lunedì 29 aprile 2013

Concorsi letterari in Italia

www.concorsiletterari.it
Tutti i bandi e i risultati dei più importanti Concorsi letterari nazionali ed internazionali e tutti i Premi indetti o patrocinati dal Club degli autori.

"Diario del Timoniere"

L'Isola della lettura presenta il "Diario del Timoniere": l'inizio della storia...

sabato 27 aprile 2013

Editoriaraba - Nihad Sirees, la Siria e gli scrittori

Nihad Sirees? Sul blog ne era stata data notizia in occasione dell’uscita della traduzione inglese del suo romanzo "l silenzio e il rumore". Il libro era già stato tradotto in francese e in tedesco. Non ancora in italiano.
Molti in Fiera, ad Abu Dhabi hanno sia consigliato di leggerlo, sia chiesto perché non fosse ancora stato tradotto in italiano, visto il successo della traduzione inglese e tedesca (soprattutto); e considerato che parliamo della Siria e che Sirees è anche (e purtroppo) un rifugiato politico.
Ieri pomeriggio Sirees ha partecipato a un panel qui in fiera dove sarebbe dovuta intervenire anche la scrittrice e giornalista (e rifugiata) siriana Samar Yazbeck che purtroppo per problemi di visto non è potuto arrivare negli Emirati.
Su Editoriaraba un piccolo video, in cui l’autore parla del rapporto tra scrittori, letteratura e politica.
"Il compito degli scrittori, ha detto, è quello di prevedere gli eventi".

venerdì 26 aprile 2013

Editoriaraba - Dagli Emirati Arabi Intervista con Bassem Chebaro: “Ero sicuro che Saoud Al Sanousi avrebbe vinto”


Articolo apparso in inglese il 25 aprile sullo "Show Daily" della Fiera del Libro di Abu Dhabi 2013
“Le cose sono cambiate nel mondo arabo per quanto riguarda l’editoria ed è tempo che ce ne rendiamo conto” – mi ha detto Bassem Chebaro, proprietario della rinomata casa editrice libanese Arab Scientific Publishers che ha pubblicato "Il gambo di bambù", vincitore del premio per la narrativa araba di quest’anno.
Scritto dal 31enne autore kuwaitiano Saoud Al-Sanousi, il libro affronta il tema delle dure condizioni di vita dei lavoratori filippini nei paesi arabi, una questione che diventa sempre più importante anno dopo anno. 
Per Chebaro il modo in cui si promuovono i libri è cambiato: “Oggi se vogliamo diffondere un libro, abbiamo bisogno di entrare nel circuito di Twitter e degli altri social network affinché i lettori ne parlino. I lettori stessi hanno sviluppato un nuovo gusto letterario: oggi vogliono leggere romanzi che parlano di relazioni amorose e problemi attuali”.
Chebaro è molto orgoglioso della vittoria del suo Al-Sanousi e ha detto che sapeva che il libro avrebbe vinto “perché va al cuore di quella che è una questione reale e molto diffusa” sia in Libano che nei paesi del Golfo, dal momento che “molte persone nei paesi arabi si fanno aiutare da governanti filippine nelle proprie case”.
Per l’editore il libro aveva “qualcosa di speciale” che lo ha convinto a pubblicarlo: una sensazione, un “odore” particolare che l’editore libanese cerca sempre quando deve pubblicare nuovi libri durante l’anno. “È molto difficile scegliere tra i circa 300 titoli che ci arrivano ogni anno. E gli scrittori fanno la loro parte facendoci molta pressione per vedere pubblicati i propri libri. Di solito leggiamo le prima 30-40 pagine di ogni libro che riceviamo e scegliamo solo quelli da cui riceviamo dei feedback particolari. Quando sentiamo che il libro ci trasmette quella sensazione particolare, sappiamo che ha la forza per essere pubblicato e che avrà successo. E "Il gambo di bambù" aveva quell’odore”. 
Chebaro ha pubblicato anche il libro della 27enne Jana al-Hassan dal titolo Io, lei e le altre, tra i 6 finalisti di quest’anno. “Quando lavori con libri scritti da giovani, vincere diventa molto più piacevole”, ha detto con orgoglio Chebaro.
L’editore ha anche detto che nei prossimi giorni verranno pubblicate nuove copie del libro, che ha già ricevuto nuovi ordini. La copertina riporterà la fascetta con scritto “vincitore dell’IPAF”. 
Dopo la vittoria del suo autore Chebaro è stato avvicinato da un gruppo di editori stranieri che volevano informazioni sui diritti per la traduzione ma, almeno fino a mercoledì sera, sfortunatamente ancora nessun editore inglese gli si è presentato, nonostante il libro sia uno di quei libri che un editore inglese farebbe bene a pubblicare. 

Editoriaraba - Saoud Al Sanousi, vincitore dell’Arabic Booker 2013: il mio libro contro i pregiudizi


Saoud Al Sanousi, vincitore dell’edizione 2013 dell’Arabic Booker, appare come un giovane uomo molto determinato, ci racconta l'inviato di Editoriaraba.
A soli 31 anni, alla sua seconda prova da scrittore, il più giovane autore ad avere mai vinto il premio per la narrativa araba ha conquistato l’Arabic Booker con una storia “unica”, come l’ha definita Bassam Chebaro, suo editore libanese, che ha costretto i giudici a rimanere incollati alle pagine del libro fino alla fine, come ha detto Galal Amin, presidente della giuria.
"Il gambo di bambù" affronta un argomento sensibile e spinoso al tempo stesso: le dure condizioni di vita dei lavoratori filippini nei paesi del Golfo. Un fenomeno, quello dei migranti asiatici nei (ricchi) paesi arabi, pieno di ombre e che diventa sempre più imponente nei numeri. 
Josè, il protagonista, è figlio di un ricco kuwaitiano e di una domestica filippina che lavorava presso la famiglia del primo. Dopo la nascita del figlio, la donna era stata costretta a tornare nel proprio paese. Al compimento dei 18 anni Josè decide di tornare in Kuwait alla ricerca del padre e delle sue origini. Perché lui, come un gambo di bambù non ha radici, è un senza terra. Un giovane uomo senza identità e vittima dei pregiudizi e degli stereotipi.
Il libro affronta dunque il tema del razzismo e dell’identità o della mancanza di questa. È un romanzo, ha detto Al Sanousi in conferenza stampa, su chi non ha cittadinanza. Neanche nella sua famiglia, visto che la madre di Josè a volte non riesce neanche a guardarlo in faccia o a sentirlo parlare perché le ricorda il marito.
L' autore parla anche delle difficoltà della madre di Josè e delle difficoltà di quest’ultimo, alla ricerca di sé in un paese che invece lo percepisce come un corpo estraneo. 
Questo è un libro che solleva molti interrogativi, ha detto Al Sanousi. Interrogativi che lui stesso si è posto sin da quando, molto giovane, era andato a lavorare in contesti “multiculturali” e aveva sperimentato in prima persona il dolore che si prova nell’essere vittima di pregiudizi e stereotipi nocivi, che lui aveva sempre rifiutato. 
Il giovane scrittore si era quindi domandato: come ci vedono gli altri e noi, come li vediamo? E quello che aveva visto in risposta non gli era piaciuto, ma non era neanche riuscito a mettere su carta quelle emozioni negative. 
Finché non è arrivato Josè, tramite cui Al Sanousi è riuscito a descrivere gli aspetti negativi degli stereotipi.
Come il suo autore, il libro non dà risposte. Ma solleva domande e questioni (il razzismo verso chi consideriamo inferiore rispetto a noi, il trattamento dello straniero, la mancanza di identità e la ricerca del sé) che, a prescindere dall’ambientazione del libro, sono assolutamente e umanamente universali.

