie del Mediterraneo, di ieri e di oggi, che in Grecia ha trovato una patria del cuore e lo si avverte, al di là del suo intento dichiarato.
Fa da sponda alla passione dell’uomo, l’acume e la curiosità instancabile del giornalista. Le pagine del libro raccontano un contatto quotidiano, aggiornato e a trecento sessanta gradi sulla realtà greca. E’ un fatto che si avverte, si sente, la naturalezza con la quale parla, la partecipazione emotiva, la capacità di argomentare. Il libro a metà tra il saggio storico-politico e il reportage socio-economico, con ampie incursioni nel mondo culturale è una fotografia della Grecia tra scandali e degrado sociale, accanto a storie d’onore e di coraggio di ieri e di oggi. L’intento è dichiarato da Francesco De Palo nelle prime pagine, non solo un pamphlet, ma ‘uno sforzo narrativo’ per raccontare – e aggiungerei dimostrare – che anche nei momenti peggiori di sconforto la Grecia non si è mai arresa, memore del suo passato grandioso. Greco per l’autore è un dna che dagli eroi di ieri a quelli di oggi fa dire a questo popolo, e ad alcuni suoi grandi protagonisti, che è meglio morire da ellenico piuttosto che deporre le armi.
Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.
Scritto con un eloquio veloce, accattivante, che unisce la lingua veloce della presa diretta giornalista, la cultura classica con qualche nota di lirismo e una buona conoscenza della lingua greca classica e moderna, senza che l’inserzione di vocaboli e note appesantisca le pagine, la prima parte è un’ampia descrizione circostanziata della situazione attuale. Si narrano gli scandali, il degrado della casta, la miseria della popolazione, soprattutto il dramma dell’economia sulla spesa e i guai del sistema sanitario, la caduta vertiginosa dell’occupazione, ma in particolare si tratta di una lunga denuncia alla ‘disattenzione’ di quell’Europa che appare lontana e che pure in Grecia ha la sua culla.
La recensione integrale su Saltinaria.it
«Un manuel ifrîqiyen d’adab soufi», 7 febbraio, La marsa, Tunjs, Librarie Millefeuilles
L’auteure
Nelly Amri est historienne, elle est Professeur à la Faculté des Lettres, des Arts et des Humanités de la Manouba (Tunis). Son intérêt pour le soufisme, l’histoire de la sainteté et l’hagiographie de l’Islam médiéval, en Ifriqiya et au Maghreb en particulier, a donné lieu à de nombreux travaux.
Librairie Espace d’Art Mille Feuilles
99, Av. Habib Bourguiba
02070 Marsa Plage
Tunisie
martedì 4 febbraio 2014
Editoriaraba - Raja Alem: “Quando scrivo sono libera, come se volassi tra i miei sogni”
(Intervista pubblicata su Qantara.de il 31/01/2014. Traduzione dall’inglese di Arianna Corroppoli)
La scrittrice saudita Raja Alem è una delle voci più interessanti della letteratura araba di oggi. La Unionsverlag di Zurigo ha appena pubblicato la traduzione tedesca del suo romanzo Il collare della colomba*, che ha vinto il Premio internazionale per la narrativa araba nel 2011. Ruth Reif l’ha intervistata.
Raja Alem, lei ha scritto circa una dozzina di romanzi, oltre a opere teatrali, racconti brevi e saggi. Il suo lavoro le ha fatto ricevere numerosi riconoscimenti. Come mai il pubblico tedesco è arrivato solo ora a leggere il suo romanzo “Il collare della colomba”?
R.A. C’è un tempo per ogni cosa. Le case editrici devono riporre fiducia nei libri che pubblicano per i loro lettori. Ci sono molti pregiudizi e cliché sulla letteratura araba. Le case editrici si sentono a loro agio dentro questi cliché e faticano a pubblicare testi che non vi rientrano.
I miei romanzi sono profondamente legati alla mia città natale, La Mecca, ancora un mondo inesplorato. Io attingo ai miti, alla storia e alla filosofia della città, e tutto questo con un linguaggio che deve essere decifrato come i testi dei Sufi. Sono quasi impossibile da tradurre e quindi ho bisogno di un editore coraggioso e di un traduttore in gamba che sappia rendere i miei mondi e il mio stile al pubblico di lingua tedesca.
