giovedì 7 novembre 2013

Editoriaraba - Editoria araba vs editoria persiana


Poster di Farhad Fozouni
L’idea di questa doppia intervista nasce dalla necessità di Chiara Comito di fare un po’ di chiarezza: “sfogliando le foto delle librerie – scrive – che i lettori mi avevano mandato per il foto-contest mi sono accorta che qualcuno scambiava per letteratura araba libri che con i paesi di lingua e cultura araba poco avevano a che vedere. Molti infatti facevano riferimento all’area persanofona. Allora ho chiesto a due amici del blog, Felicetta Ferraro* e Giacomo Longhi*, di darmi una mano per fare il punto della situazione e aiutarci a capire di più di cosa parliamo quando parliamo di letteratura persiana, di Iran, del fenomeno Khaled Hosseini, della censura, di Rouhani. Nel mezzo trovate naturalmente qualche consiglio di lettura”.

Editoriaraba: Ha senso parlare di editoria persiana? E se sì, quali paesi comprende?
Felicetta Ferraro: Ha senso parlare di editoria persiana se con questa definizione si intende fare riferimento alle pubblicazioni in lingua persiana, lingua che, come molti forse già sanno, è parlata ufficialmente oltre che in Iran, anche in Afghanistan e in Tagikistan. Possiamo però parlare anche di editoria iraniana, editoria afghana e naturalmente editoria tagika, comprendendo in questa definizione le pubblicazioni in altre lingue riconosciute a vario livello. Ad esempio il pashto in Afghanistan è una lingua ufficiale, ed esiste una letteratura consolidata, anche se non molto vasta, in questa lingua. In Iran, il persiano è l’unica lingua ufficiale, ma la Costituzione riconosce il diritto all’utilizzo parlato e scritto delle lingue “locali” e di conseguenza c’è una certa produzione anche in altre lingue, come ad esempio l’azeri.

Ea: Esistono differenze tra la produzione che viene dall’Iran, dall’Afghanistan e dal Tagikistan?
FF: Iran, Afghanistan e Tagikistan condividono un immenso patrimonio letterario comune. Un’eredità rimasta inalterata anche con l’affermarsi dei singoli stati nazionali. Ma se parliamo di produzione recente, diciamo a partire dalla fine del XIX secolo, allora sì, le differenze sono tante. Mentre l’Iran ha sviluppato un’editoria fiorente in tutti i settori, gli altri due Paesi hanno in un qualche modo segnato il passo, soprattutto il Tagikistan dove una moderna letteratura stenta ad emergere.

Ea: Chi sono gli autori e/o le opere più rappresentativi dei tre paesi oggi?
FF: Per l’Iran è veramente difficile a dirsi. Elenco i nomi di alcuni dei miei autori preferiti, ma non è certo una classifica: Jalal Al-e Ahmad, Ahmad Mahmud, Simin Daneshvar, Hushang Golshiri, Sadeq Chubak, Gholam Hossein Saedi, Mahmud Dowlatabadi… Poi ci sono gli autori più recenti, quelli che Ponte33 ha deciso di tradurre per primi, proprio per dare un’idea del panorama letterario iraniano di oggi: Fariba Vafi, Mostafa Mastur, Nahid Tabatabai, Soheila Beski, Sara Salar, Mehdi Rabbi e tanti altri che abbiamo già inserito nel nostro progetto editoriale. Per l’Afghanistan, sicuramente Atiq Rahimi, Asef Soltanzadeh e poi c’è Mohammad Hossein Mohammadi, uno scrittore che amo in maniera particolare. Il suo I fichi rossi di Mazar-e Sharif che Ponte33 ha pubblicato alla fine del 2012 è, a mio avviso, uno dei libri più belli scritti negli ultimi anni in persiano.

Ea: Il caso Khaled Hosseini: come ti spieghi il suo successo? Il fatto che viva negli USA e che scriva in inglese ha aiutato secondo te? E si può definire letteratura persiana/afghana o è letteratura inglese ammantata di un tocco di Afghanistan?
FF: Non ci sono dubbi che il successo di Khaled Hosseini sia legato al fatto che viva negli Stati Uniti e che scriva in inglese. Dietro un successo planetario come quello de Il cacciatore di aquiloni c’è uno sforzo immenso,una grande macchina pubblicitaria, un grosso investimento finanziario, che si fa in genere per prodotti ritenuti “sicuri”. Dietro c’è’ la macchina di produzione dei best seller che funziona sempre, quando si mette in movimento.

