Lunedì 30 Luglio 2012 21:26
di Ilaria Guidantoni*
- L’eco del sud del Mediterraneo arriva in Italia disturbato e distorto,
soprattutto quando fa rima con Islam. E’ così che ho deciso di tornare sulle
orme di Sophie, la protagonista del mio romanzo “Tunisi, taxi di sola andata”, che avevo lasciato a Tunisi a fine
ottobre, all’indomani delle elezioni che hanno portato al potere EnnahDa (la
Rinascita), il partito religioso, assimilabile per usare dei parametri
linguistici e ideologici nazionali, ad un movimento di ispirazione religiosa,
tradizionale, di centro destra. I numeri forniscono qualche indicazione: il
partito di maggioranza con oltre il 40% dei voti, il 40% dei seggi, conta sul
voto di un tunisino su 5 più o meno (ha votato meno della metà della
popolazione avente diritto). Il consenso maggiore viene dai tunisini
all’estero, in Italia e Francia. Nodo cruciale il rapporto con i Salafiti,
termine approssimativo in italiano, trascrizione della parola ‘salafiah’,
origine, tradizione che sui nostri media hanno fatto la loro comparsa in
seguito a episodi di scontri tra religiosità e laicità, di solito con
situazioni pretestuose, per lo più in occasioni culturali o di comportamenti
individuali giudicati contrari all’Islam.
A questo
gruppo, movimento, si associa spesso il senso della minaccia. Infine la
questione del ‘velo’ che sembra polarizzare nella mentalità europea (nonché
ridurre, ndr) la posizione della donna e il rapporto della religione con la
vita comune. Ho avuto l’occasione di un confronto con una giovanissima deputata
del Partito, Imen Ben Mohamed, cresciuta in Italia, laureata alla Sapienza di
Roma in Scienze politiche con indirizzo in Relazioni internazionali, che parla
l’italiano meglio del francese. Imen arriva a Roma con la mamma e cinque
fratelli grazie al ricongiungimento familiare al padre, rifugiato politico.
Frequenta la scuola libica e si laurea; cresce il suo impegno civile nel mondo
associazionistico di impegno religioso e civile, per essere in prima linea con
la deflagrazione rivoluzionaria.
Cosa succede
con la rivolta?
Sono stata
trascinata dall’entusiasmo e dalla sorpresa anche era nell’aria che qualcosa di
grosso sarebbe successo ma non avremmo immaginato così presto e così
rapidamente. EnnahDa è stato legalizzato e io sono stata eletta all’interno
insieme ad altri due compagni, secondo la ripartizione del 50% dei candidati
tra uomini e donne e l’alternanza nelle liste.
Dopo il
grande entusiasmo si fanno i conti e i programmi: superata la fase
post-rivoluzionaria arriva la transizione. Cosa sta accadendo?
La gente non
conosce la democrazia, né tanto il cammino per la sua costruzione. Ci sono
paesi dove sono stati necessari vent’anni per trasformare lo stato delle cose.
In Tunisia il percorso appare più rapido, un fatto positivo non scevro da
rischi. La priorità è il dialogo e il popolo si sta orientando in questo senso
dal momento che chiede di giudicare i responsabili, non di giustiziarli.
Quali le
priorità?
Riforma
della giustizia e una nuova Costituzione; mantenimento del dialogo con il
territorio all’interno; apertura alla scena internazionale: il primo passo significativo
è stato compiuto verso l’Africa ad esempio, mentre nel ventennio siamo stati
schiacciati sul modello europeo. La Costituzione mi sembra uno dei nodi
critici anche all’origine dello slittamento delle prossime elezioni da ottobre
alla primavera 2013, ancora senza una data. La prima questione è la scelta
della forma di governo, presidenziale o parlamentare.
E l’ipotesi
del Califfato?
Impraticabile
in Tunisia. In ogni caso nell’Islam non esiste l’idea di Stato teocratico e in
generale di potere assoluto perché anche alle origini dello stato arabo i
membri guida erano tutti eletti. Forse bisognerebbe capire se è giudicato
inaccettabile o semplicemente irrealizzabile.
E
sull’articolo 1 della Costituzione, il cui eco è arrivato oltre il mare?
Si è confermata
la dicitura per cui l’arabo è la nostra lingua; la Repubblica la forma di stato
e l’Islam la nostra religione; mentre la Shaaria è solo una delle fonti
legislative per non rischiare una interpretazione errata della stessa come
spesso è avvenuto. Le minoranze religiose sono tutelate e invitate a discutere
in merito alla Costituzione.
Uno dei lati
che appaiono oscuri all’esterno è rappresentato dal rapporto con i Salafiti:
qual è la vostra posizione al riguardo?
Non
discriminare aprioristicamente, com’è accaduto sotto Ben Ali per non fomentarli
indirettamente; promuovere invece il dialogo e punire chi commette atti di
violenza, com’è accaduto da parte di alcuni esponenti della sinistra estrema e
di semplici agitatori. Solo che i media occidentali non si interessano a questo
genere di persone.
Domanda
banale ma molto presente in Italia: velo o non velo?
La
prescrizione religiosa prevede l’hijab (foulard), mentre il niqab non è un
obbligo quindi una legge dello stato può vietarlo. Io ritengo che sia corretto
tutelare tutti, chi porta il velo e chi no ma in determinate circostanze, ad
esempio per sostenere gli esami universitari, una ragazza ha l’obbligo di
scoprire il volto davanti al professore.
In termini
di cultura e di vita sociale la transizione è all’insegna del risveglio o anche
di una vera rinascita?
Sicuramente
c’è stata una grande apertura e i giovani sono tornati ad interessarsi al
proprio paese, al patrimonio artistico; solo che si sta confondendo troppo
spesso libertà e provocazione che non necessariamente rappresenta un segno di
emancipazione e rischi di diventare dannosa.
Il suo
entusiasmo e la fiducia nella forza interiore della rivoluzione sono
contagiosi, come la sua freschezza e determinazione, una buona dose di umiltà e
di fiducia nel dialogo. Speriamo riesca a ‘contaminare’ il Parlamento tunisino!
*Giornalista,
Blogger e Scrittrice, autore tra l’altro del pamphlet “I giorni del gelsomino”
(P&I Edizioni, marzo 2011) e del romanzo
verità “Tunisi, taxi di sola andata” (No Reply editore, marzo 2012).