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il velo rivela più che nascondere
Mercoledì,
25 luglio 2012 - 13:18:00
di Ilaria Guidantoni
Il velo come una bandiera. E' poi così importante? Il velo sui giornali, sulla stampa internazionale in particolare, nella testa di molti laici, o laicard secondo un'espressione dispregiativa francese diventa il pomo della discordia, troppo spesso una semplificazione tendenziosa. Su un quotidiano free press ho letto prima di partire dall'Italia che perfino a Tunisi, non nella Tunisia 'marginale', in spiaggia sarebbe stato impossibile mettersi in costume; che le donne sono sempre più spesso velate e nell'articolo si lasciava intuire - in questo caso certamente non in modo particolarmente velato - che la Tunisia stia attraversando una transizione verso una vera e propria islamizzazione, intesa in senso deteriore. Sono partita con la solita curiosità, cercando di mettere nel cassetto ogni 'pre-giudizio' per lasciarmi guidare dall'ascolto e dall'osservazione curiosa, tornando sulle orme di Sophie, protagonista del mio romanzo "Tunisi, taxi di sola andata" (No Reply editore) per capire se immergersi nella vita quotidiana sia sufficiente. Arrivo in città e girando anche per i quartieri popolari non noto un aumento delle donne velate, eppure è appena iniziato il mese sacro del Ramadan.
Una vetrina della Galérie Zephyr
pendant le Ramadan
La differenza si è notata tra prima della rivoluzione
e subito dopo, in particolare la scorsa estate sempre nel periodo del digiuno. Il clima è cambiato allora ma non
ulteriormente orientato verso un ritorno alla tradizione. La spiegazione è
molto semplice e perfino banale: al tempo di Ben Ali indossare il velo negli
uffici pubblici era vietato da una legge della Costituzione, il popolo era
disincentivato a praticare visibilmente la religione anche se la grande moschea
della Medina, al-Zitouna è stata realizzata proprio sotto il passato regime. Ho
ascoltato molte voci in questi giorni, persone colte, intellettuali, gente
comune, tassisti che mi dicono che finalmente sono liberi di esprimersi, anche
religiosamente, perché no? Che sotto i Trabelsi, la famiglia della consorte
dell'ex Presidente, erano 'invitati' a guardare al modello europeo ed erano
stati sradicati dalla tradizione per abbracciare l'omologazione di un mondo
globalizzato, limando viepiù ogni elemento caratterizzante di un popolo e di un
paese. Naturalmente questa non è che una prima lettura, autentica ma
altrettanto semplicistica. Ho chiesto ad una manager italiana, account manager
del call center di una multinazionale italiana che vive a contatto con i
giovani tunisini, molti dei quali donne, se avesse notato qualche cambiamento.
"Quando sono arrivata qualche anno fa praticamente ragazze velate non ce
n'erano.
La statua di Buddha 'oscurata' per
pubblico pudore, terrazza Zéphyr, el Marsa
Dopo la rivoluzione diverse lo hanno indossato. Non mi pare che sia motivo di
divisione o contrasto con chi non lo porta. Ascoltando le ragazze velate ho
intuito che si tratta certamente di una scelta, libera e di forte
identità". Ho avuto la possibilità di incontrare alcune ragazze del call
center e tutte mi hanno detto la stessa cosa: il velo dev'essere una scelta
libera e oggi, dopo la caduta del regime Ben Ali, la libertà è poterlo
indossare e poter manifestare la propria religiosità senza timore. Nessun
problema con chi non lo porta. Una ragazza, Sonia, con l'hijab mi ha detto che
lei mette "il velo sulla testa, non nella testa. Questo è importante. Si
sente moderna ed è insofferente ad ogni imposizione, a chi ad esempio vorrebbe
coprire il volto delle donne". Il velo rivela una scelta nel segno della
tradizione e dell'identità ma non un rifiuto dell'apertura e della modernità,
tanto che è spesso colorato, alla moda, intonato con gli abiti. Non tutti la
pensano così, come Mounira, una bella ragazza mora vistosa e molto
curata nel vestire che lavora in un'agenzia immobiliare e abita il quartiere
chic della banlieue nord, La Marsa. "Avverto spesso una sensazione di
disagio se non di paura per come sono guardata e giudicata per il mio
abbigliamento. Rispetto chi porta il velo ma voglio altrettanto rispetto.
