Scritto da Ilaria Guidantoni Giovedì, 03 Dicembre 2015
Una confessione, un flusso di coscienza interrotta, sanguigno come la voce narrante che narra di sé: è la Sardegna ispida, rocciosa, interna e interiore, delle profondità, mentre il mare resta una minaccia. Voce al femminile, vaso ancestrale di vita che assume in sé elementi vitalistici e confessa il proprio dolore senza arrendersi. E’ anche un’analisi sull’intellettuale come narratore della propria coscienza e voce del mondo, con il dovere di dare parola ai più deboli.
E’ difficile recensire i libri di Giovanna Mulas, soprattutto questo, perché sfuggono più di altri ad un’etichettatura e non è né un appunto né un complimento. Chi la conosce come me può capire che leggere un testo che è una confessione così come anche i suoi romanzi senza incontrarla è arduo e qualche volta se ne può perdere il senso. Giovanna è carnalità allo stato puro e voce e i suoi romanzi vanno prima di tutto ascoltati nei suoi recital, guardandola, respirandola. Questo scritto non sfugge a mio parere a tale logica, anzi la rafforza e testimonia il continuum che in lei esiste tra vita e letteratura più che altrove. Il testo è frammentario e nello stesso tempo fluido, con alcuni passaggi che tornano, ciclicamente, è più di un’autobiografia e di un diario intimo, è la confessione quasi dal vivo, registrata sulla carta di un’anima dolente ma non arresa. Giovanna narra in capitoli che sembrano piccoli saggi, estratti, talora scritti propedeutici o a commento di altri suoi scritti nonché articoli di un giornalismo irrituale, la propria storia senza un’organizzazione storica, logica e narrativa ma partendo dal dolore e dagli episodi apicali di esso: la lotta con il mare al quale è sfuggita per miracolo che diviene metafora del maschio tentatore e violentatore in un immaginario molto vicino a quello del mondo arabo mediterraneo. Poi Giovanna è la vittima di una madre, a tratti dolcissima, in altri momenti violenta, preda della schizofrenia; e ancora di un padre, un amore grande e un involontario carnefice – il commento è mio e mai dell’autrice che gli è teneramente riconoscente – per aver amato e protetto i figli, nascondendogli però l’amara verità e quindi disorientandoli rispetto alla madre. E ancora vittima di un amore malsano e violento fino alla resurrezione.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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