“Se tutta l’Africa”
di Ryszard Kapuscinski
L’Africa
dalla parte di chi l’ha vissuta, ascolta, capita, sofferta intuendo quello che
sarebbe diventata, senza nessun intento predittorio. E’ per questo che dopo
quarant’anni il viaggio di Ryszard Kapuscinski resta attuale, in un modo
spiazzante. Per me che non conosco, è vero, la storia dell’Africa di quegli
anni è stato un percorso illuminante nel quale trovo specchiata l’Africa di
oggi, quegli spicchi che ho intravisto. E leggendo e rileggendo alcuni passaggi
ma ho sentito qualcosa di stanco, di démodé, di superato. E’ vero, dal 1966 la
popolazione africana è triplicata e molti stati hanno mosso passi
significativi, ma le linee tracciate dal grande reporter polacco sono sempre
valide, a mio sommesso avviso. Il testo nasce dalla selezione di una serie di
reportage pubblicati sulla rivista polacca “Polityka”tra il 1962 e il 1966 e
raccontano il terremoto dell’Africa nella fase di decolonizzazione, lo
smembramento e la fondazione della cosiddetta Africa moderna. La narrazione
copre gli anni dal 1955 al 1966, con il culmine della cosiddetta rivoluzione
africana nel 1960, partendo dal primo stato che raggiunge l’indipendenza, la
Libia; alla tappa del 1956 con la proclamazione dell’indipendenza del Sudan,
della Tunisia e del Marocco; fino al 1964 quando diventano indipendenti Malawa
e Zambia. Sono approfondimenti con una forza didattica superiore ad altri
testi, una lectio magistralis, che in Kapuscinski non ha mail sapore accademico
quanto la giusta distanza di chi è ad un tempo in prima linea come reporter e
viaggiatore nell’animo, sull’Africa. Condivido pienamente la sua definizione
che parla di Africa come di un concetto di comodo, per connotarla dal punto di
vista geografico anche se, come afferma nella stessa prefazione di “Ebano”,
l’Africa di per sé non esiste. Troppo grande e troppo composita per essere
considerata un tutt’uno e in effetti la lotta, la rivoluzione africana, contro
il colonialismo per un’unità africana è sostanzialmente fallita. L’anatomia del
continente sfata molti miti comuni, come quella di continente nero quando solo
il 60% della sua popolazione è di colore. Con la naturalezza del narratore che
della cultura africana ha assorbito la sensorialità e l’oralità, l’autore fissa
alcuni concetti essenziali con una grande densità di questo enorme mondo ai più
sconosciuto e guardato come una realtà indefinita quanto falsamente uniforme.
Tra l’altro l’Africa era più nota prima della decolonizzazione: per la Francia
e l’Inghilterra in particolare faceva parte della loro storia e i figli bianchi
africani studiavano quasi tutti all’estero, assorbendo la cultura
internazionale e il linguaggio della propaganda della madre patria. Poi i mezzi
di comunicazione hanno fatto grandi progressi e paradossalmente l’Africa è
gradualmente scomparsa dalla ‘nostra’ informazione. L’Africa è quel grande
mondo agricolo, seppur incapace di trarre dall’agricoltura il vero profitto,
avendo scelto il modello estensivo; ricco di materie prime delle quali
rifornisce il mondo eppure debitore e dipendente dal commercio estero.
Continente enorme e poco popolato con la popolazione sparsa in villaggi,
disorganizzati e incapaci di diventare una forza politica. E’ il modello della
tribù e della rivalità tra i popoli e le etnie, le migliaia di lingue
all’origine dell’arretratezza africana che tuttora persiste. Emblematico a
riguardo il caso della Nigeria dove le regioni sono rappresentate da 4 diverse
popolazioni, le più importanti delle quali gli hausa – musulmani – gli ibo
– cristiani – e gli yoruba – metà
cristiani e metà musulmani – introduce alla storia tragica dei nostri giorni
quando troppo facilmente si stigmatizza l’acrimonia tra musulmani e cristiani
come guerra di religione. Troppo lungo e riduttivo sarebbe addentrarsi in modo
sintetico nei tanti argomenti dell’analisi di quegli anni cruciali per l’Africa
sui quali si è scritto molto e poi più nulla e ci restano concetti vaghi e
deformati. Splendido il passaggio su parallelismo e differenze tra la
rivoluzione asiatica che ha portato l’India all’indipendenza nel 1947 e di lì
agli anni Sessanta del XX secolo tutti gli stati all’indipendenza e quella
africana dove le differenze superano i banali e frettolosi accostamenti. Una
cosa ci resta delle storie e della storia: l’Africa sarebbe dovuta o voluta
tornare agli africani. Così non è stato. Non c’è controprova ma l’influenza
mediatica, economica e politica dello scenario internazionale continua a pesare
e sta soffocando anche gli ultimi venti rivoluzionari. Purtroppo continuiamo a
leggerla con le categorie delle ex madrepatria dove gli operai sono quelli
dell’industria e possibilmente della grande industria ad esempio. E l’Africa ci
sorprende e ci spiazza.
“Se tutta l’Africa”
di Ryszard Kapuscinski
Narratori Feltrinelli
Euro 16,00
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