mercoledì 24 aprile 2013

Editoriaraba - Da Abu Dhabi Arabic Booker


All'Hotel Rocco Forte di Abu Dhabi ieri si è tenuta la cerimonia di premiazione del premio per la narrativa araba di quest’anno. 
Sul palco Jana El Hassan, unica donna della lista; Ibrahim Eissa, famosissimo giornalista e commentatore egiziano dotato di una verve comica irresistibile, anche grazie alla simpatia innata che suscita il suo viso e i suoi occhi vivaci; l’intenso Sinan Antoon, il giovane e riflessivo Alwan e Al-Wad, che ha confessato la sua passione per i dizionari arabi antichi che lo hanno stimolato nello scrivere il romanzo finalista, ci racconta l'inviata del blog.
Galal Amin, l’economista egiziano a capo della giuria di quest’anno, ha proclamato il vincitore.
Prima di indicare il nome, Amin ha voluto sottolineare per ben due volte come la giuria non si sia mai fatta condizionare in alcun modo nella scelta dei semifinalisti, dei finalisti e del vincitore. Quasi a voler sgombrare il campo da dubbi e accuse, che gli sono state comunque rivolte durante la conferenza stampa che ha seguito la premiazione. È stata solo la coscienza personale dei vari giudici (tra cui un applauditissimo Ali Ferzat, rinomato caricaturista siriano forte oppositore di Bashar al-Assad), ad aver mosso le loro scelte. 
Ed è stata solo una coincidenza fortuita che i sei romanzi finalisti fossero stati scritti da autori di sei paesi diversi. Amin ha voluto interpretare questo evento come un segno positivo, nella speranza che ciò rappresenti un rinascimento per il romanzo arabo. 
“Questi romanzi ci hanno divertito” – ha affermato, e hanno fatto provare ai giudici un interesse “reale” nei confronti delle vicende e dei paesi protagonisti. Giudici che si sono anche in qualche modo immedesimati nelle speranze di progresso per i propri paesi che ciascuno degli autori ha messo nel proprio libro. 
Dev'essere stato interpretato così "Gambo di bambù" di Saoud al-Sanousi, il giovane autore proclamato vincitore dell’Arabic Booker, che viene dal Kuwait, paese che per la prima volta partecipava al premio.
Sul blog  potrete ascoltare l'atmosfera di chi lo ha vissuto in diretta.

Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Roma, 23 aprile 2013 - Libreria Assaggi

Ilaria Guidantoni con la giornalista Lilli Garrone



lunedì 22 aprile 2013

Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" Firenze, 20 aprile 2013

Ilaria Guidantoni insieme a Maurizio Filippini, promotore degli "Incontri con l'autore"
presso l'hotel Golden Tower di Firenze



venerdì 19 aprile 2013

Concorso letterario "Gocce d'inchiostro"

Viola Editrice promuove la prima edizione del concorso letterario "Gocce d'inchiostro". Termine per l'invio delle opere (poesie, racconti, romanzi) è il 15 maggio.
Regolamento integrale per la partecipazione, sul sito della casa editrice www.violaeditrice.it



