di Maria Anna De Rosa
Questo libro mi è stato regalato da
un amico comune che ha scambiato i nostri libri. Maria Anna De Rosa, al suo
esordio letterario con “Sotto le fronde del gelso” – la foto di copertina è sua
– mi ha riportato alla mente con la buona letteratura per ragazze perbene tra
Otto e Novecento, nello stile e nel contenuto. Fino dal nome della
protagonista, Emma, la mente torna ai romanzi ottocenteschi in questo caso
senza pruderie. L’aspetto sul quale
mi sono soffermata maggiormente, leggendo questa scrittrice – nata ad Albanella
e residente in un paesino dell’Irpinia – è lo stile, un italiano scorrevole e
terso, rigoroso e piano come difficilmente ormai si legge. Quello che diremmo
un tema ben scritto. In effetti non conosco la scrittrice e volutamente non me ne
sono voluta informare prima e durante la lettura - mi farà certamente piacere
incontrarla in seguito – per non restarne condizionata, oggi che troppo spesso
il romanziere è prima personaggio, poi penna, infine una persona. L’idea, forse
complice la storia della protagonista, è quella di una professoressa avvezza
alla buona letteratura, che indaga senza morbosità, né effetti speciali, ma
neppure categorie prestabilite l’animo femminile. Una vita tormentata come
tante che per la sua ordinari età straordinaria vale la pena di essere raccontata.
I dolori e le gioie non sono solo quelle di una follia, divenuta fin troppo ordinaria
per essere originale, né i drammi sono solo quelli che contengono una nota
esagerata o trasgressiva. Emma è una ragazza di buona famiglia, figlia di
persone perbene e colte – la madre pianista, di nobile lignaggio e il padre
docente universitario. Purtroppo la sua infanzia ed adolescenza maturano nel rigore
freddo di un uomo che non riesce ad esprimere i propri sentimenti e di una
madre fredda, distaccata per la quale regole e disciplina vengono prima dell’amore,
essendo questo asservito a quelle piuttosto che le prime funzionali al secondo.
Sarà una timida voglia eversiva, non sovversiva, forse con la speranza intima
di avvicinarsi al padre a portare Emma sui sentieri dell’amore, tardivo ma
profondo, quello per il marito un ricercatore conoscente della famiglia. Il
matrimonio, ostacolato dalla madre, finirà tragicamente per la nostra
protagonista. IL suo bisogno di dare amore non si arrenderà in un’amicizia
forte e intima con un’amica e la figlia, un sodalizio femminile e una maternità
ritrovata sotto altre forme, rispetto a quelle originariamente desiderate. Tuttavia,
anche nella vita piena e forse un po’ chiusa, protetta di Emma, il desiderio di
vivere risorgerà, malgrado la timidezza e la reticenza iniziale. Lascio al
lettore percorrere l’esito di queste pagine, seguendo il filo dialettico del
desiderio nella sua schermaglia tra sfida, insicurezza e paura. Il libro sembra
dirci con toni delicati dimenticati in questo mondo che l’amore autentico è il
valore fondante della vita al quale non ci si può sottrarre e non è detto che
lo si trovi con l’abito con il quale lo immaginiamo. Perfino la virtù qualche
volta non ha la veste con la quale siamo abituate ad incontrarla. La
trasgressione che la vita ci consente è per affermare il principio dello
spirito sulla legge, un mondo nel quale il matrimonio interiore vince su quello
riconosciuto dalla società.
“Sotto le fronde
del gelso”
di Maria Anna De Rosa
Gruppo Albatros
Il Filo Roma
Collanna NuoveVoci
Domna
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