Ho conosciuto Stefano
Giovinazzo, giovanissimo giornalista ad occuparsi di sicurezza stradale, quindi
avventuriero (e do in questo caso un significato positivo al termine) in
qualità di editore (mio primo editore tra l’altro) e lo ritrovo autore, in
particolare, poeta. Nella scelta di campo mostra tutto il suo coraggio come
dichiarano anche i due autori che scrivono a margine del libro. Avvicinarsi alla
lettura poetica dovendo esprimere un giudizio critico mette sempre un disagio e
imbarazzo. La sua scrittura è incisiva e nello stesso tempo lieve, con l’uso
del punto fermo ripetuto come a poggiare la lettura, enfatizzando la
sospensione dell’attesa, fil rouge
della raccolta, a cominciare da titolo; ma nello stesso tempo a sottolineare come
l‘attesa sia parte della vita ed abbia una propria consistenza e valore
indipendentemente dall’oggetto dell’attesa.
Il Godot al quale si
fa riferimento nel titolo è la figura del teatro dell’assurdo, in primis del
teatro di Samuel Beckett, dove però l’attesa prende consistenza, guardando sia
al futuro, sia al passato, al rimpianto soprattutto di amori passati, traditi,
fuggiti. In modo originale, nel testo di Giovinazzo l’attesa non appare una diminutio della vita come il dolore,
lungi dall’esserne la negazione. Anzi, la consapevolezza che arriva nella
crescita non provoca il rimpianto dell’infanzia né il ripiegamento su se
stesso. Se ‘l’entusiasmo antico è divenuto/avaro di emozioni./La vecchiaia
degli amori/densa di amare suggestioni…’, senza un affievolirsi infatti ‘mani
sporche di errori/ma immortalità’.
L’uomo che aspetta
dunque non è un uomo indeciso ma calato nella vita quotidiana, non sospeso ma
che sceglie di assaporare e scendere fino in fondo in questa fluttuazione: per
cui attendere è un modo di cercare. E in questo incedere c’è un’accettazione
del tempo che passa non solo come una fuga verso il nulla ma una sedimentazione
dell’esperienza che fa dire al poeta, ‘ho sorriso al tempo’.
A riprova del senso di
pienezza che invoca l’attesa in questo testo una lirica inizia con ‘Ho
smesso/di restare fermo./Aspetto soltanto me stesso…./Mi concedo/il lusso di
guardare lontano’.
Altro filo conduttore è
rappresentato dall’amore che appare sempre nella nostalgia di ‘Giovani
delusioni/in preda/a fredde paure’ o di un dialogo atteso, invocato con l’altro,
senza mai essere troppo amaro o aggressivo. C’è una costante apertura alla
possibilità di ricongiunzione. Infine c’è anche un accenno al tema civile in
abbozzo come nei versi che raccontano ‘Avvinta da/macabri impedimenti/calibro
9./E vinta./Sfiorata/dalle fughe di massa/e colpevole./Di ammutinamento.’
C’è comunque sempre
uno spazio di possibilità, come per i sogni e in questo invito, anche quando si
scopre che ‘l’acqua è amara’ ma che comunque ancora disseta, l’appello alla
responsabilità etica dell’esercizio della
libertà.
“Il Sorriso di Godot”
di Stefano Giovinazzo
Edilet Edilazio Letteraria
Euro 10,00
Prefazione di Irene Ester Leo
Giovane poetessa salentina editata
da Stefano Giovinazzo in qualità di editore
Postfazione di Marco Onofrio
Direttore Editoriale EdiLet
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