sabato 28 luglio 2018

La riscoperta di Genet impegnato

ODISSEA


sabato 28 luglio 2018


Un captif amoureux di Jean Genet
di Mila Fiorentini
Jean Genet

Abbiamo deciso di pubblicare questa nota di Mila Fiorentini in prima pagina e non in una delle rubriche dei libri, vista l'attualità dell'argomento. I nostri lettori stanno da tempo seguendo su questa stessa prima pagina, le corrispondenze di Patrizia Cecconi sulla causa palestinese e il suo tributo di sangue.

Jean Genet
La rivoluzione palestinese alla prova dell’intimo, attraverso un diario di viaggio, un’intervista continua ascoltando le voci locali con un linguaggio di grande fluidità: l’umiltà e la curiosità del giornalista rendono oltre 600 pagine decisamente scorrevoli ancorché frammentarie, frutto di una riunione di scritti, postuma operata da Gallimard subito dopo la morte del grande scrittore Jean Genet. Tuttora non tradotto in italiano, questo testo è considerato dallo stesso Genet un testo che altri potrebbero utilizzare per una pubblicazione, dato l’argomento non facile ieri come oggi. Impressiona la profondità dell’analisi del conflitto mediorientale e di quella “guerra” che Genet legge come una rivoluzione, patria di tutte le rivolte arabe e l’attualità di argomenti che dalla stampa comune non sono stati eviscerati. Genet, profetico e critico profondo, malgrado l’assenza di una giusta distanza, vista la contemporaneità del nucleo degli avvenimenti, sembra essere stato ignorato in questo suo lato impegnato e politico. Al centro la Palestina, i rapporti con la Siria, la Giordania, Israele, il mondo europeo e il ruolo degli Stati Uniti. Una lettura in parallelo delle Black Panthers americane che hanno guidato la rivolta nera contro i bianchi. In questa atmosfera così densa e impegnata di tanto in tanto fa capolino l’amore, la passione per gli uomini di Genet, la presenza dell’eros che aleggia e colora il mondo.
Da sottolineare l’osservazione della lingua, la scrupolosità nello spiegare alcuni termini arabi, la loro traduzione e il valore centrale dato alla lingua, elemento di identità, rivalità e luogo del contendere profondo perché sottende una visione del mondo, talvolta unificata dalla costituzione nazionale che ha schiacciato le minoranze anche di natura linguistica.
Un testo da leggere e meditare, magari scorrendo alcune parti velocemente, senza lasciarsi spaventare dal numero di pagine.
Mi sono incuriosita a Genet, al di là dell’opera teatrale, la più conosciuta e tradotta - il testo Les bonnes sopra gli altri - in seguito al lavoro di traduzione e curatela del libro Ritratto incompiuto del padre di Jean Sénac al quale il romanzo del poeta algerino, francofono, di origini andaluse è dedicato. In un passaggio del testo autobiografico Genet è ritenuto il più grande scrittore francese suo contemporaneo.
Questo libro è frutto di due lunghi soggiorni - che rispondono alle due parti del libro, entrambe con il titolo di “Souvenirs” - nei campi palestinesi che hanno consentito a Jean Genet di essere uno dei rari occidentali a poter testimoniare la vita degli insorti nei campi cosiddetti dei rifugiati, almeno in un primo periodo; poi forse dovremmo parlare di detenzione. Il testo è ad un tempo saggio e biografia, senza diventare né accademico né confessionale, lontano dal panegirico atteso dai difensori della causa palestinese, è di grande lucidità ed equidistanza, a dispetto del personaggio di eccessi, qual è Genet. L’autore infatti si smarca perché non intende essere il soldato, il difensore e forse nemmeno il cantore della rivoluzione palestinese, né uno dei leader intellettuali. Resta un osservatore autenticamente curioso che raccontando, o meglio raccogliendo testimonianze e spiegazioni, ci offre la sua visione della rivoluzione e dei movimenti rivoluzionari del secolo scorso, delle affinità e delle contaminazioni anche singolari come quella con il marxismo. Il suo punto di vista è intimo e procede tra la memoria e l’effetto specchio. Sicuramente difensore della rivoluzione come scelta, è un personaggio profondo nell’analisi critica che non si abbandona al ragionamento con la pancia, come il Sénac di fronte alla guerra d’indipendenza algerina, e filtrando il racconto con l’esperienza intima e impossibile per definizione di un uomo nonché artista del popolo del quale si innamora perdutamente.
Quest’ultima opera arriva dopo una vita avventurosa e da avventuriero, Genet parla di se stesso come di un ladro, che ha il tradimento nella quotidianità. Dopo l’uscita dal carcere di Marsiglia, dal quale entra ed esce per un periodo, ci sarà una fase da viaggiatore senza sosta con il suo impegno civile, spaziando tra l’Europa, gli Stati Uniti e il Medioriente e il Maghreb per il quale si impegna sul fronte dei diritti degli immigrati in Francia. È in terra marocchina, dov’è sepolto, che mette ordine alle pagine memoriali di Un captif amoureux. È il 1983. La storia del déraciné collettivo rifluisce nel nuovo libro: i Noir americani e i fedayin. Genet si ammala nel 1979 di tumore alla gola e, dopo una lunga malattia, muore nel 1986, solo lasciando accanto a sé il manoscritto dell’ultima opera. Si tratta di una sorta di testamento, dalla parte degli sradicati, scosso dall’orrore di un viaggio accanto alla morte che in qualche modo sente sua - scopre i massacri dei campi dei rifugiati palestinesi di Sabra et Chatila - assumendo su di sé le ragioni della causa palestinese. D’altronde la morte, che sia condanna voluta dalla giustizia, rischio assunto come nel Funambolo, l’artista sul filo tra vita e morte, l’odore dell’amore strappato dal suicidio dell’amato o quella del lutto assunto e non vissuto dei genitori, è sempre presente in Genet fin dalla sua nascita. La conclusione è emblematica e dichiara che “l’ultima pagina del mio libro è trasparente”. Il libro è diventato un film realizzato da Michèle Colléry, con il titolo Jean Genet, un captif amoureux, parcours d’un poète combattant, nel 2016.



