lunedì 23 settembre 2013

Editoriaraba - Muhammad Barrada: dalla scrittura romanzesca alla teoria letteraria


Per lo #specialeMarocco oggi Rabii El Gamrani ci parla dello scrittore marocchino Muhammad Barrada e del suo libro Vite vicine, pubblicato nel 2009 in arabo, tradotto di recente in francese, ma (ancora) non tradotto in italiano. Rabii lo ha letto in arabo e in francese, ecco perchèé nel post di oggi trovate alcune traduzione inedite e il titolo citato sia in arabo che in francese.

Io, come Chiara Comito, avevo letto tra gli altri libri  di Barrada Il gioco dell’oblio, tanti anni fa. Era stata una lettura intensa e complicata che mi aveva lasciato un’immagine nitida della città di Fes, nei cui vicoli il romanzo è in parte ambientato. ho inoltre avuto il piacere di conoscere e intervistare questo autore che vive a Bruxelles qualche anno fa in Calabria in occasione di "Ottobre piovono libri".

di Rabii El Gamrani


E’ indubbio che Muhammad Barrada costituisca una delle voci più autorevoli della letteratura araba. Lo scrittore, che unisce in sé una cultura cosmopolita e bilingue, ha alle spalle una formazione di prestigio: dopo il diploma in Marocco, si laurea al Cairo e consegue un dottorato alla Sorbona, a Parigi, in letteratura. Traduttore e docente universitario, Barrada prima di essere uno scrittore è un teorico della letteratura e uno dei maggiori studiosi e traduttori del critico e semiologo francese Roland Barthes (1).

Il suo progetto include non solo la narrazione di storie, ma anche il teorizzare e l’interrogarsi sulle forme narrative adatte per raccontarle, con un approccio che si basa su nulla di preconfezionato. Così ogni romanzo diventa un’occasione per continuare lungo quella via intrapresa a metà degli anni ’80 che venne chiamata “Al Tajrib” (la sperimentazione). (2)

Ho incontrato Muhammad Barrada due volte al Salon International de l’Èdition et du Livre che si è tenuto a Casablanca a marzo scorso. La prima volta l’ho incrociato per caso mentre presentava un libro postumo dello scrittore marocchino Edmond Amran Al Maleh; ebbi l’occasione di salutarlo e di fissare un appuntamento per il giorno dopo, quando ci sarebbe stata la presentazione della sua ultima fatica letteraria:  حيوات متجاورة pubblicato dalle Èditions Le Fennec (Marocco) e Dar al-Adab (Libano) nel 2009 e tradotto in francese dalla casa editrice Actes Sud con il titolo Vies voisines (3).

Era passato molto tempo da quando l’avevo visto per la prima volta.

Anche davanti allo scrittore non riuscivo ad evocare nessuna immagine di quel primo incontro avvenuto in passato, io e la mia memoria eravamo saldamente ancorati a delle evocazioni frutto di stratificazioni successive.

Se mi dilungo nel “denunciare” la défaillance della memoria è perché parlando con Berrada ho trovato un uomo “ossessionato” della componente mnemonica della letteratura.

Quando lo incontrai a marzo, ancora non avevo letto Vies voisines e non sapevo cosa aspettarmi, ma Berrada mi introdusse alla lettura del suo ultimo libro riportandomi alla struttura dei suoi libri precedenti. A dir la verità sono stato io a trascinarlo a spiegarmi perché nella sua produzione letteraria conduce i suoi personaggi attraverso dei labirinti narrativi e spazio – temporali filtrati dalla prospettiva di diversi narratori.

Nella scrittura di Barrada infatti, il lettore non si trova solo di fronte a dei protagonisti di cui deve decodificare le storie, la psiche e le prospettive, ma anche davanti a dei tasselli seminati lungo il percorso narrativo che somigliano al gioco dell’oca: si avanza e si indietreggia e si indietreggia per avanzare. In una prassi collaudata, lo scrittore marocchino fa intervenire dei narratori esterni che si affiancano e si alternano al narratore/scrittore nello svelare aspetti inediti e talvolta contrastanti delle vicende narrate.

Questa tecnica della molteplicità dei narratori di cui Barrada è diventato lo specialista incontrastato risponde a due necessità interconnesse che costituiscono il cardine del suo progetto creativo: la Memoria e la Temporalità.

A far sbocciare la narrazione e a guidarla successivamente c’è sempre la memoria dell’autore che, avendo assistito o intercettato dei fenomeni sociali, culturali o politici che attraversano la società, si trova in un secondo momento chiamato a mettere a fuoco la sua memoria e ad interpellare quella degli altri per narrare questi fenomeni di cui la comprensione o l’analisi varia non solo da memoria a memoria, e dallo scorrere diverso del tempo per ognuno dei protagonisti, ma anche per il fatto che, accanto alle memorie individuali, c’è una “memoria collettiva” che Barrada non rinuncia a raccontare, grazie soprattutto alla molteplicità dei narratori.