Segnalazione su Saltinaria.it

Premiati i vincitori del concorso giornalistico TALEA - 2° Edizione


Anche questo anno, la Fondazione Ethnoland ha premiato i giornalisti vincitori della seconda edizione del concorso giornalistico "Talea, il merito mette radici", nell'ambito del convegno I nuovi italiani, dal patto civico al patto di civiltà: pubblico confronto sul manifesto per la nuova cittadinanza, tenutosi il 17 aprile 2013, presso Palazzo Marino, a Milano.
Non è affatto casuale che il convegno sulle nuove frontiere della cittadinanza sia stato il preambolo della serata in quanto il concorso giornalistico Talea motiva e premia il contributo dei media a procurare una migliore comprensione dei fenomeni migratori e del valore della diversità. Con la convinzione che raccontare le virtuosità dei nuovi cittadini crei un'emulazione positiva e stimoli la cultura meritocratica che Ethnoland promuove.
"Il meticciato di civiltà è una prospettiva storica imprescindibile. È un dato di fatto, ormai sotto gli occhi di tutti. Oggi, dobbiamo cercare di cambiare il modo in cui si fa fronte a questo fenomeno irreversibile. È giunta l’ora di definire le frontiere della nuova cittadinanza". L'appello lanciato da Otto Bitjoka, presidente della Fondazione Ethnoland, ha introdotto il pubblico confronto con gli interventi di Basilio Rizzo, presidente del Consiglio del Comune di Milano; Piero Bassetti, presidente Globus et Locus; Stefano Rolando, docente IULM, Riccardo Grassi di SWG e Alessandro Aleotti, direttore di Milania. Il tavolo è stato moderato da Stefano Golfari, Telelombardia.
Nella cerimonia di premiazione si è consegnata la targa a Francesca Bellino, vincitrice nella categoria Stampa con l'opera "Glossario del cronista onesto" (rivista Limes). "Pezzo colto, utile, molto originale. Affronta il tema del linguaggio quasi come una proposta di parametro per i giornalisti che affrontano l'argomento dell’integrazione", ha sottolineato la Giuria, presieduta da Franco Abruzzo, consigliere dell'ODG Lombardia.
Ornella Bellucci è la vincitrice assoluta nella categoria Radio, con il servizio "Kater I Rades, il naufragio che nessuno ricorda" (Rai Radio Tre), che ha colpito la Giuria sia per la "storia classica sulla vicenda di un affondamento sia per la bellezza nell’alternarsi delle voci di cronaca e del racconto".
Nella categoria Video, è stato premiato il servizio "Il rumore del pane" (Rai Storia), prodotto da Luca Lancise ed elaborato da Serena Brugnolo, Valeria Coiante e Marco Gentile, con un risultato "quasi poetico, ben costruito ed efficace: un bella storia di amicizia sul lavoro, senza latitudini".
Una menzione speciale si è meritato il pezzo "C’è posto per te" (Repubblica delle Donne), scritto da Carlotta Mismetti e Zita Dazzi con un giudizio positivo dai giurati: "Il tema dello ius soli emerge con una levità particolare dalle interviste.
Pezzo molto bello, che coinvolge con naturalezza senza bisogno di 'fuochi d’artificio'”.
Oltre alla targa, i vincitori di ogni categoria hanno ricevuto il premio previsto dal bando del concorso giornalistico Talea (http://www.taleaweb.eu/images/pdf/talea%20bando%202012ok.pdf), che per il secondo anno consecutivo intende, inoltre, creare consapevolezza riguardo il merito e il talento come strumenti per l’ascensione sociale. Perciò, come corollario del Premio, nella prossima edizione sarà pubblicato un'antologia con le opere più meritevoli che ormai fanno parte della storia di questo percorso verso la nuova cittadinanza.

Editoriaraba - Viaggio alla Fiera del libro di Abu Dhabi


Il blog la prossima settimana farà un viaggio alla Fiera Internazionale del Libro di Abu Dhabi, che quest’anno si tiene dal 24 al 29 aprile.
Il programma culturale di questa edizione prevede numerose sessioni e incontri interessanti, nonché la partecipazione di molti tra scrittori e poeti arabi:

Abdelaziz al-Rachedi (Marocco), Amara Lakhous (Italia-Algeria), Ahlam Mosteghanemi (Algeria), Ahmed Abdel Hamid Al Haidar (Kuwait), Badria Mohammed Al Mazem (EAU), Farah Chamma (Palestina), Fatima Sharafeddine (Libano), Fathieh Saudi (Giordania), Kamel Riahi (Tunisia), Maisa Khayat (EAU), Margo Sawaya Al Khouri (Libano), Marie Khouri, Mahmoud Issa Abu Al Haija, Munira Ibrahim Al Mashari (Arabia Saudita), Noura al Noman (EAU), Nihad Sirees (Siria), Rachid Boudjedra (Algeria), Rawi Hage (Canada-Libano), Saadia Moufarrej Al Mafrah (Kuwait), Samar Mahfouz Barraj (Libano), Samir Qassimi (Algeria), Taghreed Najjar (Giordania), Youssef Rakha (Egitto), Yousra Moukadam (Libano).

A rappresentare la letteratura italiana, oltre ad Amara Lakhous, ci saranno gli scrittori Fulvio Ervas, autore del bestseller "Se ti abbraccio non avere paura" (Marcos y Marcos, 2012) e Cristiano Cavina, rappresentante della nuova generazione di autori italiani. 
Tutti gli autori presenti (inclusi quelli internazionali non citati) si alterneranno nelle varie location della Fiera per partecipare a incontri, discussioni, piccole conferenze e per autografare i loro libri. 
Ma, naturalmente, la notorietà della Fiera di Abu Dhabi a livello panarabo è dovuta al fatto che ospita la serata di premiazione del premio per la narrativa araba, meglio noto come Arabic Booker o IPAF dall’acronimo in inglese (International Prize for Arabic Fiction). Il vincitore di quest’anno sarà annunciato la sera del 23 aprile. Editoriaraba lancia per chi vuole un sondaggio al quale si può partecipare collegandosi al sito.
I sei finalisti incontreranno la stampa e i lettori nei giorni seguenti e firmeranno anche i loro libri. 
Virtualmente anche i lettori del blog potranno seguire la manifestazione letteraria. 

"Qualcosa su mia madre" di Lucia Valenzi


Dall'autore che ha respirato il Mediterraneo delle due sponde

Lunedì 22 Aprile alle 10,00 nella sede del Maschio Angioino la presentazione del libro di Lucia Valenzi “Qualcosa su mia madre”, edito da Cento Autori, con una prefazione di Clio Napolitano.
Lucia Valenzi, presidente della Fondazione Maurizio Valenzi, pittore nato e formatosi a Tunisi e poi sindaco di Napoli, ha assorbito le diverse sfaccettature del mondo mediterraneo, dalla tradizione ebraica a quella cristiano-musulmana e le suggestioni di un intreccio di genti 'nomadi'.

Il volumetto, presto scaricabile anche dal sito della Fondazione, in ricordo di Litza Cittanova, moglie di Maurizio Valenzi, propone uno sguardo diverso sulla Napoli del dopoguerra, intrecciando insieme biografia, storia e memoria dell’impegno sociale e politico di un’intera generazione.
Questa pubblicazione è anche un modo per ripercorrere, attraverso la biografia di una donna che ha vissuto in prima persona l’oppressione nazifascista prima e l’impegno politico e sociale poi, in una visione diversa una parte importante della storia soprattutto di Napoli dagli anni ’40 in poi.
All’iniziativa interverranno le giornaliste Titti Marrone, Armida Parisi e Eleonora Puntillo, e le autrici, tra cui Marina Guardati e Rosa Pignanelli.
Nel corso dell’incontro sarà proiettato il docufilm di Simona Cappiello “Gli occhi più azzurri. Una storia di popolo” sulle storie dei tanti bambini del Mezzogiorno assistiti contro fame e malattie dalle famiglie contadine del Centro-Nord nel secondo dopoguerra, grazie all’attività dei Comitati per la salvezza dei bambini. Proprio nel Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli operò per molto tempo Litza Cittanova.