Jean Genet
Un captif amoureux
Editions Gallimard, 1986
Pag. 611 € 9,90

lunedì 16 luglio 2018

Una poesia che fa i conti con la colonizzazione e la violenza della terra d'Africa

“Nell'aria inquieta del Kalahari” di Barolong Seboni

Scritto da   Lunedì, 16 Luglio 2018 
“Nell'aria inquieta del Kalahari” di Barolong Seboni
Poesia, semplice, cruda, essenziale, senza nulla di eccedente eppure folgorante. Coglie come una frusta l’anima di un mondo, l’Africa arida e densa di storia orale portata dal vento, violentata da mani avide, che fa i conti con la colonizzazione e la sua eredità, che si sforza di convivere con la diversità, senza lasciarsi vincere, omologare, né sedurre dai diamanti. E’ una terra che ruggisce e sanguina di un sole violento che brucia la terra e non è sinonimo di vita. Scritto in inglese da chi ha lottato per il proprio popolo e ha cercato di farlo in maniera universale.
Stringata e accurata l’introduzione di Marisa Cecchetti, traduttrice che ha curato l’edizione preziosa, illustrata, che nella resa italiana coglie la grande poeticità, la violenza e l’animo struggente ad un tempo del poeta, cercando di mantenersi aderente al testo inglese e, se possibile, arricchendolo nel trasferire la profondità della nostra lingua alla musicalità inglese.

Per una lettura completa dell'articolo,


La Palermo torrida, conturbante e antica di Giuseppina Torregrossa


“Il basilico di Palazzo Galletti di Giuseppina Torregrossa

Scritto da   Lunedì, 16 Luglio 2018 
Un romanzo dai toni noir e rossi come la passione travolgente, vestita di bianco etereo, trasparente come la pelle candida e sottile della protagonista. Un libro conturbante che ha il sapore antico delle storie di passioni e intrighi, forse anche per l’ambientazione: una Palermo torrida nei giorni del Ferragosto, con l’acqua che scarseggia; palazzi nobili decadenti; un’aristocrazia frivola e ignara delle lacerazioni della vita; uno stile impeccabile che copre vicende torbide. Stile elegante che mescola la lingua dialettale all’italiano colto, e lo condisce con un’ironia sapiente, velata quanto graffiante che sa di sicilianità.