Definire i libri di Khaled Hosseini letteratura persiana/afghana? No, direi di no. Non ho mai sentito un iraniano definirli tali e neanche un afghano. Sicuramente ci sono dei riferimenti culturali forti, che l’autore non può non avere, essendo nato e cresciuto in Afghanistan, ma niente più di questo.

E’ un’altra cosa, così come è una cosa diversa dalla letteratura persiana contemporanea quella mole di romanzi autobiografici, soprattutto di donne, dai titolo esotici ed accattivanti, che rimandano a sofferenze inenarrabili sofferte nelle prigioni della repubblica islamica o per mano di rozzi barbuti vestiti di nero.

La memorialistica è un genere serio, che ha un suo spazio preciso all’interno della produzione letteraria. E si capisce che eventi come quello registratisi in Iran negli ultimi 35 anni (una rivoluzione, una guerra, un cambio politico e sociale di enorme portata, famiglie che si sono ritrovate catapultate in Iran o fuori dal Paese in situazioni completamente diverse) possano spingere molti ad aggiungere la loro “testimonianza” alla Storia – in fondo l’espressione “ne ho passate tante, che la mia vita potrebbe essere un libro” la sentiamo in continuazione ovunque -, ma pretendere che questa sia la letteratura di quel Paese, non mi sembra giusto. E’ questo è il motivo per cui è nata Ponte33: pubblicare autori iraniani che scrivono in persiano, in primo luogo nel loro Paese, e poi eventualmente anche all’estero, definendo in questo caso i contorni di una letteratura della diaspora.

Ea: Per quanto riguarda i libri dell’area persanofona tradotti e pubblicati in Italia negli ultimi anni trovi che vi sia un’attenzione particolare a libri che parlano di donne, Islam e veli, come accade anche per la letteratura araba?
FF: Sì, anche nel caso dell’Iran il miscuglio Islam/velo/donna funziona decisamente. Basta guardare le copertine: donne bellissime, avvolte in veli da cui spuntano occhi dallo sguardo esotico, e colori azzurri o cipriati: la solita immagine di un Oriente lontano e seduttivo. Per questo le nostre copertine sono altro: artisti contemporanei che interpretano il libro con la sensibilità di persone che vivono e condividono un unico ambiente culturale. Che partono dal libro, non da quello che forse il lettore straniero vorrebbe trovare in quel libro.

Ea: Quali sono le difficoltà di far conoscere in Italia la letteratura persiana? Esistono pregiudizi come per la letteratura araba?
FF: Pregiudizi? Non so se sia il termine esatto per descrivere la situazione. No, le difficoltà sono più di natura culturale e pratica. Diciamo che i lettori italiani, a differenza, ad esempio, di quelli francesi, non hanno in generale molta conoscenza dell’Iran, della sua società, della sua cultura, se non appunto alcune conoscenze stereotipate. E’ difficile, ad esempio, che la televisione italiana mostri un documentario sull’Iran di oggi, a meno che non sia qualche servizio in vicinanza delle elezioni. Si sa qualcosa del cinema, ma anche in quel caso solo il cinema di registi che hanno trovato modo di farsi conoscere nei festival, tipo Kiarostami, o Panahi e Farhadi, la cui vittoria all’Oscar ha sorpreso molti. Di conseguenza, convincere il pubblico a comprare il libro di un autore iraniano sconosciuto non è facile. Soprattutto perché non è facile passare per i canali pubblicitari di un libro: le recensioni sui giornali, le rubriche televisive, i passaggi in programmi TV importanti. Penso ancora a Mohammadi e a I fichi rossi di Mazar-e Sharif: un libro sull’Afghanistan martoriato di oggi, raccontato in maniera mirabile, con un grande talento letterario. L’autore è stato invitato da Incontri di Civiltà, la manifestazione del comune di Venezia che riunisce ogni anno scrittori di tutte le parti del mondo, eppure non siamo riusciti ad ottenere che un’intervista con Radio3 Mondo. La vera difficoltà è questa.