Quello che mi infastidisce è che spesso indossare il velo è un modo pour
emmerder ' le altre', quelle che vestono all'occidentale. Dov'erano tutte queste
ragazze religiose prima?" Nascoste? "Se si è davvero convinti del
proprio credo, si lotta, si sfida la situazione e in ogni caso si sceglie di
restare a casa se questo lede la propria identità". In effetti c'è la
sensazione, soprattutto nelle università, cuore dello scontro tra laicità e
religiosità, di una volontà di provocazione, di un'eccitazione nel giocare muro
contro muro, più innamorati della libertà di espressione in quanto tale che del
contenuto da esprimere. Silvia Finzi, Docente alla Facoltà di lettere
dell'Università La Manouba di Tunisi, incontrandomi al Centro Dante Alighieri,
presso l'Ambasciata italiana, mi ha detto chiaramente "se questa è la
rivoluzione, dalla dittatura personale ad una teocrazia, allora questa non è la
mia rivoluzione". Forse è solo un gioco della parti.
Il velo non rischia di diventare una mistificazione? "Il velo è l'elemento più
visibile in termini simbolici della 'lotta' tra religione e laicità. Per quanto
mi concerne l'hijab (il foulard) non crea nessuna barriera. Sono per il
pluralismo. Il consiglio scientifico, eletto democraticamente all'università,
ha deciso però di non ammettere agli esami ragazze che indossino il velo
integrale (niqab) perché rende impossibile il riconoscimento dell'identità
personale, inaccettabile in un'istituzione pubblica. Ne è nata una campagna di
scontro e di aggressione fisica verso quei professori che hanno fatto valere
questo principio. Il problema è che lo Stato attraverso la polizia, non ha
riconosciuto questo principio. Se non esiste la reciprocità del rispetto: il
diritto alla religiosità come all'ateismo, non è possibile un dialogo
democratico". Insisto: perché il velo sembra convogliare tanta animosità,
anche quando è liberamente scelto dalle donne? "Non credo ci sia necessità
di studi antropologici per capire che un movimento di uomini che vogliono le
donne nella vita pubblica velate integralmente, ovvero rendendole invisibili,
mostra un evidente messaggio contraddittorio e inaccettabile". Difficile
una sintesi delle posizioni e soprattutto delle sensazioni rispetto alla
propria identità tra paura, fastidio, speranza. Più volte nel corso di una
conversazione le posizioni cambiano perché, mi ha confermato la scrittrice di
Sfax Lilia Zaouali, che vive in Italia, nulla è chiaro e le persone hanno
necessità di tempo per trovare una nuova identità. C'è fiducia in generale nel
fatto che niente verrà imposto alle donne tunisine che non condividono grazie
alle acquisizioni consolidate fin dai tempi di Bourghiba. Ma quale sarà la
maggioranza alla fine della transizione? E come vivrà l'altra metà del cielo?
Guardando le ragazze e le donne per strada non sembra che ci sia rivalità tra
chi è velata e chi non lo è e magari cammina accanto all'amica o alla madre con
un abbigliamento non di rado à la page, decisamente sexy.
La convivenza nelle famiglie non è difficile, assicura
Sondes Ben Khalifa, giornalista radiofonica di RTCI che mi ha raccontato
come lei musulmana e praticante non indossi il velo, mentre sua madre ha fatto
questa scelta relativamente di recente e così sua sorella. "Ognuno ha i
propri tempi e modi di esprimersi. In un momento nel quale si esce da una
laicità che non è stata certo sinonimo di libertà e tutela dei diritti, le
reazioni possono essere altrettanto forti". Forse leggendo con attenzione
questa generazione nata e cresciuta sotto Ben Ali, si capisce perché siano meno
anticonvenzionali delle donne di quaranta e soprattutto cinquant'anni. Molte
ragazze prendono le distanze dalle battaglie delle madri e soprattutto delle
donne, mi fa notare l'editrice Silvia Finzi. I dati parlano chiari: nel 1957 in
Tunisia è stato introdotto l'aborto. Nei primi anni Sessanta del Novecento
l'allora Presidente Habib Bourghiba sosteneva politiche di pianificazione
familiare. Da dieci anni a questa parte, mentre i costumi sessuali sono sempre
più disinibiti, cresce visibilmente il numero di interventi medicali volti a
ricostruire la verginità. Qualcosa sta succedendo. La rivoluzione ha impresso
un'accelerazione e vestito di un abito politico alcuni movimenti della società.
In ogni caso, velate o non l'importante è che sia per libera scelta! E il
principio deve valere per tutti.
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