sabato 25 febbraio 2012

Un altro albero di Gulmohar


di Aamer Hussein

Ho conosciuto Aamer Hussein a Roma alla libreria L’Argonauta in occasione della presentazione di questo libro e mi è piaciuto questo scrittore anglo-pakistano, noto in Inghilterra ma ancora poco conosciuto in Italia. Nato nel 1955 a Karachi, in Pakistan, vive a Londra dal 1970. Si è laureato all’University of London dove ha studiato Urdu, Persiano e Storia. Svolge attività di critico letterario e traduttore e ha scritto numerose raccolte di racconti, tra le quali Mirror to the sun (1993), This other salt (1999) e Turquoise (2002). Mi ha colpito di lui la sua dolcezza e semplicità, un tono sornione e così poco impostato tanto da non sembrare un intellettuale, almeno quelli da palcoscenico che ormai imperano nei salotti italiani, soprattutto televisivi.
Ho riscontrato un candore nella sua presentazione, come fosse l’uomo del pianerottolo, il vicino di casa ospitale con il quale fare amicizia, pronto a raccontare la sua storia, una tra le tante. Solo che si tratta di un percorso avventuroso soprattutto linguisticamente parlando. E’ un uomo che si scrive in inglese, pensando in inglese e ritenendo questa lingua non come quella di un colonizzatore ma lo strumento per essere internazionale, a testimonianza che le cose sono anche quelle che si vogliono vedere. Un fine conoscitore dell’urdu, la sua lingua madre, del persiano e fine oratore in italiano. La sua cultura mi è apparsa subito non una forma di erudizione raffinata quanto un gioco dell’animo dove l’inclinazione autentica alla conoscenza, spinge all’ascolto dell’altro e all’empatia, rappresentata prima di tutto dalla lingua. Il suo punto di vista ci appare non semplicemente integrato ma multifocale, metabolizzando le differenze in una sintesi originale che è nuova ed estremamente personale. Lo stesso approccio emerge allorché si immagina di definirlo in un genere letterario, difficile da definire semplicemente romanzo, novellistica, cultura popolare. E’ una narrativa che attinge, cita e rielabora ad un tempo elementi del racconto popolare, del romanzo e della cronaca attuale. Al centro del libro vi è la storia delicata d’amore di due giovani inserita in un contesto di grande attualità: il multiculturalismo, la nostalgia delle origini, la fascinazione della scoperta di un mondo nuovo e talora la difficoltà di superare la diffidenza altrui. In ogni caso emerge, in una scrittura semplice, per certi versi ingenua – lontana da ogni schematismo e volontà di procedere per tesi – il bisogno di imparare la lingua dell’altro per entrare in sintonia. “L’ultimo albero di gulmohar” è una storia d’amore in viaggio dalla Londra del dopoguerra al Pakistan: il viaggio di Lydia per raggiungere l’amato Usman che è anche un cammino ideale alla scoperta del mondo interiore dei protagonisti con rievocazioni di atmosfere fiabesche. Il raggiungimento avverrà con una conversione non richiesta e la scelta di cambiare nome: sunt res in nomina. Ma il viaggio nella geografia antropologica non ha fine: è un percorso a tappe, nel corso del quale ogni tappa successiva diventa un nuovo inizio, con un perdersi e un ritrovarsi che è proprio di ogni storia reale, del superamento costante del sé nel dialogo con l’altro. I due protagonisti al momento dell’incontro sono già entrambi divorziati e, dopo la prima parte più visionaria del testo con l’inserimento tipico della letteratura classica della favola, si è catapultati in una storia di ordinaria quotidianità. Nello stesso tempo questi due cuori già sperimentati hanno l’ingenuità, la delicatezza e una timidezza che li rende personaggi da fiaba, non senza rinunciare ai sentimenti forti. Sullo sfondo il gulmohar, l’albero di fuoco, trapiantato dal Madagascar nel subcontinente indiano, simbolo del fecondo abbraccio tra due culture destinato a generare splendidi frutti, albero del fuoco.

Un altro albero di Gulmohar
Aamer Hussein
LA LEPRE EDIZIONI
16,00 euro

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