“Ibn
Khaldoun
Un
génie maghrébin”
1332-1406
di
Smaïl Goumeziane
Un libro che racconta le
opere di un personaggio, la sua vita e in particolare il suo pensiero di riferimento
centrale per la cultura araba, in particolare maghrebina, segnatamente tunisina;
ma anche un saggio che cerca di ricostruire l’influenza della filosofia di Ibn
Khaldoun, vissuto tra il 1332 e il 1406 sul pensiero successivo, a livello
internazionale con un’attenzione specifica all’Europa, di Immanuel Kant, Adam
Smith, John Locke, ma anche di Karl Marx, Ricardo e Keynes; infine considerato
l’inventore della sociologia, 5 secoli prima del filosofo positivista Auguste
Comte.
Un testo di grande
interesse quasi del tutto misconosciuto in Europa anche perché si sono dovuti
attendere secoli prima della traduzione delle sue opere in arabo. Più difficile
è la seconda parte dove si narrano le vicende successive alla scomparsa del
grande politologo, economista e sociologo, diremmo oggi con termine dei quali
fu inconsapevolmente precursore; fino all’elaborazione critica dell’influenza, mi permetto di dire presupposta, su tanti
pensatori che hanno rappresentato l’ossatura dell’Europa e in generale del
pensiero moderno. Si tratta di un percorso affascinante e criticamente motivato
anche se presuppone una conoscenza oltre che in particolare del pensiero dei
Lumi e della sociologia e dell’economia del 1700 e del 1800, delle opere e del
contesto storico nel quale operò questo grande personaggio. I suoi manoscritti
e lavori furono disseminati in tutto l’impero musulmano da Fès a Istanbul,
passando per Tunisi e Il Cairo e sarebbero potuti non arrivare mai a noi. In
effetti è stato necessario attendere cinque secoli per la prima edizione araba
de al-Muqaddima (Introduzione) all’Histoire universelle, stampata a Bulaq,
vicino al Cairo. Fu poi nel 1858 che ci fu la prima edizione parigina del testo
in arabo. Un visionario che racconta nei suoi testi la vita quotidiana e la
mentalità del Maghreb nel tardo medioevo, descrivendone l’incipiente declino ma
soprattutto cogliendone il preludio ed evidenziando come con la reconquista spagnola e la scoperta del
Nuovo Mondo, il Maghreb perse la propria centralità, e in generale tutto il
Mediterraneo (ndr), venendo tagliato fuori dal progresso scientifico ed
economico. Un processo sul qual influirono non solo le circostanze ma anche le
contraddizioni interne che pesarono negativamente. In generale, ci racconta l’autore
del saggio, stupisce la sua capacità di precorrere i tempi e di avvertire la
traccia della storia quale poi sarebbe accaduta.
Cardine del suo pensiero
la distinzione tra le scienze umane improntate alla razionalità e le scienze
religiose basate sulla fede e la sottolineatura dell’importanza della
razionalità con un’enfasi che ritroveremo in Kant. Fu uomo politico, sapiente,
con una vita attraversata da molte peripezie; fu economista; e filosofo nonché
sociologo. Figlio di una famiglia di nomadi poi passati a vita sedentaria,
colse quella che sarebbe stata l’evoluzione della società al variare dei
bisogni che avrebbero portato i nomadi, cacciatori e pastori legati solo all’offerta
spontanea della terra; in agricoltori, allevatori; commercianti e artigiani, a
stabilizzarsi. Un processo raccontato in modo razionale e di sorprendente
modernità, tanto che è stato definito ‘economista della domanda’. La sua vita
rocambolesca lo ha portato a ricoprire incarichi importanti e al centro delle
vicende chiave che hanno interessato il Maghreb. In qualche modo può essere
considerato il primo storico del mondo arabo perché attribuì alla storia un
ruolo centrale, oltre la cronaca degli avvenimenti, e la concettualizzò come
scienza che studia la civiltà universale cercando una motivazione dei fatti e
degli eventi oltre la semplice registrazione. Così analizza il corso storico
secondo un’ ottica triplice, rispettivamente sociale, politica ed economica: il
passaggio dalla società beduina a quella sedentaria; dal califfato alla monarchia;
da un’economia naturale (lo sfruttamento delle risorse esistenti) ad un’economia
di mercato. Singolare il pessimismo storico di Ibn Khaldoun che ne connota una
grande maturità evidenziando la trasformazione come la risposta o il tentativo
di una risposta all’inadeguatezza, ad un bisogno insoddisfatto con il passare
del tempo e la situazione in evoluzione. Nella fase avanzata di
sedentarizzazione il villaggio diventa una città e in un primo tempo si
struttura e si consolida l’assabiya, lo
spirito di del clan. Quest’ultimo è essenziale nel califfato che poi cede però
il posto alla monarchia con la quale si affievolisce il legame di forza
interiore per dar vita al primo sistema clientelare della storia. Direi che
geniale è il fatto di aver percepito la struttura urbana come il futuro della
civiltà e l’economia di mercato come la via dello sviluppo e allo stesso tempo
foriera di contraddizioni: la crescita del soddisfacimento dei bisogni porta
con sé la lotta per la difesa e l’accaparramento della ricchezza, quindi la
progressiva dissoluzione dei legami tribali e di un sistema di solidarietà. Da
qui un senso di pessimismo che pervade la storia. Dal punto di vista dell’analisi
economica per la prima volta si procede ad una riflessione dalla parte dell’uomo
e dei suoi bisogni che tende naturalmente a soddisfarli, all’inizio nutrendosi.
L’uomo è però fatto per vivere in società e la società non solo è più adatta a
soddisfare i bisogni quanto ne produce di nuovi, essendo questi evolutivi. In
qualche modo l’uomo resterà pertanto sempre insoddisfatto. Fondamentale è il
riconoscimento del lavoro umano come fonte primaria di ricchezza e la lotta per
i suoi diritti e la dignità dell’attività produttiva che rappresentano concetti
di forte innovazione, a quei tempi assolutamente ignoti alla riflessione occidentale
o più precisamente europea. Sul tema dei conflitti e delle ineguaglianza ci
sono capitoli molto interessanti in fatto di etica dove, al di là delle
considerazioni mutuate dalla tradizione islamica, ci sono in nuce già i
principi del socialismo storico.
La seconda parte del
libro, anche se non c’è una divisione organizzativa, quanto piuttosto una
successione di argomenti, si concentra sulla storia del Maghreb, soprattutto
del 1400, fino alla colonizzazione dalla quale Marocco e Tunisia si libereranno
nel 1956 e l’Algeria nel 1962, portando però a lungo i segni. A mio parere
questa parte è di grande interesse perché riequilibria lo studio della storia
dalla parte degli Europei che, al di là di ogni interpretazione critica,
ovviamente di parte, toglie la prospettiva circolare mediterranea per
concentrarsi sullo scacchiere continentale. Mi pare che dei tre paesi del
Maghreb, il quadro tunisino sia il più completo sia perché probabilmente quello
più noto anche nella sensibilità a Ibn Khaldoun, sia perché chi legge è il
paese che conosce meglio nella modernità e quindi più in grado di leggerne la
trama. Un personaggio certamente da riscoprire e da far conoscere fuori dai
confini del mondo arabo che l’Europa anche degli addetti ai lavori non conosce.
Non esiste neppure nei corsi di laurea in filosofia.
“Ibn
Khaldoun
Un
génie maghrébin”
1332-1406
di
Smaïl Goumeziane
EDIF 2000
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