lunedì 14 ottobre 2013

Editoriaraba - La parola al traduttore arabista. Intervista con Ramona Ciucani


Continua la rubrica dedicata alle interviste con i traduttori letterari italiani dall’arabo. L’ospite di oggi è Ramona Ciucani, arabista e traduttrice letteraria (la biografia completa si trova in fondo all’intervista).

Editoriaraba: Come sei diventata traduttrice editoriale dall’arabo: è stata una scelta o una passione che si è trasformata in professione?
Ramona Ciucani: Un incontro fortuito e fortunato. Nel 2005, grazie a un’iniziativa letteraria in provincia di Macerata, ho incontrato la traduttrice Elisabetta Bartuli e sono venuta a conoscenza del Master di traduzione editoriale-letteraria dall’arabo della Scuola Superiore per Mediatori linguistici di Vicenza, che ho frequentato nel 2005/06 e con cui ho la fortuna di collaborare dal 2009.
Avevo sempre avuto l’estro e la curiosità per la traduzione, ma prima del master non avevo mai avuto la possibilità di metterla in pratica o di pensarla come una possibile professione. Lo stimolante confronto con quelle che da insegnanti e guide sono diventate mentori e colleghe ha dato il via a un percorso che ha ridisegnato le mie prospettive lavorative e mi sta offrendo notevoli occasioni di crescita sia nel rapporto individuale “corpo a corpo” con i testi tradotti, sia nello scambio collettivo che si instaura durante le lezioni del Master con gli studenti.
La scelta di fare della traduzione una professione non è automatica, soprattutto in Italia, che non definirei un “paese per traduttori” purtroppo. 
Comunque spero di poter continuare a tradurre perché è un lavoro appassionante dal punto di vista intellettuale. 

Ea: Quali sono secondo te le principali difficoltà nel tradurre dall’arabo in italiano, dal punto di vista linguistico, e quali invece i vantaggi che l’italiano ha come lingua rispetto ad altre lingue europee, come ad esempio l’inglese e il francese?
RC: Linguisticamente l’arabo e l’italiano sono lingue distanti per via della diversa struttura logica, le differenze in fatto di costruzione-ordine della frase, di consecutio temporum, di sistema di coesione (l’arabo tende alla paratassi) si fanno sentire nell’atto del tradurre. 
A mio avviso, altri due aspetti socio-culturali che possono dare filo da torcere sono: i riferimenti al sostrato culturale classico o popolare (es.: citazioni, versi di poesie classiche e modi di dire caduti in disuso), che non sempre il traduttore coglie al volo o riesce a ricreare con la stessa incisività originaria, e, in secondo luogo, la resa dell’oralità. Ultimamente, infatti, l’uso del dialetto è sempre più praticato dagli autori contemporanei, sia nei dialoghi sia nei resoconti orali, per rendere più autentici i personaggi o l’opera.
Eppure credo che l’italiano sia una lingua molto “ospitale” nei confronti dell’arabo, oltre che in fatto di ricchezza lessicale anche nella grande varietà di registri stilistici (dialettale, colloquiale, standard, aulico) che può offrire al traduttore italiano. 

Ea: Hai tradotto due romanzi molto complessi dal punto di vista della lingua, ovvero Il gioco dell’oblio di Muhammed Barrada e Rapsodia irachena di Sinan Antoon: come hai affrontato il lavoro di traduzione e quali sono stati gli ostacoli nel tradurre i giochi linguistici di entrambi i libri in italiano?
RC: Devo ammettere che tradurre Il gioco dell’oblio è stato un battesimo di fuoco, anche se la prosa poetica di Darwish e i giochi di parole di Antoon non sono meno complessi.
Come in tutte le traduzioni, all’inizio cerco di conoscere meglio l’autore e recuperare tutte le notizie e i libri che lo riguardano. Mi piace molto questa fase di “studio-ricerca”: credo che mi sia indispensabile per entrare in sintonia con la poetica dell’autore e dare all’opera un’interpretazione/traduzione che sia in linea con l’universo letterario del suo creatore. Poi c’è un lungo confronto con il testo e il suo stile, infinite riflessioni che man mano si trasformano da linguistiche in estetiche, fino alla fase della revisione finale in cui ho sempre l’impressione di non aver finito. Spesso le parole adatte arrivano appena decido di non rileggere più.
La sfida in Il gioco dell’oblio era data dalla struttura narrativa sperimentale che poteva disorientare o spaventare il lettore, e dall’uso del dialetto marocchino per raccontare la storia del cognato del protagonista. In quel caso, ho scelto di non usare un dialetto italiano perché non volevo trasformare il personaggio in una macchietta e screditarlo agli occhi dei lettori. Ho optato per un registro più colloquiale con alcune esclamazioni gergali, ma senza eccedere. Come lettore, rimarrei straniata se sentissi un personaggio indiano o cinese parlare in barese o in triestino stretto. E di questo mi assumo tutte le responsabilità di traduttore che è libero di scegliere secondo la propria sensibilità. Pratico la grande possibilità che offre l’italiano ai traduttori dall’arabo, come dicevo prima, ossia quella di rendere il dialetto della lingua d’origine attraverso la scelta di un registro più “basso”.
Per quanto riguarda l’ironia e i giochi di parole, sono da sempre uno dei punti più ostici per tutti i traduttori, da ogni lingua. Di solito, cerco di calibrare il guizzo di fantasia con l’efficacia dell’espressione che deve trasmettere l’ironia al lettore d’arrivo (come l’autore la comunica al lettore di partenza). Per non dilungarmi troppo su questo punto, rimando a un intervento più dettagliato al riguardo disponibile nel blog della Zanichelli La parola al traduttore.