Dalla quarta di copertina:
“Avevamo accolto Litza con cordiale sufficienza, perché ci era parsa troppo fragile per la realtà napoletana del dopoguerra, ne scoprivamo ora la combattività e la scuola del Partito Comunista Francese” (Gaetano Macchiaroli) 

“Litza nella sua apparente vaghezza era una persona di grande qualità e finezza intellettuale” (Clio Napolitano) 

martedì 16 aprile 2013

Editoriaraba - Una primavera araba…letteraria


"I lettori mi perdoneranno se, nel dare il titolo a questo post, ho usato un’espressione così abusata e dibattuta come “primavera araba”, ma cadeva talmente a pennello per descrivere l’ondata di libri di letteratura (narrativa e saggistica) che sta per arrivare nelle librerie italiane che non ho saputo resistere", scrive l'autrice dell'articolo.
Tra romanzi, polizieschi (soprattutto) e memoir, l’offerta è quanto mai ricca e variegata ed è prova, ancora una volta, dell’interesse sempre alto che l’editoria italiana sta dimostrando (con alterne fortune, bisogna dirlo) non solo nei confronti della letteratura araba ma dei temi legati al mondo arabo-islamico più in generale. 
Non tutti i 10 libri ricadono nella categoria di “letteratura araba”. Nell’ordine, e con le dovute e segnalate differenze, compariranno: Shady Hamadi, Ahlam Mostaghanemi, Iman Bassalah, Rosa Yassin Hassan, Rabih Alameddine, Amara Lakhous, Karim Miské, Khaled al-Berry, Ahmed Mourad e Habib Selmi.


APRILE

"La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana", Shady Hamadi, Add Editore – esce il 18 aprile
Shady Hamadi, forse lo sapete, è un giovane scrittore e giornalista italo-siriano, già autore di Voci di anime. Attivista per la Siria, da due anni scrive, commenta, riflette e soprattutto gira l’Italia per sensibilizzare il pubblico affinchè di Siria si discuta seriamente e con coscienza. Questo suo secondo libro è un omaggio ai tantissimi siriani morti, alla storia e al dolore della sua famiglia, un tentativo di renderlo comprensibile, questo dolore. È una risposta al famoso "L’infelicità araba" di Samir Kassir e un augurio affinché di Siria, in Occidente, si parli ancora.
Ibrahim, Mohamed e Shady Hamadi: tre generazioni di una famiglia siriana che ha vissuto sulla pelle i dolori della dittatura. Poi ci sono Abo Imad, Eva Zidan, Rami Jarrah e molti altri ragazzi che hanno raccontato al mondo la grande rivolta siriana, eroi che lottano per la libertà di un paese schiavo della propria infelicità. Nelle pagine di Shady Hamadi si incrociano i racconti di una stagione di lotte e di speranze che l’Occidente, distratto e colpevole, ha guardato troppo poco. Hamadi raccoglie testimonianze di sacrifici, di sofferenza, di dolore ma anche di coraggio e di aspettative portate avanti con orgoglio. Il libro è un manifesto per il popolo siriano che sta vivendo la sua primavera nelle piazze e nella rete. "La felicità araba" ci racconta quello che per troppo tempo non abbiamo voluto vedere.
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"L’arte di dimenticare" Ahlam Mostaghanemi, Sonzogno – esce il 19 aprile
La più famosa scrittrice algerina contemporanea torna in Italia con un libro dedicato alle donne e agli uomini che hanno vissuto e perso l’amore. Il libro è uscito nel 2009 per la casa editrice libanese Dar al-Adab con il titolo com.نسيان ed è la seconda opera tradotta in italiano della Mostaghanemi dopo La memoria del corpo (Jouvence, 2002, trad. dall’arabo di F. Leggio), romanzo best-seller e vincitore del Naguib Mahfouz Medal for Literature. 
La scrittrice, nata nel 1953 in Tunisia e che oggi vive a Beirut, ha una pagina Facebook cliccatissima: più di 1 milione di “mi piace”. Non so se mi spiego.. Il suo ultimo libro ha venduto in due mesi più di 100mila copie. Ogni volta che partecipa a fiere del libro e presentazioni, il pubblico è numerosissimo, alla costante ricerca di foto e autografi. Alla prossima fiera del libro di Abu Dhabi infatti sono previste ben due sessioni di autografi.
Sinossi
Quando una donna viene lasciata, tanto più se di punto in bianco, le ambasce del cuore possono travolgerla e spingerla a entrare nel tortuoso tunnel delle supposizioni, delle attese spasmodiche – più o meno sensate – di un segnale, magari nella speranza che non sia proprio l’ultimo e che lui ritorni. Ma così non va. C’è una cosa che le donne dovrebbero imparare dagli uomini, e cioè l’arte di dimenticare. Nessuno ci insegna come si fa ad amare, a evitare di essere infelici, a dimenticare, a spezzare le lancette dell’orologio dell’amore. Come si fa a non tormentarci, a lottare contro la tirannia delle piccole cose, a neutralizzare il complotto dei ricordi e ignorare un telefono che resta muto. 
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"Hotel Miranda", Iman Bassalah, Newton Compton – esce il 25 aprile
L’autrice è tunisina, nata nel 1975, ma vive tra la Tunisia, la Francia e l’Italia. "Hotel Miranda" è il suo primo libro ad essere tradotto in italiano. L’edizione originale è uscita in Francia nel 2012.
Sul sito della casa editrice italiana è possibile scaricare un estratto del libro da leggere in pdf. 
Sinossi
Due donne in fuga. Selma è una giovane dissidente che scappa dalla Tunisia, dal suo regime dittatoriale, e dalle repressioni violente e tuttavia silenziose. Alle spalle un passato doloroso: il carcere, uno sciopero della fame che l’ha quasi uccisa, un amore spezzato e una famiglia – madre e fratellino – che forse non rivedrà mai più. Ma Selma vuole vivere ed essere libera, per questo affronta il mare su un fragile barcone pur di raggiungere le coste di Lampedusa e da lì la città dei suoi sogni: Parigi. Louise, fotografa di successo e figlia della buona società parigina, si sente intrappolata in un ruolo che non ha scelto. Decisa a non trascorrere un altro 14 luglio prigioniera della sua vita, abbandona marito, figli e benessere, facendo perdere le sue tracce.
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"Bozza", Rosa Yassin Hassan, Il Sirente, trad. dall’arabo di Fatima Sai– esce il 25 aprile.
A questo libro e' dedicato un post sul blog.