Ecco come chiarisce questo concetto nel preambolo di Vies voisines:

“Dall’inizio siamo di fronte al disorientamento del narratore che tiene le fila della storia, conosce alcuni personaggi, ha visto, sentito, osservato delle scene che si sono ancorati in maniera cosciente o incosciente dentro di lui. Tutto questo è ben risaputo da chiunque abbia provato un giorno a narrare una storia: si resta indecisi sull’inizio, sul modo di estrarre i personaggi dall’alcova della memoria e dell’immaginario. Secondo me, lo scrittore che si nasconde dietro un narratore non adotta solamente uno stratagemma retorico, egli sente, profondamente che ci sono molteplici modi di dare corpo ad un testo.”

Quando lo scrittore pone fra sé e i suoi personaggi altri narratori, egli non fa altro che dare voce alla molteplicità delle memorie, ai vari gradi di comprensione e di analisi che anche una singola vicenda racchiude, e mettere sotto pressione, e a relativizzare, sia la versione dei personaggi che quella dell’autore/narratore.

La Temporalità invece si esprime attraverso una scelta cosciente di raccontare storie e fatti con un certo distacco temporaneo. L’autore si fa voce di vicende accadute in passato, ma le cui ramificazioni si estendono al presente e al futuro, cosicché i personaggi berradiani sono accompagnati quasi dalla loro nascita, fino alla loro dissoluzione corporea o narrativa, dall’ombra onnipresente dei narratori in un andirivieni continuo fra passato e presente.

Barrada lo spiega attraverso la voce del Rawi:

“Mi chino su dei fatti passati, tasche di memoria, tutto ciò era successo molto tempo fa. Ecco perché farei ricorso ad una classifica e ad una disposizione delle narrazioni. Vorrei re-immaginare, cosciente della relatività delle cose, degli eventi e dei giudizi. Secondo quale norma e in quale misura potrei interrogare il vissuto altrui? Come accedere alla neutralità richiesta dal mio ruolo? Il Tempo è un dato ambiguo, esso confonde e camuffa la realtà, non è affatto facile parlare di un passato di cui i segreti sono stati svelati alla luce di un presente che non è altro che il futuro di all’ora. Le narrazioni interrogano i fatti alla luce di un tempo già finito. Quindi la questione della temporalità è sempre lì a disorientare, ne ha ingannato molti altri prima di me. Tuttavia siamo ammaliati dai racconti del tempo passato, forse nella speranza di trovare delle briciole di quell’istante primordiale che ha sigillato il nostro legame con la vita, e non intendo l’enigma del Tempo, le sue manifestazioni o la possibilità di misurarlo. Ciò che mi preoccupa fondamentalmente è di delimitare la posizione di colui che parla, che racconta il Tempo: dove si posiziona? Dove si trova l’autore quando segue la Temporalità degli oratori e dei protagonisti nello spazio del suo romanzo? Dove si posiziona il narratore? Colui che parla del tempo convoca la morte, la finitudine, la logica degli eventi, i momenti di gioia e di delusione, le illusioni di realizzarsi attraverso il sesso e l’amore? O piuttosto si accontenta di rimettere il tempo nel suo corso abituale, nella sua scansione che guida i rapporti umani?” .

Barrada esce dal disorientamento intrinseco nel Tempo fisico e narrativo grazie allo stratagemma della molteplicità dei narratori, che gli permette di viaggiare fra il passato e il presente, di rendere la Temporalità liquida e fluttuante, e di indagare l’universo dei personaggi da varie angolature.

Così in Vies voisines le vite dei protagonisti sono distillate attraverso una tripla indagine: la prima, seguendo la maieutica socratica, è quella del narratore-narratario che incita alla confessione invitando i protagonisti a raccontargli le loro vite, le cui storie registra su un nastro. La seconda passa invece attraverso un’evocazione personale dei protagonisti senza il filtro di un narratore, i quali sono quindi soli davanti alle loro voci; e infine quella del Rawi, che si pone come un’ autorità narrativa super partes, forgiando a sua volta il proprio sguardo sui personaggi e le loro vicende.