Ea: Come valuti il mercato editoriale italiano rispetto alle traduzioni dall’arabo? Secondo te si potrebbe fare di più e se sì, come? E che contributo posso dare i lettori (se possiamo)? 
RC: Negli ultimi dieci anni, l’interesse per la letteratura araba è evidentemente cresciuto. Non solo nel catalogo dei piccoli editori, ma anche in quello dei grand. Sono comparsi in numero sempre più consistente titoli di autori arabi. 
Mi auguro che l’interesse continui ad aumentare, perché credo che la letteratura sia un importantissimo strumento di mediazione culturale e di avvicinamento all’Altro; allo stesso tempo però spero che crescano l’attenzione e la cura verso la selezione dei testi e delle traduzioni dall’arabo, perché la qualità della traduzione fa la differenza. E non mancano prove in questo senso. Da una parte, capita che alcuni testi di autori affermati siano stati sfregiati da traduzioni di scarsa qualità ed è incredibile come gli editori non se ne siano accorti. Dall’altra, altri piccoli editori hanno in catalogo delle vere e proprie gemme, ma non avendo accesso alla distribuzione la fatica di molti rimane invisibile.
C’è un grande lavoro da fare sulla professionalità, su più fronti. Ogni passaggio editoriale è fondamentale: dallo scouting, alla revisione, alla promozione, alla distribuzione. Se uno di questi anelli langue, rischia di penalizzare il risultato finale. 
Sicuramente si potrebbe fare di più e sarà così: infatti il catalogo di opere arabe tradotte in italiano sta raggiungendo la ricchezza e la significatività di quello inglese o francese.
Molti blog, come questo, stanno facendo molto sul fronte della sensibilizzazione e della promozione alla lettura ed è importante. Spero, però, che si ricordino di citare sempre i traduttori e di andare più a fondo nelle recensioni. 
Ai lettori oltre a leggere, non so cosa potremmo chiedere ancora. Mi piacerebbe che la passione per la lettura diventasse contagiosa nel nostro paese. 
Iosif Brodskij ha detto: “Ci sono crimini peggiori del bruciare i libri. Uno di questi è non leggerli”. 

Ea: Durante il festival Philastiniat (Milano, ottobre 2012) avevi  annunciato di stare lavorando alla traduzione di alcune opere di Mahmoud Darwish. Come sono stati scelti i testi da tradurre, visto che la produzione di Darwish è ricchissima e in Italia ne è stata tradotta ancora solo una piccola parte?
RC: Sì, ho appena consegnato due romanzi: Diario della tristezza ordinaria e In presenza d’assenza che faranno parte, insieme a Memoria per l’oblio, della Trilogia palestinese ideata e curata da Elisabetta Bartuli per le Comete della Feltrinelli. 
L’idea è quella, oltre che di omaggiare uno scrittore simbolo della letteratura araba moderna, anche di raccogliere in un unico volume le tre opere in prosa di Mahmud Darwish, in un percorso narrativo che dagli anni ’60 arriva fino al 2006. 
La scelta della prosa è stata motivata dal fatto che due dei testi erano ancora inediti in italiano e si voleva proporre un Darwish prosatore, semi-inedito rispetto al Darwish poeta (apparso in italiano per i tipi di Epoché, S. Marco dei Giustiniani, e in diversi articoli accademici), ma altrettanto magnetico e acuto. 
Effettivamente è un peccato che, al momento, non siano disponibili per i lettori italiani raccolte o antologie poetiche di Darwish. Mi auguro che, in futuro, qualche editore voglia cimentarsi nell’impresa o recuperare quello che ormai è fuori catalogo.