MAGGIO

"La libraia di Beirut", Rabih Alameddine, Bompiani, trad. di L. Vighi
Alameddine, scrittore di origini libanesi, e già autore di "Hakawati. Il cantore di storie", uscito sempre per Bompiani. L’autore, nato in Giordania da genitori libanesi drusi, oggi vive tra San Francisco e Beirut; ha un account twitter (dove twitta esclusivamente in inglese) e un sito Internet dove è possibile trovare notizie sulla sua bibliografia, che è quasi tutta in inglese. Il che mi fa pensare che sia uno di quegli autori della diaspora libanese che tra arabo, inglese e francese hanno deciso di scrivere nella seconda lingua. Sul destino di questo tipo di autori, sconosciuti e non letti sia dagli arabofoni che dai francofoni, vi rimando a questo articolo di Publishing Perspectives su Rawi Hage, scrittore libano-canadese. 
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"Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario", Amara Lakhous, Edizioni e/o
Non credo ci sia bisogno di presentare Amara Lakhous. Sul sito della casa editrice c'e' una sintesi del suo nuovo, attesissimo romanzo, che ancora una volta è giocato sul filo del racconto giallo multiculturale. Ottobre 2006. Mancano pochi mesi all’entrata della Romania nell’Unione Europea, ma Torino è scossa da una serie di omicidi che coinvolgono albanesi e rumeni. È in corso una faida fra delinquenti, o c’è dietro la mano della criminalità organizzata che prima ‘infesta’ e poi ‘bonifica’ certe aree per speculare nel settore immobiliare? Enzo Laganà, nato a Torino da genitori calabresi, è un giornalista di cronaca nera che vuole vederci chiaro e scoprire il movente degli omicidi. Ma prima di far luce sul caso dovrà occuparsi di una spinosa vicenda che riguarda Gino, il maialino del suo vicino di casa, il nigeriano Joseph. Chi ha portato il maialino nella moschea del quartiere? E soprattutto perché? Enzo dovrà far luce su questi piccoli e grandi misteri usando un bel po’ di fantasia, ironia e tanta pazienza. Un giallo multietnico per raccontare il nostro Paese multiculturale all’insegna della commedia all’italiana.
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"Arab Jazz", Karim Miské, Fazi
Karim Miskè è un autore (e documentarista) francofono nato ad Abidjan da padre mauritano e madre francese, che oggi vive in Francia. Quindi esula un po’ dal nostro ambito, lo so. Mi è concessa una licenza poetica? 
Il suo "Arab Jazz" (apparso in francese nel 2012) è infatti ambientato in Francia, a Parigi; è un poliziesco che ruota attorno al tema dell’immigrazione e dell’integrazione tra ebrei, cristiani e musulmani. Nel 2012 è risultato vincitore del premio letterario Le grand prix de littérature policière. In Francia è stato ben accolto dalla critica e anche dal pubblico, visto che nei primi mesi ha venduto oltre 10.000 copie.
Parigi, XIX arrondissement, ambiente cosmopolita, atmosfere vivaci e creatività. Ahmed Taroudant, affetto da una depressione cronica, vive grazie ai sussidi sociali e la sua esistenza si svolge all’interno di un quadrato di strade ben definito, i cui punti di riferimento sono la bottega di Sam il barbiere, la libreria di Monsieur Paul e il suo stesso appartamento. Il giorno in cui la giovane vicina di casa viene trovata morta, vittima di un omicidio particolarmente efferato, Ahmed è l’indiziato perfetto anche se i due poliziotti che seguono il caso non credono a una pista tanto scontata. La soluzione del crimine si nasconde invece nelle maglie del traffico di una nuova droga chimica i cui attori sono guidati da severi credi religiosi. 



ENTRO L’ESTATE

"Danza orientale", Khaled al-Berry, Mondadori
Siete lettori che spulciano i siti che danno anticipazioni sulle nuove uscite? Se la risposta è sì, forse questo titolo suona familiare, perché la sua pubblicazione era prevista per il 2012. Invece eccolo  ancora in attesa di trovare posto sullo scaffale delle librerie italiane. Sarà forse la mole eccessiva ad aver rallentato la traduzione, visto che in arabo le pagine totali ammontano a circa 600? 
A ben pensarci forse vi suonerà familiare perché Khaled al-Berry, egiziano, è un ex estremista islamico ora pentito, che vive a Londra da rifugiato politico. E il suo "La terra è più bella del paradiso". (Bompiani, 2002) è il racconto di questa incredibile conversione.
Di estremismo islamico si occupa anche "Danza orientale", pubblicato nel 2011 al Cairo dalla casa editrice Dar El Ain con il titolo رقصة شرقية, che è stato finalista al premio per la narrativa araba nel 2011. 
I destini di tre giovani egiziani s’incrociano a Londra, negli anni Novanta. Condividono un segreto legame con l’islamismo radicale. Anche se Hussein viene arruolato dai servizi segreti inglesi, mentre Yasser si troverà coinvolto in una relazione con una ragazza cristiana. Le loro storie si sviluppano in un intricato quadro di trame familiari, rivalità e sospetti, dando vita a un insolito thriller letterario che indaga sui sentimenti e le paure del dopo 11 settembre. 
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"Polvere di diamante", Ahmed Mourad, Marsilio
Ad un anno dall’uscita in Italia di Vertigo (l’avevo recensito qui), Marsilio pubblica un nuovo romanzo dello scrittore egiziano Ahmed Mourad (Egitto, 1978). Con mia grande felicità, posso dirlo?
"Polvere di diamante", pubblicato nel 2010 al Cairo dalla casa editrice egiziana Dar El Shorouk con il titolo تراب الماس , è un nuovo poliziesco ambientato nella città che non dorme mai, il Cairo. 
La tranquilla routine di Taha, giovane informatore medico, viene sconvolta dall’omicidio del padre, anziano insegnante in pensione da anni costretto su una sedia a rotelle. Le indagini finiscono in un vicolo cieco e il caso viene archiviato. Ma Taha vuole che giustizia sia fatta: inizia per lui una ricerca lunga e tortuosa che cambierà per sempre la sua vita, trascinandolo in un inferno popolato di poliziotti corrotti, politici e uomini d’affari disonesti, killer spietati e spacciatori di droga che gli mostreranno il lato più oscuro del Cairo di oggi. 
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"Gli odori di Marie Claire", Habib Selmi, Mesogea
Lo scrittore tunisino (Tunisia, 1951), finalista lo scorso anno all’IPAF con Le donne di al-Basatin, è stato da poco ospite al Festival Incroci di Civiltà, di cui abbiamo parlato ieri, e fonti bene informate mi hanno detto che è stato un bellissimo incontro, moderato da Elisabetta Bartuli traduttrice proprio de "Gli odori di Marie Claire" (finalista IPAF nel 2009), presentato a Venezia in anteprima.
Bartuli ha detto che ’Selmi ha scritto una storia d’amore tra due persone di culture diverse fatta di gentilezza e piccoli scontri culturali quotidiani’. 
Selmi: ‘affronto i grandi temi attraverso le piccole cose. Il mio uomo arabo è fatto anche di fragilità e debolezze.’ 
E ancora, ‘la storia d’amore che ho scritto non è in chiave post-coloniale. Guardo alle piccole cose che uniscono gli individui.’ 
Il libro è stato pubblicato dalla libanese Dar al Adab nel 2008 con il titolo روائح ماري كلير ed esplora il tema dell’incontro tra Oriente ed Occidente attraverso la relazione tra un uomo arabo e una donna occidentale, ognuno dei quali simboleggia il sistema di valori della cultura di appartenenza. Il romanzo non è solo l’incontro tra due culture, ma anche un viaggio nell’amore tra due persone, dal primo sguardo dell’innamoramento, alle ultime parole, rabbiose e gridate.