La Mecca è il luogo religioso dove ogni musulmano deve recarsi una volta nella vita. Ha avvertito la forza spirituale della città, lei che vi è cresciuta, ed è questa forza spirituale che le fa desiderare di scrivere?
R.A. A La Mecca ho visto pellegrini spostarsi di tempio in tempio. Questa forza spirituale ha ispirato la mia immaginazione. Scrivo per esplorarla, per scovare i suoi limiti più remoti e per lasciarmi trasportare da quella forza. I miei romanzi sono un’ estensioni di me stessa. Attraverso di loro mi immergo in mondi che sono antichi e futuristici insieme. Mi rallegra oltrepassare i limiti tra passato, presente e futuro, tra il possibile e l’impossibile, tra la vita e la morte. Cresco grazie ad ogni mio libro e permetto ai miei lettori di crescere a loro volta, come feci io da adolescente leggendo Siddharta di Hermann Hesse. Ricordo che fui molto colpita dalle similitudini tra il suo fiume e ciò che viene espresso nel nostro Corano.
Il suo romanzo sovrappone il dolore per la scomparsa dell’antica venerabile architettura de La Mecca e le “immagini de La Mecca del futuro”, con grattacieli giganti e una Kaaba di acciaio. Il suo ritratto di La Mecca è anche un ritratto della società araba.
R.A. Quando ho iniziato a scrivere Il collare della colomba mi sono guardata dietro. Non appena ho finito di scriverlo, mi sono ritrovata in un flusso di pensieri molto diverso. Non solo i sauditi, ma in tutto il mondo le persone si trovano a vivere in bilico su una realtà virtuale. La realtà sta perdendo il suo antico impatto emotivo. Non siamo più limitati da modi di pensare o stili di vita; ci stiamo pian piano trasformando in entità universali, virtuali, gradualmente mettiamo radici in un territorio virtuale dove le origini e il bagaglio culturale di ognuno sono visti come ornamenti, come regno “decorativo” condiviso da tutti, come fosse un museo dove fare due passi a cuor leggero, non come trincee per cui combattere.
Un argomento d’interesse per gli occidentali quando guardano ai paesi islamici è la questione dei diritti delle donne. Il suo romanzo mette in scena alcuni personaggi femminili molto forti e sicuri di sé.
R.A. La libertà non ci viene mai servita su un vassoio d’argento, ce la dobbiamo guadagnare. Ho sempre desiderato scrivere delle mie nonne e zie: sono i miei idoli moderni, donne che hanno avuto ruoli chiave nello sviluppo dell’Arabia Saudita, donne dallo status importante che vivevano fianco a fianco con donne oppresse. Un po’ dappertutto donne e uomini si impegnano per raggiungere l’uguaglianza o, al contrario, sono prevenuti nel farlo da convenzioni sociali. Questa battaglia è la vita. Quando una porta mi si chiudeva, io semplicemente mi infuriavo. Esercitavo continue pressioni.
Com’era la scena letteraria araba quando ha cominciato a scrivere? Quali erano i suoi modelli?
R.A. I miei modelli arrivano da ogni parte del mondo, dall’arte alla letteratura. Sono stata profondamente influenzata dagli antichi libri arabi, per esempio i lavori di grandi autori Sufi come Al-Nafari, Rumi e Ibn Arabi, Al Suhrawardi e Al Hallaj, il quale fu giustiziato per aver superato i limiti. Inconsciamente, il mio stile è stato anche forgiato da libri come Il libro degli animali di Al Jahiz o la cosmografia Meraviglie del Creato e le Strane cose esistenti di Al-Qazvini.
Si trattava di fantascienza prima ancora che apparisse in Occidente. Per me un libro è un’esistenza immaginaria, come un oceano che cresce improvvisamente nel quale posso perdermi. In Arabia Saudita i romanzi sono un terreno inesplorato: la penisola araba era una nazione di poeti, la poesia era il nostro libro di storia. Fu solo in seguito che emerse una generazione di persone ossessionate dallo scrivere romanzi. Fu allora che molti poeti divennero romanzieri.
A parte “Le ragazze di Riyadh” di Rajaa Alsanea, i lettori tedeschi non hanno assolutamente confidenza con la letteratura saudita contemporanea. Secondo lei quant’ è importante il lavoro degli scrittori sauditi contemporanei all’interno della letteratura araba?