Ea: Nel 2012 lo scrittore iracheno Sinan Antoon ha vinto il National Translation Award (USA) assegnato dalla American Literary Translators Association proprio per la sua traduzione di In presenza dell’assenza di Darwish. Pensi che sarebbe utile istituire anche in Italia un premio per la traduzione letteraria che sia specifico per l’arabo e che si prefigga l’obiettivo di incentivare le traduzioni dall’arabo e ampliare la conoscenza e la diffusione della letteratura araba?
RC: Non so quanto un premio specifico possa incidere nel panorama della traduzione dall’arabo. Il Banipal Prize for Arabic Literary Translation, ad esempio, è arrivato dopo un lungo lavoro di sensibilizzazione e ricerca, e ha dietro una rivista consolidata con decine di collaboratori famosi. 
Un premio assegna e basta, non insegna. Invece, secondo me, c’è ancora molto da fare prima di proporsi un obiettivo così prestigioso. 
In Italia, c’è bisogno di altri passi e di perseguire una visione di lungo termine riguardo alla traduzione editoriale dall’arabo. 
Prima di tutto lo sviluppo della formazione e dell’aggiornamento professionale. Per coltivare figure di qualità (ossia buoni traduttori, buoni revisori dall’arabo – quasi introvabili –, buoni critici) occorrono corsi di specializzazioni dedicati e professionalizzanti che al momento le università italiane non offrono; occorrerebbero workshop e corsi di aggiornamento periodici, borse di studio, incentivi alle traduzioni, riviste specializzate nella pubblicazione di saggi di traduzioni (penso a una specie di “Quaderni di traduzioni” per l’arabo), in modo da promuovere con un raggio più ampio anche una riflessione critica sulla letteratura araba contemporanea. Questo “spazio letterario” che, come una vetrina, proponga assaggi di poesie, racconti, estratti di romanzi in traduzione non c’è ancora in Italia.
D’altro canto, ritengo che bisognerebbe sdoganare la traduzione letteraria dall’arabo da curricula o specializzazioni prettamente arabisti (ancora poco orientati sul contemporaneo) e avvicinarla al versante della teoria e della pratica della traduzione moderne. È un peccato, ad esempio, che nell’attuale filone di studi sulla world literature, i contributi e le connessioni sulla produzione letteraria araba siano ancora scarsi. 
Certamente, la situazione attuale non è delle più promettenti, persino le istituzioni italiane a sostegno della traduzione da altre lingue sono ancora poche e in fase di consolidamento grazie all’impegno diretto e personale di alcuni traduttori e di alcune associazioni. 
Senza incastonarlo in un percorso di sostegno più articolato e in una prospettiva che guardi al futuro (e non solo a riconoscere carriere già affermate), un premio per la traduzione dall’arabo, secondo me, lascerebbe il tempo che trova.

Ea: C’è un autore arabo ancora non tradotto in italiano che secondo te dovremmo tenere d’occhio?
RC: Ce ne sono molti ancora non tradotti, eppure meritevoli, soprattutto in generi (poco allettanti per gli editori italiani) come la poesia, i racconti brevi e il teatro. 
Inoltre, molti “classici” arabi del XX secolo non sono ancora disponibili in italiano.

Ea: L’ultimo libro di uno scrittore arabo tradotto in italiano che hai letto?
RC: L’ultimo libro che ho letto è stato Il cacciatore di larve del sudanese Amir Tag Elsir tradotto da Samuela Pagani per Nottetempo. Adesso, sto leggendo con piacere Vertigo di Ahmad Mourad tradotto da Barbara Teresi per Marsilio.

Ea: Progetti futuri a cui stai lavorando e di cui ci vuoi parlare?
RC: Mi piacerebbe continuare a tradurre i nuovi romanzi degli autori che ho avuto la fortuna di tradurre, ma anche lavorare sulla poesia contemporanea. I progetti sono molti, ma non sempre si riescono a concretizzare. A volte passano anni prima di trovare l’occasione giusta e l’editore “accogliente”, come è stato per Dunyazad di May Telmissany. 

Ea: Che consiglio ti sentiresti di dare ai giovani che vogliono cominciare questo tipo di carriera?
RC: Con gli studenti, durante le lezioni iniziali, riflettiamo sempre su cosa significa essere un traduttore, e nonostante la motivazione, spesso è la pratica quella che parla chiaro e mostra i limiti o le potenzialità. 
In questo momento, onestamente non credo che sia una carriera molto allettante per i giovani arabisti. Richiede molto impegno, passione e oserei dire anche un po’ di talento, ma offre prospettive incerte e scoraggianti a livello economico, a discapito di un grande lavoro personale di formazione continua. 
L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di essere informati sui propri diritti e di agire senza svendersi. Se i sogni e le aspirazioni non sono in vendita, nemmeno lo sforzo e l’impegno dev’esserlo.
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Ramona Ciucani è arabista e traduttrice letteraria. Ha lavorato come insegnante e catalogatrice. Dal 2009 insegna traduzione passiva presso il Master in Traduzione editoriale-letteraria dall’arabo a Vicenza. Ha lavorato come lettrice di romanzi arabi presso la Feltrinelli e ha collaborato con L’ Indice dei libri del mese. 
Ha tradotto alcune poesie di ‘Ali Ja‘afar ‘Allaq e Sinan Antoon e i romanzi Diario della tristezza ordinaria e In presenza d’assenza di Mahmud Darwish (Feltrinelli, 2014), Rapsodia irachena di Sinan Antoon (Feltrinelli, 2010), Dunyazad di May Telmissany (Ev Casa editrice, 2010), Il gioco dell’oblio di Muhammad Barrada (Mesogea, 2009). È socia di STRADE (Sindacato Traduttori Editoriali). La sua email è: ramona.ciucani@gmail.com

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