Ilaria Guidantoni Sabato, 08 Novembre 2014
Il canto del cigno di un barista che rivede la sua vita nel microcosmo di un caffè che è diventato la sua famiglia, scandito da incontri, conversazioni e la storia d’Italia, quella vissuta, del Ventennio, della Guerra e del ritorno alla vita, la ricostruzione e l’attività febbrile. La buona letteratura di un tempo, di intrattenimento intelligente, un libro ben scritto, curioso e gustoso, ben documentato.
Gran Caffè Cirenaica è un affresco di un piccolo grande mondo in movimento, rivissuto nella memoria e quasi in una dimensione onirica da uno dei due baristi, Aurelio, sentimentale e appassionato della vita, che ha trascorso la propria facendo del caffè l’orizzonte. Un lavoro semplice che in un momento di precarietà e disaffezione per il mestiere, di litigiosità, ci racconta e ci ricorda il senso della dignità legata al mestiere (di vivere). In fondo, specialmente per chi non costruisce una propria famiglia, come il protagonista di questa vicenda, il lavoro è il proprio baricentro, l’eredità che si lascia ed è prima di tutto incontro di persone.
Il libro è la storia di una grande amicizia tra il proprietario del caffè e il barista nel senso nobile in cui la intendeva Seneca, non solo la complicità, la voglia di godere insieme i momenti liberi e di essere solidali nella confidenza e nel bisogno; anche una “società” aperta agli altri, di supporto ai più deboli e a chiunque ne abbia bisogno. Ancora la testimonianza che non esistono mestieri inutili – tanti sono quelli che vengono alla luce dalle conversazioni con gli avventori – o banali. Dipende tutto da come si vivono e perfino la prostituzione può avere una sua dignità e una sua redenzione. C’è nel libro uno sguardo benevolo verso l’umanità, che è misericordia non buonismo, perfino ironia verso le debolezza, ma prima di tutto accoglienza.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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