R.A. I libri provenienti dall’Arabia Saudita e da altri stati del Golfo, o dal Nord Africa, sono spesso descritti come letteratura periferica. La gente pensa che l’Egitto, la Siria, l’Iraq o il Libano producano la letteratura principale, ma bisogna anche dire che a partire dagli anni ’90 però gli scrittori emergenti dal Golfo o dal Nord Africa hanno lasciato la loro impronta nella letteratura araba.
Ci sono alcuni temi prevalenti nella letteratura saudita contemporanea?
R.A. I romanzi sauditi in generale esprimono l’individualismo. Gli scrittori creano personaggi liberi, che si assumono pienamente e senza difficoltà la responsabilità delle loro azioni, ma attraverso essi non rappresentano certo la società, bensì loro stessi. Oltrepassano i limiti e sono pronti a pagare il prezzo per averlo fatto. La scena letteraria si è leggermente “rilassata” negli ultimi anni e ha gradualmente preso forma. Gli scrittori ora stanno dando vita allo spirito dell’Arabia Saudita e della sua splendida gente.
Qual è la situazione per quanto riguarda la censura in Arabia Saudita ora? Da un lato continuamo a leggere di scrittori arrestati, ma dall’altro lei stessa disse in un’intervista di essere riconosciuta in quanto intellettuale…
R.A. Non sono mai stata interrogata sul mio lavoro di scrittrice, che è veramente controverso, si interroga e su tutto ed esprime profonda sensualità. Questo non significa che non ci sia la censura, ma che i limiti sono vasti. Di certo, non abbiamo il permesso di insultare la religione o i valori delle persone. Comunque, personalmente, non presto attenzione alla censura mentre scrivo. Il momento in cui scrivo è così speciale, così puro: mi trovo in un luogo dove non sono toccata da ciò che è permesso e ciò che non lo è. In quel momento di trance, la censura per me non esiste. Quando scrivo sono libera, come se volassi tra i miei sogni.
Altri suoi romanzi verranno tradotti in tedesco?
R.A. Questo è un sogno senza limiti. Alcuni dei miei libri precedenti sono stati tradotti in altre lingue e mi hanno cambiato come scrittrice e come persona. Ora osserverò come i lettori di lingua tedesca reagiranno ai miei libri, come scopriranno me e i miei mondi. Ho grandi speranze. Un libro, una parola, a volte bastano per creare le connessioni più profonde.
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Raja Alem è nata a La Mecca nel 1956, ha studiato Letteratura inglese all’Università di Jeddah e ha lavorato come insegnante. Ha pubblicato il suo primo romanzo La via della seta nel 1995. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro ed è stata la prima donna a vincere il Premio internazionale per la narrativa araba con il romanzo Il collare della colomba, nel 2011. Vive tra La Mecca e Parigi.
* Il collare della colomba uscirà nelle librerie italiane il 26 febbraio per la casa editrice Marsilio.
La scrittrice saudita Raja Alem è una delle voci più interessanti della letteratura araba di oggi. La Unionsverlag di Zurigo ha appena pubblicato la traduzione tedesca del suo romanzo Il collare della colomba*, che ha vinto il Premio internazionale per la narrativa araba nel 2011. Ruth Reif l’ha intervistata.
Raja Alem, lei ha scritto circa una dozzina di romanzi, oltre a opere teatrali, racconti brevi e saggi. Il suo lavoro le ha fatto ricevere numerosi riconoscimenti. Come mai il pubblico tedesco è arrivato solo ora a leggere il suo romanzo “Il collare della colomba”?
R.A. C’è un tempo per ogni cosa. Le case editrici devono riporre fiducia nei libri che pubblicano per i loro lettori. Ci sono molti pregiudizi e cliché sulla letteratura araba. Le case editrici si sentono a loro agio dentro questi cliché e faticano a pubblicare testi che non vi rientrano.
I miei romanzi sono profondamente legati alla mia città natale, La Mecca, ancora un mondo inesplorato. Io attingo ai miti, alla storia e alla filosofia della città, e tutto questo con un linguaggio che deve essere decifrato come i testi dei Sufi. Sono quasi impossibile da tradurre e quindi ho bisogno di un editore coraggioso e di un traduttore in gamba che sappia rendere i miei mondi e il mio stile al pubblico di lingua tedesca.