In Vies voisines la narrazione gira attorno a tre personaggi: Naima, donna emancipata e spavalda che Berrada vuole prototipo di quella classe marocchina formatasi all’indomani dell’indipendenza, che continua a vivere sotto il fascino della cultura francese progressista e in antitesi con i valori della società marocchina, interessata ad assicurarsi un tenore di vita alto anche al costo di trovarsi imbarcata nel mondo della criminalità; Ould Hnia, uomo del popolo avveduto e affascinante che rappresenta la classe povera, dotato di intelligenza e di esperienza è tuttavia destinato a vivere ai margini, e infine Wariti, vecchio politico disilluso e voluttuoso, esempio di quella classe politica reazionaria e schizofrenica che in pubblico predica un rigore moralistico tradizionalista e conservatore, mentre nel privato pratica la dissoluzione e l’immoralità.

I tre personaggi si raccontano, si confidano, si incrociano, si seducono, si aiutano e si tradiscono e in filigrana attraverso le loro confessioni si profila l’immagine contraddittoria della società marocchina contemporanea, con le sue aspirazioni al cambiamento e i suoi blocchi strutturali, politici, culturali e sociali.

A queste tre vite si aggiunge quella del “narratore-narratario” Samih, un intellettuale progressista di sinistra che ha condiviso le “vite attigue” dei personaggi – accomunato a loro da una tardiva consapevolezza di fallimento – di cui registra il racconto ma di cui tradisce le confidenze mettendole per scritto, e filtrando questo tradimento attraverso l’intervento di un Rawi (cantautore), figura centrale della letteratura popolare araba, che mette a distanza e che presenta queste vite interconnesse.

Ne risulta una ricerca esistenziale e metafisica che s’interroga sull’origine del piacere, sul senso e le ragioni di stare al mondo, sul dramma della temporalità e della finitezza umana, sul valore dell’amore e dell’amicizia, sulla politica e la società e sulla storia di un paese dalle molteplici facce.

Muhammad Barrada, fedele a quello stile che l’ha contraddistinto, mescola la finzione alla realtà, la scrittura alla teorizzazione. In Vies voisinescome nei romanzi precedenti egli non rinuncia ad interrogarsi anche sulla capacità del romanzo, come forma espressiva, di racchiudere la complessità della realtà e teorizza, sempre grazie a questo gioco dei molteplici narratori, la necessità di affiancare al romanzo altre forme di espressione. In linea teorica lo fa poiché parte della narrazione nel romanzo vuole essere non una scrittura, ma una registrazione, non una lettura, ma un ascolto, mentre il finale, opera del Rawi, è una sceneggiatura che ha tutte le tecniche della scrittura cinematografica.

Lo scrittore marocchino mi confessò che il suo desiderio era di realizzare un libro multimediale in cui le parti che teoricamente nel testo sono riportate in un nastro fossero davvero registrate su un nastro che avrebbe potuto accompagnare il libro, mentre la sceneggiatura l’avrebbe voluta personificata con uno strumento cinematografico, progetto ambizioso al quale Berrada ha dovuto rinunciare per delle difficoltà materiali e tecniche.

Ciò al quale invece Berrada non ha rinunciato nemmeno in questo romanzo è il suo realismo linguistico, realizzato attraverso l’uso del dialetto, così quando Ould Hnia prende la parola, si racconta interamente in dialetto marocchino. Ancora una volta lo scrittore marocchino mette a dura prova i suoi traduttori da cui egli vorrebbe che tenessero in considerazione la sua scelta di coerenza linguistico-realistica di passare dall’arabo classico al dialetto marocchino, cosa che non è avvenuta nella traduzione francese del libro.

Tutti questi fattori, oltre alla complessità della lingua e del pensiero berradiano, fanno sì che la lettura di Vies voisines, come degli altri romanzi dello scrittore marocchino, sia davvero un’ esperienza stimolante e arricchente dal punto di vista umano e letterario, che molto spesso sfiora la trascendenza dell’ineffabile.

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Per chi capisce l’arabo, qui può trovare un’intervista fatta allo scrittore su France 24 in cui l’autore parla proprio del libro.

Note

(1) Mohamed Barrada ha tradotto  il famoso libro di Roland Barthes: Il grado zero della scrittura, e ha scritto molte altre opere di critica letteraria sia in francese che in arabo.

(2) Al tajrib è quel filone letterario a cui diedero vita diversi scrittori marocchini fra cui Abdellah Laroui, Mohamed Souf, Mohamed Berrada ed altri; questo filone cercò di rinnovare la scrittura del romanzo in Marocco sfruttando sia le tecniche moderne della narrazione che il patrimonio storico-orale di cui la tradizione araba è ricca.

(3) Il titolo corrisponde sia ad un’esigenza di contenuto che di forma: ad essere vicine o attigue non sono solo le vite narrate, ma anche le tre forme espressive contenuti nel libro: romanzo, registrazione su nastro e sceneggiatura

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