Ea: Quanto incide la censura sull’editoria in Iran? Quali temi o autori in particolare sono stati censurati negli anni?
FF: La censura incide molto, in senso negativo, ma paradossalmente anche in senso positivo. Le forbici del censore in Iran colpiscono soprattutto il sesso. Un po’ meno la critica sociale, almeno fino al secondo mandato di Ahmadi Nejad. Gli scrittori si sono quindi sforzati di dire comunque quello che volevano dire lavorando di più sul testo, sulle atmosfere, sull’uso delle parole. E’ stato bellissimo, ad esempio, sentire da Fariba Vafi quanto ha lavorato al suo libro, Come un uccello in volo, per parlare di una violenza che la protagonista ha subito da bambina, senza che la censura avesse da ridire. Dopodiché, mi auguro fortemente che gli scrittori iraniani, come tutti gli scrittori ovunque, possano scrivere liberamente, senza doversi preoccupare delle forbici di nessun censore.

Posso però dire che dopo l’elezione del presidente Rohani, qualcosa sta cambiando. Si respira un’atmosfera di maggiore libertà e si parla per la prima volta in maniera seria del problema della censura e di come eventualmente risolverlo.

Vorrei aggiungere una cosa che molti ignorano, a proposito di limitazioni alla pubblicazione dei libri in Iran: la penuria di carta provocata dalle sanzioni ha fatto molti più danni della censura. Negli ultimi tempi, le pubblicazioni sono diminuite drasticamente per questo motivo e i pochi libri pubblicati hanno raggiunto un prezzo proibitivo per moltissimi lettori. Tanti editori, soprattutto i più piccoli e i più indipendenti, sono stati costretti a chiudere e molti altri stanno per farlo. Una situazione paradossale che dovrebbe far riflettere chi sostiene l’applicazione di sanzioni all’Iran per sostenere la “democrazia”. E questo stesso discorso vale per tutto il mondo della cultura: l’impennata dei costi di qualsiasi produzione che le sanzioni hanno comportato sta mettendo a dura difficoltà il mondo culturale iraniano.

Ea: Giacomo, tu hai potuto girare e conoscere le fiere del libro di Beirut e di Teheran: quali sono le principali differenze in termini di numero degli stand, degli editori internazionali, della presenza di pubblico, di titoli di editoria islamica, di conferenze/dibattiti organizzati durante i giorni delle fiere?
Giacomo Longhi: Entrambe, Tehran e Beirut, sono “città del libro”. A Tehran si concentrano le più importanti case editrici iraniane, Beirut è tuttora un polo indiscusso per l’editoria del mondo arabo. Tuttavia, se la fiera di Beirut si deve confrontare con la concorrenza di iniziative più recenti, come quelle del Golfo, quella di Tehran mantiene il monopolio sull’area persanofona ed è di dimensioni decisamente più ampie (è uno degli eventi editoriali più importanti in Asia). La mia impressione è che anche in Iran le fiere editoriali siano concepite più per vendere che per tessere rapporti commerciali o per fare una vera e propria promozione dei libri. Non ci sono, ad esempio, conferenze e dibattiti veri e propri con gli autori, che piuttosto presenziano un paio d’ore presso lo stand dell’editore e firmano copie dei propri libri.

Eppure queste fiere sono eventi estremamente vivaci, molto frequentati dai giovani. A Tehran gli stand delle principali case editrici di narrativa sono decisamente più affollati di quelli, seppur numerosi, dell’editoria religiosa. Durante gli orari di punta avvicinarsi agli stand di Ofoq o Niloufar, alcuni dei maggiori editori di letteratura in Iran, è praticamente impossibile per il sovraffollamento.

C’è anche da dire che dal 2011 è stato interdetto di partecipare alla fiera ad uno dei più importanti editori iraniani, Cheshmeh, che pubblica tra le migliori opere di narrativa persiana contemporanea oltre che autori stranieri tradotti. Chissà se con il cambio di rotta delle politiche culturali Cheshmeh otterrà di nuovo il permesso di partecipare alla fiera.

Ea: Sei un lettore sia di letteratura araba che di letteratura persiana, sia in traduzione italiana che in lingua originale: è possibile tracciare, in linee generali, un paragone tra le due produzioni letterarie (letteratura persiana e araba contemporanea) a livello di temi e di scrittura?
GL: Per certi versi la letteratura araba e quella persiana hanno intrapreso cammini paralleli. Per entrambe, ad esempio, è stato fondamentale l’apporto delle traduzioni di opere letterarie occidentali, in particolare dei romanzi, per formare un nuovo genere e il contributo della stampa per sviluppare una lingua il più possibile fluente e leggibile. Questo lavoro sulla lingua, di ricerca di equilibrio tra eleganza e leggibilità, continua ancora oggi. Spesso gli autori contemporanei privilegiano uno stile vicino al parlato. E se l’arabo si frammenta nelle varianti locali, che inevitabilmente influenzano lo stile di chi scrive, non da meno in Iran gli scrittori spesso giocano con i dialetti parlati nelle diverse zone del paese.