lunedì 15 aprile 2013

"Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Pistoia, SIRTAM, 13 aprile 2013

Ilaria Guidantoni insieme al presidente della SIRTAM, Raffaello Lenzi



"Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Lucca, libreria Baroni, 12 aprile 2013


Ilaria Guidantoni con il professor Luciano Luciani e Marisa Cecchetti

Insieme al libraio, Cristiano Albero

Editoriaraba - La poesia di Adonis, tra identità e metamorfosi a Venezia


Il grande poeta siriano Adonis ha inaugurato la VI edizione del Festival Internazionale di Letteratura di Venezia "Incroci di civiltà" che si è concluso il 13 aprile. Lorenzo Tel era all’Auditorium Santa Margherita di Venezia, dove si è svolto un suggestivo spettacolo di suoni, immagini e musica, scanditi dai versi e dalla parola del poeta, e queste sono le sue riflessioni. 

di Lorenzo Tel*

Con la cerimonia inaugurale di mercoledì 10 aprile all’Auditorium Santa Margherita, presso il medesimo campo a Venezia, il poeta siriano Adonis, la performance di Marco Nereo Rotelli e la consegna del Premio Bauer Ca’ Foscari, è iniziata la sesta edizione di Incroci di civiltà 2013, Festival internazionale di letteratura a Venezia che ha accolto ventidue scrittori, provenienti da diciotto paesi, dall’Europa all’Africa, dal Vicino ed Estremo Oriente all’America Latina. 
Adonis, Michael Ondaatje, Amitav Ghosh, Amélie Nothomb, Edmund de Waal sono alcuni dei protagonisti del fitto programma del Festival, promosso da Università Ca’ Foscari Venezia, Cafoscari letteratura e dal Comune di Venezia, Assessorato alle Attività e Produzioni Culturali, con la partnership di Veneto Banca, The BAUER’S Venezia, AVA Associazione Veneziana Albergatori e Fondazione Musei Civici.  
All’appuntamento inaugurale sono intervenuti il Rettore Carlo Carraro, il Sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’Assessore alle Attività Culturali, Tiziana Agostini e la Direttrice del Festival, Pia Masiero. 
E' stata la volta della consegna del Premio Bauer Ca’ Foscari al poeta Adonis per il quale 'il soggetto non può dirsi senza l’altro': l’io suppone sempre un altro e senza l’altro, l’io non si regge in piedi. Il poeta ha poi sottolineato la presenza di legami profondi tra Venezia e Damasco, legami storici di amicizia, di commerci e anche di incomprensioni; legami profondi, comunque, che lo hanno condotto ad accettare l’invito a venire nella città lagunare.
La performance “Identità e metamorfosi”, un progetto originale dell’artista Marco Nereo Rotelli, ha visto come protagonista proprio Adonis, il grande poeta capace di articolare con leggerezza ed intensità la profondità dei sentimenti umani e le sfide del nostro tempo globalizzato. Identità e metamorfosi sono, infatti, i fili conduttori della poesia di Adonis e sono stati al centro del suo poetare durante la serata inaugurale.
È stato come un viaggio evocativo tra Venezia, con al centro la sua Basilica, Damasco, la città odorosa di gelsomino, e il Libano, luogo di transito e di identificazione, di passaggio e di stazione. È una continua ricerca di senso, che travalica l’appartenenza culturale e va verso l’uomo. Adonis parla all’uomo, primariamente al suo orecchio, poi al suo cuore, poi al suo raziocinio. 
Lo fa, Adonis, conscio di usare una parola fragile e potente, passeggera e penetrante. Egli usa una parola fina come carta velina, ma dotata di un pondus originato dal proprio sangue, da quanto attraversato per portare l’uomo a un avanzamento, non a un progresso, poiché la parola poetica è un salto nel vuoto, è un confrontarsi con il buio che fa scaturire sempre e comunque una parole inedita. Parola come scaturigine di luce, anche se lascia paradossalmente il poeta nel buio.
La poesia per Adonis è un viaggio nel tempo dell’uomo che cerca di comprendere le metamorfosi dell’identità. È una trasformazione perpetua declinata nell’immagine di un itinerario da oriente a occidente e viceversa, un viaggio per mare, con il tempo e con il vento; un viaggio che si riflette nello specchio dell’anima. È un viaggio d’amore e con amore tra le città del bacino mediterraneo, che sono luoghi di incontri, luoghi di un percorso che va al di là di ogni percorso.
La parola diventa una terra ove abitare, una musica che affascina e scandisce le tappe: Venezia, Damasco, Beirut, Napoli, Granada… In ogni città incontriamo forme e saperi per comprendere il nostro esserci e il senso del nostro essere.
Alcuni passaggi per me evocativi:
«A Venezia non imparerai nulla che tu non abbia già imparato nelle altre città d’Europa. Venezia, Europa, un volto che legge solo se stesso… »
«…Marco, ci chiamano stranieri, come se la terra non fosse stata una volta straniera…»
«…le barche sono le ultime a sapere; i marinai sono gli ultimi a confessare…»
«…Dico a te, quello che dico a me stesso: Trasmigra nel tempo, lanciati sui vaporetti per sapere come vivere e come morire… ondeggiando».
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*Lorenzo Tel, 36 anni, BA in teologia nel 2004 e laurea triennale in Lingue e Culture del Mediterraneo e del Medio Oriente nel 2011 presso università Ca’ Foscari – Venezia. Prossimo alla laurea magistrale in Lingue e Civiltà dell’Asia e dell’Africa Mediterranea presso la medesima università. Deciso a passare i prossimi dieci anni di vita in paesi arabi.

