mercoledì 23 dicembre 2015

“L’autunno, qui, è magico e immenso” di Golan Haji

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 22 Dicembre 2015

Una raccolta di poesie che è un viaggio nella vita che vibra sotto le ceneri, che non si arrende. Una scrittura poetica che unisce l’arcaicità della poesia classica e la modernità del verso spezzato, della prosa, come la contraddizione della vita. Un poeta di rara sensibilità e raffinatezza, che impegna in una lettura complessa e ardita, estremamente virtuosa, mai retorica e accademica per descrivere la precarietà di una vita strattonata dalla guerra, dove l’esilio è struggente, il sangue troppo vivido e scuro ma l’amore resta un appiglio irrinunciabile. Una poesia di impegno non militante e per questo arte pura.

La Siria di oggi è violenta e nessun intellettuale autentico può esimersi dal raccontarne il dolore, lo strazio, la tortura una vera ossessione, solo che Golan Haji – Joulān Hāī – poeta curdo, medico patologo, di madre lingua curda che scrive in arabo e si auto-traduce in inglese, lo fa in un modo garbato, dando sfogo alle vibrazioni interiori, senza intenti programmatici. L’attualità scaturisce dal riflesso che procura nel vissuto intimo e in un’assonanza tra il corpo del poeta, dell’io narrante e la terra. La metafora dell’autunno è centrale perché nella sua bellezza struggente, non è custodia del calore e dell’energia dell’estate, non prepara né protegge dal rigido inverno, non è un invito all’intimità ma è lacerazione, come nella poesia che dà il nome alla raccolta. Perfino l’azzurro del cielo si accompagna alle ombre di un dormitorio. E lo stesso meriggio è quel vagare nell’ombra in un passaggio dal caldo accecante all’oscuro. E’ come se non ci fosse nessuna tregua: la sua è una poesia delle ombre intese come tenebre, fragilità dell’essere umano ridotto ad ombra di se stesso, piegato come ci racconta il poeta dalla tortura, anche solo psicologica; ma anche come riflesso del tutto, della bellezza divina, ineffabile e imprendibile per il poeta. Ricorda certamente in questo aspetto sia la tensione “mistica” della poesia classica e la missione del poetare come epifania sia quella moderna dell’indicibilità e dell’impotenza umana. Come non ricordare Eugenio Montale e noi che non abbiamo il verso? Ecco che il tema non diventa solo il racconto della vita dolorosa della Siria al tempo di oggi, anche se non c’è mai una puntualizzazione del luogo e del tempo, quasi fosse una condizione esistenziale universale, quanto un meta discorso sul linguaggio, sul dovere e la tensione all’infinito che però non si realizzerà mai completamente.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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