La Mecca è il luogo religioso dove ogni musulmano deve recarsi una volta nella vita. Ha avvertito la forza spirituale della città, lei che vi è cresciuta, ed è questa forza spirituale che le fa desiderare di scrivere?
R.A. A La Mecca ho visto pellegrini spostarsi di tempio in tempio. Questa forza spirituale ha ispirato la mia immaginazione. Scrivo per esplorarla, per scovare i suoi limiti più remoti e per lasciarmi trasportare da quella forza. I miei romanzi sono un’ estensioni di me stessa. Attraverso di loro mi immergo in mondi che sono antichi e futuristici insieme. Mi rallegra oltrepassare i limiti tra passato, presente e futuro, tra il possibile e l’impossibile, tra la vita e la morte. Cresco grazie ad ogni mio libro e permetto ai miei lettori di crescere a loro volta, come feci io da adolescente leggendo Siddharta di Hermann Hesse. Ricordo che fui molto colpita dalle similitudini tra il suo fiume e ciò che viene espresso nel nostro Corano.
Il suo romanzo sovrappone il dolore per la scomparsa dell’antica venerabile architettura de La Mecca e le “immagini de La Mecca del futuro”, con grattacieli giganti e una Kaaba di acciaio. Il suo ritratto di La Mecca è anche un ritratto della società araba.
R.A. Quando ho iniziato a scrivere Il collare della colomba mi sono guardata dietro. Non appena ho finito di scriverlo, mi sono ritrovata in un flusso di pensieri molto diverso. Non solo i sauditi, ma in tutto il mondo le persone si trovano a vivere in bilico su una realtà virtuale. La realtà sta perdendo il suo antico impatto emotivo. Non siamo più limitati da modi di pensare o stili di vita; ci stiamo pian piano trasformando in entità universali, virtuali, gradualmente mettiamo radici in un territorio virtuale dove le origini e il bagaglio culturale di ognuno sono visti come ornamenti, come regno “decorativo” condiviso da tutti, come fosse un museo dove fare due passi a cuor leggero, non come trincee per cui combattere.
Un argomento d’interesse per gli occidentali quando guardano ai paesi islamici è la questione dei diritti delle donne. Il suo romanzo mette in scena alcuni personaggi femminili molto forti e sicuri di sé.
R.A. La libertà non ci viene mai servita su un vassoio d’argento, ce la dobbiamo guadagnare. Ho sempre desiderato scrivere delle mie nonne e zie: sono i miei idoli moderni, donne che hanno avuto ruoli chiave nello sviluppo dell’Arabia Saudita, donne dallo status importante che vivevano fianco a fianco con donne oppresse. Un po’ dappertutto donne e uomini si impegnano per raggiungere l’uguaglianza o, al contrario, sono prevenuti nel farlo da convenzioni sociali. Questa battaglia è la vita. Quando una porta mi si chiudeva, io semplicemente mi infuriavo. Esercitavo continue pressioni.
Com’era la scena letteraria araba quando ha cominciato a scrivere? Quali erano i suoi modelli?
R.A. I miei modelli arrivano da ogni parte del mondo, dall’arte alla letteratura. Sono stata profondamente influenzata dagli antichi libri arabi, per esempio i lavori di grandi autori Sufi come Al-Nafari, Rumi e Ibn Arabi, Al Suhrawardi e Al Hallaj, il quale fu giustiziato per aver superato i limiti. Inconsciamente, il mio stile è stato anche forgiato da libri come Il libro degli animali di Al Jahiz o la cosmografia Meraviglie del Creato e le Strane cose esistenti di Al-Qazvini.
Si trattava di fantascienza prima ancora che apparisse in Occidente. Per me un libro è un’esistenza immaginaria, come un oceano che cresce improvvisamente nel quale posso perdermi. In Arabia Saudita i romanzi sono un terreno inesplorato: la penisola araba era una nazione di poeti, la poesia era il nostro libro di storia. Fu solo in seguito che emerse una generazione di persone ossessionate dallo scrivere romanzi. Fu allora che molti poeti divennero romanzieri.