giovedì 11 aprile 2013

Stefano Rizzo, "Le rivoluzioni della dignità"


"Le rivoluzioni della dignità"
18 mesi di proteste, di violenze, di repressione e di rivoluzioni che hanno cambiato il mondo arabo

Il libro di Stefano Rizzo - consigliere parlamentare alla Camera Deputati; ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, ha insegnato all'Università di Roma letteratura americana - nato per iniziativa del CRS-Centro riforma dello Stato e del suo istituto di studi geopolitIci Geopec, racconta di 18 mesi di fermento. L'idea è che non esistano scorciatoie e che anzi l'unica 'cosa' che l'Europa può fare è sostenere e accompagnare il cambiamento di paesi giovani; senza reprimere, esaltare semplicisticamente o imporre un modello dall'alto perché questo provocherebbe, come ha già provocato, comportamenti deteriori.
Perché non ci sia più Sebrenica, Buchenwald o un altro Rwanda occorre trovare una via alla negoziazione.
Il titolo accenna alla pluralità delle situazioni e cita quello che è stato uno dei concetti protagonisti delle rivolte e soprattutto perché attiene ad un valore antecedente alla politica. E' antecedente ad ogni sovrastruttura ed è la richiesta del rispetto umano e del lavoro. 

Editoriaraba - Ahmad Rafiq Awad, in arrivo una nuova traduzione e tour di presentazioni in Italia


E' stata appena pubblicata la seconda opera tradotta in italiano dello scrittore palestinese Ahmad Rafiq Awad, già autore de' "Il paese del mare" (Edizioni Q, 2012; tradotto dall’arabo da A. Isopi; euro 12,00) presentato lo scorso anno in Italia. 
Il libro in questione è un’opera teatrale in 5 atti dal titolo "Re Churchill" (Calmenia editrice, Roma, 2013; traduzione dall’arabo di Odeh Amarneh e Diab Haitali), pubblicata originariamente a Ramallah nel 2008 con il titolo “مسرحية “الملك تشرشل". 
L'opera racconta la storia della prima delegazione palestinese recatasi a Londra nel 1921 per incontrare l’allora ministro delle colonie britanniche, Churchill, e per perorare la causa del popolo palestinese. Nei cinque atti viene descritta l’estenuante attesa, le difficoltà incontrate dai membri della delegazione, i tranelli e le delusioni in cui incorsero. L’ultimo atto descrive, in modo farsesco e ironico, l’incontro fra alcuni membri della delegazione ed il Re Churchill. Il centro del libro è rappresentato da questo incontro, inconcludente e paradossale, descritto in modo così ironico da divenire paradigma di tutta la storia dei rapporti internazionali che hanno avuto, fin da quel momento, come protagonista la Palestina.

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L’autore arriverà in Italia a fine mese per presentare il libro e prendere parte ad una serie di incontri culturali organizzati dalla Comunità Palestinese per celebrare il 65° anniversario della Nakba. 
Il 26 aprile sarà a Perugia al prossimo Festival internazionale del giornalismo per partecipare ad un panel sulla questione israelo-palestinese insieme ai giornalisti Zouhir Louassini, Meron Rapoport, Gigi Riva e Alessia Schiaffini (11.30 – 13.00, sala del dottorato).

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Ahmad Rafiq Awad è nato nel 1960, a Ya’bad, una cittadina nei pressi di Jenin, da una famiglia di profughi provenienti dalla re­gione di Cesarea. Oggi vive a Ramallah e dal 2001 insegna presso il dipartimento di Media e Televisione dell’Università Al-Quds di Gerusalemme. 
La sua produzione letteraria spazia dalla narrativa alla saggistica, dal giornalismo alla politica e fra i suoi lavori vanno annoverate anche diverse opere teatrali. Scrittore poliedrico e molto conosciuto nel mondo arabo, ha da sempre un ruolo centrale e propulsivo nel movimento culturale palestinese. Attualmente è uno dei membri del consiglio superiore della cultura palestinese. Negli anni è stato insignito di numerosi premi internazionali, il più prestigioso dei quali è stato il riconoscimento quale “miglior scrittore arabo nel 2003”, conseguito ad Amman. 
È uno dei fondatori della radio-televisione palestinese, all’interno della quale ha ricoperto diversi ruoli ottenendo riconoscimenti internazionali come il premio di “primo giornalista arabo dell’anno 1996”, conseguito al Cairo. 

martedì 9 aprile 2013

Giovedì 11 Aprile, alle 18.00, si parla di Libano insieme ad Antonella Colonna Vilasi e Giuliano Gazzani - Libreria l'Argonauta, Roma


Editoriaraba in polemica su una concezione folkloristica della letteratura 'altra'