Le tematiche affrontate non sono poi così diverse da altre letterature. C’è di tutto: dal romanzo sociale, a quello storico, al fantascientifico, fino alle letterature di genere, come thriller o romanzi rosa. Anche da questo lato di mondo i lettori sembrano non farsi mancare nulla. Ho però notato, sul mercato persiano, una maggiore presenza di letteratura straniera tradotta rispetto al mercato arabo.

Ea: Visto che ora ti trovi proprio in Iran, sai dirci chi sono oggi gli autori che vendono di più?
GL: Tra gli autori che vanno per la maggiore spiccano nomi di scrittrici. Ne cito una su tutte, Zoya Pirzad, il cui romanzo Spegnerò le luci (Cheragh-ha ra man khamush mi konam, 2002), incentrato sulla quotidianità di una donna di origini armene in una città di provincia, è diventato in Iran un vero e proprio bestseller, accolto a pieno favore da pubblico e critica. Tra i romanzi che accattivano maggiormente i lettori, ci sono quelli che rivisitano la recente storia del paese e affrontano tematiche spirituali.

Tra questi, un autore particolarmente apprezzato è Reza Amirkhani (in foto a destra), che ha dedicato alcune sue opere alla guerra Iran-Iraq e ai sentimenti che hanno animato gli iraniani in quegli anni. Si tratta di romanzi che vendono bene, ma a volte sono anche tacciati di essere inclini a una certa retorica religiosa.

Un altro romanzo “spirituale” che ha avuto un enorme successo è Dona un bacio al lunare volto di Dio (Ru-ye mah-e khadavand ra bebus, 2000) di Mostafa Mastur. Tra i bestseller del passato, Requiem (Savushun, 1969) di Simin Daneshvar, e Zio Napoleone (Da’i-e jan Napelon, 1973) di Iraj Pezeshkzad. Quest’ultimo, come altri classici persiani contemporanei, è stato messo al bando con l’avvento della rivoluzione, ma le sue fotocopie rilegate circolano a cielo aperto per le bancarelle informali sparse attorno all’università di Tehran. Va poi detto che in Iran generi come il racconto breve e la poesia sono a volte campioni di vendite ben più dei romanzi.

Ea: Se un lettore volesse cominciare oggi a leggere la letteratura persiana tradotta in italiano, da quali libri gli consiglieresti di partire?
GL: I lettori italiani hanno finora a disposizione poco meno di una trentina di titoli di narrativa contemporanea tradotta dal persiano all’italiano. La scelta, dunque, per il momento è molto limitata. Un’antologia oggi ancora valida (non più in commercio, ma vale la pena recuperarla in biblioteca) è I minareti e il cielo. Racconti persiani del Novecento, curata da Filippo Bertotti per Sellerio. Qui il lettore potrà familiarizzare con i maggiori nomi della letteratura persiana del secolo scorso. Tornando al presente, il romanzo tradotto in italiano che finora ha meglio incontrato il mio gusto personale è stato Osso di maiale e mani di lebbroso di Mostafa Mastur, abilmente tradotto da Bianca Maria Filippini per la casa editrice Ponte33. È un romanzo breve ambientato in un condominio tehranese che evoca perfettamente una certa atmosfera cupa, grigia e fumosa della capitale iraniana, le tormentate routine dei suoi abitanti.

Segnalo anche l’importanza del lavoro di Anna Vanzan, che ha reso disponibili nella nostra lingua diversi romanzi e raccolte di racconti, come Il colonnello di Mahmoud Doulatabadi (Cargo, 2011) e Tre donne di Goli Taraghi (Lavoro, 2009).

