di Carlo Coccioli
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Il racconto narra di uno scrittore poliedrico e prolifico del secondo Novecento italiano, nato a Livorno nel 1920 e morto a Città del Messico nel 2003, che pure ad una mia indagine empirica non risulta noto a nessuno. Motivo in più per leggerlo. A mio parere l'aspetto più interessante è il valore della testimonianza di un percorso interiore: la ricerca disperata di Dio, l'essere 'ammalato' di Dio, qualcosa di più viscerale dell'essere religioso; il bisogno di ritualità ed ad un tempo il fastidio per essa. E' la storia di un cattolico, o meglio di una famiglia cattolica, un po' mangiapreti e un po' distante, con una radice ebraica che gradualmente si avvicina al recupero radicale della tradizione: fino alla conversione all'ebraismo. E' un percorso lento e tutt'altro che lineare fino all'affermazione del Cristianesimo e soprattutto della chiesa cattolica, la più fragile a detta di Coccioli, quale impostura.
Lo scrittore ha composto opere in italiano, francese, spagnolo ed è stato lui stesso traduttore dei suoi libri. Dopo l'infanzia trascorsa in Libia e la prima giovinezza che lo ha visto partecipe alla Resistenza (Medaglia al Valore), lo seguiamo laurearsi all'Orientale di Napoli, fin quando inizia, nel Dopoguerra, una brillante e contrastata, a mio avviso, carriera letteraria. Nel 1952 esce in Francia "Fabrizio Lupo", romanzo il cui protagonista, fervente cattolico, non riesce a conciliare la propria pulsione omosessuale con la morale cattolica. Un contrasto forte nella vita dello stesso scrittore e d'altronde, a mio modesto avviso, il tema della sessualità attraversa in modo lacerante la vita di qualsiasi credente, cattolico in modo particolare. A seguito del clamore suscitato da quest'opera - che in Italia verrà tradotta solo nel 1978 - Coccioli si trasferirà a Città del Messico in preda ad una crisi molto profonda. Sarà questo il periodo nel quale scriverà le sue opere più importanti tra le quali "David", finalista al Premio Campiello nel 1976 e recentemente ripubblicato da Sironi e "Documento 127" che Erasmo edizioni ha restituito al pubblico italiano.
Le pagine corrono su due binari, tra le montagne russe dell'anima e i frequenti spostamenti, nell'ultima fase, tra Firenze, Parigi e il Messico. Curioso il lato domestico di questo romanzo esistenziale, raccontato tra vicende quotidiane che scorrono con abbastanza familiarità. Per un cristiano, come me, certamente è stata l'occasione di un viaggio singolare alla riscoperta del popolo ebraico da un ebreo che cerca se stesso per arrivare al "Processo a Dio" sulla strage degli innocenti (titolo di uno splendido spettacolo con Ottavia Piccolo), agli orrori della storia bistrattata dai cristiani perfino con più acredine che da parte dei musulmani, almeno in Spagna, fino al paradosso della fede nell'ebreo Gesù; e ancora la ricerca di cosa sia ebraico: la razza, come i più affermano? E che cosa hanno in comune, si chiede Coccioli, un ebreo etiope falasciot con uno spagnolo sefardita? La lingua forse che molti neppure conoscono? O ancora la religiosità? E gli atei, che sono molti tra gli ebrei eppure c'è un comune denominatore, quasi un ateismo ebraico che ha una sua cifra distintiva, sembra dirci. Il popolo ebraico, è o almeno una sembra una risposta non una definizione, è un destino, l'attesa di una promessa e rassegnazione insieme; ma è voglia di vivere. Purtroppo, secondo Coccioli, ad un certo punto il venir meno della sete di vendetta ha schiacciato questo popolo.
Un testo vivo che conferma, a mio giudizio, il valore della tradizione orale, del racconto che arriva attraverso la storia delle emozioni di un bambino che si fa uomo e che nessun testo di saggistica riesce ad eguagliare.
Documento 127
Carlo Coccioli
Edizioni Erasmo
18,00 euro
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