A parte “Le ragazze di Riyadh” di Rajaa Alsanea, i lettori tedeschi non hanno assolutamente confidenza con la letteratura saudita contemporanea. Secondo lei quant’ è importante il lavoro degli scrittori sauditi contemporanei all’interno della letteratura araba?
R.A. I libri provenienti dall’Arabia Saudita e da altri stati del Golfo, o dal Nord Africa, sono spesso descritti come letteratura periferica. La gente pensa che l’Egitto, la Siria, l’Iraq o il Libano producano la letteratura principale, ma bisogna anche dire che a partire dagli anni ’90 però gli scrittori emergenti dal Golfo o dal Nord Africa hanno lasciato la loro impronta nella letteratura araba.
Ci sono alcuni temi prevalenti nella letteratura saudita contemporanea?
R.A. I romanzi sauditi in generale esprimono l’individualismo. Gli scrittori creano personaggi liberi, che si assumono pienamente e senza difficoltà la responsabilità delle loro azioni, ma attraverso essi non rappresentano certo la società, bensì loro stessi. Oltrepassano i limiti e sono pronti a pagare il prezzo per averlo fatto. La scena letteraria si è leggermente “rilassata” negli ultimi anni e ha gradualmente preso forma. Gli scrittori ora stanno dando vita allo spirito dell’Arabia Saudita e della sua splendida gente.
Qual è la situazione per quanto riguarda la censura in Arabia Saudita ora? Da un lato continuamo a leggere di scrittori arrestati, ma dall’altro lei stessa disse in un’intervista di essere riconosciuta in quanto intellettuale…
R.A. Non sono mai stata interrogata sul mio lavoro di scrittrice, che è veramente controverso, si interroga e su tutto ed esprime profonda sensualità. Questo non significa che non ci sia la censura, ma che i limiti sono vasti. Di certo, non abbiamo il permesso di insultare la religione o i valori delle persone. Comunque, personalmente, non presto attenzione alla censura mentre scrivo. Il momento in cui scrivo è così speciale, così puro: mi trovo in un luogo dove non sono toccata da ciò che è permesso e ciò che non lo è. In quel momento di trance, la censura per me non esiste. Quando scrivo sono libera, come se volassi tra i miei sogni.
Altri suoi romanzi verranno tradotti in tedesco?
R.A. Questo è un sogno senza limiti. Alcuni dei miei libri precedenti sono stati tradotti in altre lingue e mi hanno cambiato come scrittrice e come persona. Ora osserverò come i lettori di lingua tedesca reagiranno ai miei libri, come scopriranno me e i miei mondi. Ho grandi speranze. Un libro, una parola, a volte bastano per creare le connessioni più profonde.
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Raja Alem è nata a La Mecca nel 1956, ha studiato Letteratura inglese all’Università di Jeddah e ha lavorato come insegnante. Ha pubblicato il suo primo romanzo La via della seta nel 1995. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro ed è stata la prima donna a vincere il Premio internazionale per la narrativa araba con il romanzo Il collare della colomba, nel 2011. Vive tra La Mecca e Parigi.
* Il collare della colomba uscirà nelle librerie italiane il 26 febbraio per la casa editrice Marsilio.
lunedì 3 febbraio 2014
Presentazione del libro "Manlio Gelsomini, Campione partigiano" di Valerio Piccioni
Manlio Gelsomini, Campione partigiano, Edizioni Gruppo Abele
sarà presentato
sabato 8 febbraio, alle ore 11, allo stadio della Farnesina di Roma
Parteciperanno:
STEFANO BOLDRINI, giornalista della Gazzetta dello Sport;
ALESSIA A.GLIELMI, del Museo della Liberazione di via Tasso;
PAOLO MASINI, assessore ai Lavori Pubblici di Roma Capitale;
ANGELA TEJA, presidente della Società Italiana di Storia dello Sport.
sarà presentato
sabato 8 febbraio, alle ore 11, allo stadio della Farnesina di Roma
Parteciperanno:
STEFANO BOLDRINI, giornalista della Gazzetta dello Sport;
ALESSIA A.GLIELMI, del Museo della Liberazione di via Tasso;
PAOLO MASINI, assessore ai Lavori Pubblici di Roma Capitale;
ANGELA TEJA, presidente della Società Italiana di Storia dello Sport.
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