Ea: C’è ancora qualcuno che fa confusione tra letteratura araba e letteratura che viene dall’Iran o dall’Afghanistan: secondo te perché succede? E cosa si può fare per evitare che la confusione continui?
GL: Secondo me ci sono diverse cause. Il pubblico italiano è stato abituato a leggere una parte di mondo, soprattutto quello mediorientale, attraverso la voce di lingue occidentali, come inglese o francese, mentre è lampante la scarsità di traduzioni dall’arabo e ancor più dal persiano. Questo è forse il principale elemento di confusione. Non prestare attenzione alla lingua in cui un determinato paese legge e scrive significa anche non prestare attenzione alle rappresentazioni in cui si riflettono i lettori di quel paese. Continuare a leggere e tradurre solo autori che scrivono in lingue occidentali crea una sorta di circolo vizioso, crea l’illusione di conoscere senza realmente conoscere. La responsabilità in parte è degli editori, in parte anche degli studiosi che hanno fin troppo limitato lo studio di queste letterature al periodo classico, guardando con sospetto o sufficienza le produzioni contemporanee. Gli studiosi dovrebbero impegnarsi in un serio lavoro di divulgazione, che implichi un confronto con le politiche delle case editrici italiane. Gli editori non pubblicano letteratura da lingue per cui non dispongono di validi consulenti e, purtroppo, spesso colmano il vuoto con opere concepite e scritte in lingue occidentali per soddisfare le aspettative e l’immaginario del pubblico occidentale. L’apertura all’editoria “generale”è ormai avviata per quanto riguarda la letteratura araba, mentre, sul fronte del persiano, il lavoro è ancora tutto da costruire. Non c’è da stupirsi, dunque, che con solo una trentina di traduzioni da questa lingua il pubblico italiano trovi difficilmente riconoscibile la letteratura che viene da Iran, Afghanistan e Tagikistan e la confonda a sua volta con i surrogati sostitutivi offerti dal mercato o, addirittura, la associ alla fetta di mondo considerata più vicina a questi paesi, quello arabo.

Ea: E’ di pochi giorni fa la notizia riportata dal Guardian che, in linea con il nuovo corso liberale intrapreso dal nuovo Presidente Rouhani, la censura in Iran sulla letteratura verrà allentata: come cambierà il mercato – penso soprattutto alle fiere del libro e alle importazioni di libri stranieri?
FF: E’ ancora presto per capire se ci saranno ripercussioni immediate sul mercato e sulle fiere del libro. Certo, i miei amici scrittori ed editori mi dicono che già da adesso qualcosa si sta muovendo e questo non potrà che avere ripercussioni positive. Ho intenzione di partecipare alla prossima Fiera del libro di Tehran. Magari ne riparliamo al ritorno.

GL: Se la censura verrà effettivamente allentata credo che gli effetti saranno soprattutto sulla produzione interna piuttosto che sulle importazioni. In Iran si traduce molto, gli scrittori occidentali sono arcinoti al pubblico. Dai gialli di Agatha Christie a Delitto e castigo di Dostoevskij, da Paul Auster a Danielle Steel, tanto per intenderci. A volte, come è accaduto per il famigerato Cacciatore di aquiloni, queste opere escono in traduzione integrale e vengono censurate in un secondo momento, quando il libro è ormai in circolazione e può essere riprodotto anche dopo il suo ritiro dal mercato. Quanto alle opere degli scrittori iraniani, sono numerosi i manoscritti che giacciono inediti negli uffici degli editori e non è detto che qualcuno non andrà finalmente in stampa nei prossimi anni. Gli autori iraniani però sono consapevoli delle norme vigenti nel paese, che spesso aggirano adottando tecniche stilistiche adeguate ad affrontare certi argomenti. Ma bisognerà chiedere soprattutto agli editori, nei prossimi mesi, quale sia il riflesso concreto di queste nuove aperture.
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* Felicetta Ferraro, iranista di formazione (laurea in lingue orientali, dottorato in Studi Iranici, post-dottorato presso l’Istituto Universitario Orientale), esperta di storia e società iraniana, ha insegnato Storia dell’Iran presso l’IUO, è stata addetto culturale dell’ambasciata italiana in Iran e consulente MiBac per i progetti in Iran. Nel 2010 ha fondato, insieme ad altri, la casa editrice Ponte33, dedicata esclusivamente alla letteratura persiana contemporanea. Svolge un’intensa opera di divulgazione della cultura iraniana contemporanea in Italia, anche attraverso l’organizzazione di eventi (cura la sezione Iran/Afghanistan di FilmMiddle East Now) e la consulenza ad enti ed istituzioni.

* Giacomo Longhi è studente di Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell’Asia e dell’Africa Mediterranea all’università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa di letteratura contemporanea araba e persiana e attualmente sta svolgendo uno studio sull’editoria in Iran.

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