giovedì 22 agosto 2013

L'ultimo Camus

Le premier homme 
de Albert Camus 

Un’opera incompiuta, matura come lo può essere quanto si scrive e ci si interrompe solo perché la vita ci lascia. E’ il ritorno alle origini, un’autobiografia inconsapevole, un diario intimo e insieme di viaggio, una rievocazione che diventa affresco storico e sociale. Un testo nel quale si avverte forte la malinconia, la dolcezza come in nessun altro scritto di Albert Camus e anche la tenerezza sofferta verso quel bambino rimasto nascosto e lacerato in un angolo nascosto dell’io come per molti altri bambini. E’ imbarazzante se non fosse arrogante pensare a poter esprimere un giudizio su un testo del grande Camus. Il mio è un invito a una riscoperta, di un autore del quale ho letto quasi tutto ma che il cinema mi ha suggerito di leggere, di questo testo che resta sospeso tra l’autobiografia e il romanzo. Probabilmente il primo elemento sarebbe stato attenuato in quella stesura definitiva che non ci fu mai che avrebbe preso la forma del romanzo appunto. Del manoscritto Camus in una nota scrive “En somme, je vais parler de ceux que j’aimais”. Un progetto ambizioso e forse doloroso. In queste pagine che ho cominciato a leggere a Marsiglia, la città francese di Camus, da quel porto porta di Algeri e del Maghreb, svela il lato ‘romantico’ dell’impegno civile dello scrittore francese che ha inteso dare voce a coloro ai quali la storia ha rifiutato la parola. Ho ritrovato molte delle suggestioni e dello spirito di “Rue Darwin” di Boualem Sansal, scrittore algerino contemporaneo recensito in questo spazio di recente, anche se in quest’ultimo la vena lirica e intimistica non assurge all’universale come ne’ “Le premier homme”. La scrittura è nitida, pulita, essenziale come quella di una generazione di francesi, in grado di unire la cultura accademica, alla modernità; il lirismo alla sintesi giornalistica. Ci sono accenti di grande raffinatezza e anche venature poetiche che non ho riscontrato altrove nei testi di Camus che talora sono, anzi spigolosi. Certo l’incompiutezza delle pagine ritrovate nella sua saccoccia il 4 gennaio 1960, giorno della sua morte, si avverte e qualche dubbio resta. C’è ancora il senso frammentario e qualche mancanza di filatura nella storia. Sicuramente questo aspetto conferisce anche l’aspetto intrigante all’incedere delle pagine perché si vivono in diretta al fianco dell’autore. C’è la ricerca di un padre mai conosciuto, metafora delle radici sospese; la tenerezza verso una madre che un mondo di parole separa e l’amore unisce; il ricordo della nonna materna a tratti crudele, resa quasi violenta dalla miseria, matriarca che soggioga la stessa figlia; i compagni di scuola e la scuola, oasi e salvezza per i ragazzi delle famiglie umili di Algeri; sullo sfondo la città che il denaro e il ceto sociale tagliano a fette e separano in zone up e quartieri popolari: basta un viale a disegnare due mondi che sembrano incapaci di parlarsi e che temono anche solo di sfiorarsi. Ma c’è l’ingenuità e la caparbietà di due ragazzi la cui diversità dei genitori non li spaventa anche se vero è che i bambini sono individuati e rappresentati nella società dai propri genitori. C’è infine la figura del maestro, sostituto paterno, guida e tutore dell’anima di chi la miseria avrebbe marginalizzato ma la parola è in grado di salvare o di condannare alla responsabilità di essere engagé. Qui in nuce c’è il Camus che sarebbe diventato, l’uomo straniero a se stesso, francese ad Algeri, pied noir una volta in Francia, sempre in cerca di un altrove dalla parte dei più deboli.

"Le premier homme"
de Albert Camus 
folio

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