Giuseppina Torregrossa è una narratrice sapiente, quasi involontaria e per questo affabulatrice, scrittrice per caso all’esordio, si è rivelata capace di misurarsi con l’arte autentica del romanzo sposando tradizione e sensibilità contemporanea, un occhio attento ai fremiti sociali della generazione nel passaggio dalla giovinezza alla maturità: non possono mancare accenti noir, commissari e soprattutto commissarie, delitti passionali, vizi e tendenze della sessualità torbida di cui la Sicilia è culla e che oggi si ammantano di nuovi toni.
La città di Palermo è protagonista, come una colonna sonora che attraversa il libro, d’altronde è per Giuseppina Torregrossa il suo altrove, città di bellezza struggente che ad un tratto si popola di una vita brulicante, povera ma non misera, come quella dei mercati – il Capo tra gli altri – di prostitute dal cuore tenero e di sguardi pettegoli e in fondo comprensivi

Per una lettura completa dell'articolo, http://www.saltinaria.it/recensioni-libri/libri/il-basilico-di-palazzo-galletti-di-giuseppina-torregrossa-recensione-libro.html

domenica 8 luglio 2018

François Beaune, storie mediterranee

ARCA

La lune dans le puits
Histories vraies de Méditerranée di François Beaune
di Ilaria Guidantoni
La copertina del libro

Un’Odissea moderna con un Ulisse spettatore partecipe a livello emozionale che compie il suo viaggio attraverso le voci degli altri. Scritto come un reportage, La lune dans le puits, letteralmente La luna nel pozzo, non ancora tradotto in Italia - è anche un diario di viaggio e vede l’autore, François Beaune, comportarsi più come regista che come uno scrittore, resistendo alla tentazione di mettersi in primo piano. Unica concessione il corsivo che, come dice nella premessa, “il corsivo sono io”, ovvero quei piccoli inserti che lasciano intravedere la mano scrivente, spesso solo per citare il narratore del capitolo.

https://libertariam.blogspot.com/p/arca.html



Umberto Cutolo firma il secondo episodio dei gialli della Costiera

“Omicidi all’acqua pazza – La scapece assassina” di Umberto Cutolo

Scritto da   Domenica, 08 Luglio 2018 
“Omicidi all’acqua pazza – La scapece assassina” di Umberto Cutolo
Seconda prova narrativa del genere Giallo classico del giornalista Umberto Cutolo, La scapece assassina, gustoso titolo per un frizzante noir ambientato nella Costiera amalfitana. Secondo episodio di una trilogia non perde il mordente, anzi si fa più appetitoso, intreccio complesso di figure e personaggi ben scolpiti, un tocco alla Hitchcock in versione pop moderna, che prende in giro quell’italietta arrogante e di media statura, a volte piccola piccola, che si lascia incantare dai miti: chef stellati, esotismo prêt-à-porter e successo fatto di soldi e belle donne anche se prese in prestito. Ben scritto, non manca, accanto ad una sagace ironia, colta, momenti lirici dedicati al paesaggio e alla memoria familiare, soprattutto culinaria.


Per una lettura completa dell'articolo,  http://www.saltinaria.it/recensioni-libri/libri/la-scapece-assassina-di-umberto-cutolo-recensione-libro.html

Un romanzo d'amore dei nostri giorni. E' ancora possibile?


“Una ragazza inglese” di Beatrice Mariani

Scritto da   Domenica, 08 Luglio 2018
“Una ragazza inglese” di Beatrice Mariani
E’ stata definita una storia d’amore quale tributo a Jane Eyre di Charlotte Brönte ed è in questo suo romanticismo non tradizionale, in quello che l’amore ha di assoluto e proprio per questo per il suo lato anticonformista, con il gusto tutto al femminile dell’innamorarsi dell’amore e saper fare i conti con la realtà, con la capacità di darsi senza condizioni che il romanzo della scrittrice esordiente, manifesta la sua inattualità e in questo originalità. Il coraggio, pur ambientando la storia ai giorni nostri, nei grovigli della società romana malata e corrotta, di usare un profilo che è autentica narrazione.



Per una lettura completa dell'articolo:  http://www.saltinaria.it/recensioni-libri/libri/una-ragazza-inglese-di-beatrice-mariani.html