L'autrice dell'articolo è in polemica con lo scrittore Massimiliano Parente, per un suo intervento sabato scorso sul "Giornale". In 60 righe o giù di lì, l’autore lamenta la scomparsa dalle librerie italiane dei grandi autori della cultura classica occidentale, il cui posto sarebbe stato usurpato da una folta schiera di autori stranieri, di origini araba e africana per lo più, dai nomi impronunciabili e che fanno dire al nostro che in realtà questa letteratura “etnica” servirebbe a nutrire palati borghesi e radical chic, in cerca di altrui dolori e tragedie, così da sentirsi confortati nel caldo e nella mollezza benestanti delle proprie abitazioni. Perché a vendere di più oggi sarebbero i romanzi sulle tragedie africane, palestinesi, arabe e dei migranti, che in passato trovavano posto nei grandi reportage giornalistici, mentre oggi “bisogna scriverci dei romanzi”.
L'autrice scrive che "per quanto possa essere condivisibile, ad un minimo livello, la critica che il nostro muove ad un certo filone di marketing editoriale italiano che strizza l’occhio al lettore medio, adescandolo con proposte che solleticano la sua pruderie, in realtà ci sono diverse note stonate in questo pezzo, che sembra scritto in tutta fretta (tanto per cominciare, tutti i titoli citati sono nuove uscite) e in cui il parlare della letteratura sembra solo un pretesto per sparare a zero su altro e difendere l’orgoglio nazionale e i propri confini sicuri.
L’immagine che esce da questo articolo è quella di una letteratura straniera un po’ folkloristica, i cui scrittori portano nomi come Jabbour Douaihy, Alawiya Sobh, Yasmina Khadra o titoli come Timira. Romanzo meticcio, che sono 'impronunciabili' e che sono stati tradotti o pubblicati in Italia solo perché l’esotico tira, va di moda. 
I nomi citati sono messi alla rinfusa come se fossimo all’interno di un enorme calderone in cui mischiare gli stessi ingredienti. Si passa da Timira, letteratura italiana e migrante; a Shani Boianjiu, autrice israeliana, che sta insieme a Sobh e Douaihy, scrittori libanesi, e Khadra, autore algerino francofono che vive in Francia. Nomi infilati uno dopo l’altro come fossero intercambiabili, perché quando si parla di qualcosa che non si conosce, ma che si giudica, lo strumento della generalizzazione è quello più facile e pronto da usare.
Mi piacerebbe sapere se Parente sa chi sono questi autori, se li ha mai letti: se sa che l’ultima volta che Khadra è venuto in Italia, ad esempio, ha riempito un auditorium romano; se sa che Jabbour Douaihy è stato di recente ospite della Scuola Holden di Torino, in cui ha tenuto una lectio magistralis sulla letteratura e il mestiere dello scrittore. Chissà se sa che gli italiani leggono, da decenni ormai, la letteratura araba in traduzione, che conoscono e apprezzano Mahmoud Darwish, Elias Khoury, Abdellah Taia, Hoda Barakat, Ghassan Kanafani, Nagib Mahfouz, Ghada Samman.
Nel romanzo di Jabbour Douaihy, "San Giorgio guardava altrove" (Feltrinelli), la protagonista racconta la guerra civile in Libano e il dramma della sua doppia appartenenza religiosa, cristiana e musulmana.  
Douaihy dev'essere stato tradotto non perché abbia effettivamente qualcosa da dire, ma perché ha un nome così complicato che chi lo riesce a decifrare e pronunciare correttamente deve sentirsi molto intelligente...
Il sentore folklorista viene rafforzato poi ancora di più dall’immagine messa in bella mostra nell’articolo, e che raffigura una danza africana.
È evidente che per Parente solo la letteratura occidentale può parlare delle miserie della condizione umana. Non quella extra-occidentale che racconta solo di guerre, bambini ammazzati e povere donne islamiche senza diritti. Come se, ad esempio, i libri che raccontano la guerra civile in Libano avessero una portata ristretta, nazionale, o riservata a lettori di un certo tipo e come se il racconto di quella tragedia libanese non potesse essere portatore di un messaggio universale. 

lunedì 8 aprile 2013

Editoriaraba - “La scrittura araba e il progetto Decotype”: una presentazione


"La scrittura araba e il progetto Decotype. Dai manoscritti alla calligrafia informatica" è stato scritto da Stefania Cantù e Paolo Daniele Corda; la prefazione è di Thomas Milo. Il testo è stato pubblicato da Sedizioni (febbraio 2013; pp. 194, 24 euro) ed è stato presentato a Torino dall’Associazione Jawhara qualche settimana fa. Su Facebook le immagini della presentazione. 

Di seguito la presentazione di Stefania Cantù rivolta ai lettori di Editoriaraba.

'La mia esperienza come studentessa di arabo è stata costantemente accompagnata dalla domanda “perché è così difficile scrivere in arabo al computer?”. Ho affrontato il tema nel corso della stesura della mia tesi di laurea triennale durante la quale ho avuto l’opportunità di incontrare Thomas Milo, linguista olandese che per più di 30 anni ha studiato la scrittura e la tipografia araba, riuscendo a creare una tecnologia per poterla riprodurre correttamente e facilmente mantenendo le caratteristiche di testo informatizzato. Aver avuto l’occasione di conoscerlo personalmente e di aver condiviso insieme a Paolo un rapporto di sincera amicizia con lui e sua moglie Mirjam, mi ha dato l’opportunità, nei tre anni dedicati alla stesura di questo testo, di approfondire ulteriormente le tematiche dei suoi studi, le problematiche da lui incontrate e le soluzioni, riconosciute a livello internazionale, che è riuscito a raggiungere in tanti anni di lavoro.
Il desiderio che ci ha spinti a scrivere questo libro è nato dalla sentita necessità che si diffonda una diversa prospettiva di studio della scrittura araba, delle regole della sua grammatica ortografica e della loro evoluzione nel tempo. La ricerca svolta per la stesura del testo ci ha resi consapevoli di come lo studio delle regole calligrafiche sia fondamentale per una completa comprensione della lingua e di come l’utilizzo di strumenti adeguati per poterle gestire in ogni ambito sia indispensabile. 
Il testo è strutturato in modo da essere accessibile anche ad un pubblico che non conosca la lingua araba, permettendo di evidenziare la cultura dello scrivere più della lingua in sé. Nei primi capitoli vengono forniti dei precisi fondamenti di arabo, facilmente approcciabili, introducendo i principali stili calligrafici, con una panoramica dell’evoluzione della tecnica della loro riproduzione in stampa, nel contesto della storia della tipografia. Vengono analizzate in particolare le prime stampe in caratteri arabi, il primo Corano stampato a Venezia, noto proprio come “Il Corano di Venezia” scoperto da Angela Nuovo nel 1987 nel convento dei frati minori di San Michele, e le stampe ottomane in cui viene dato risalto alla loro massima espressione, il Corano del Cairo del 1923-24. 
Questa prima parte illustra inoltre come la tecnologia che utilizziamo ancora oggi negli strumenti di ogni giorno per riprodurre la scrittura araba non è altro che l’adattamento informatico di una drastica semplificazione che ha subìto all’inizio del XX secolo con la larga diffusione delle macchine tipografiche occidentali. L’arabo che troviamo nei comuni programmi di videoscrittura risulta quindi essere una sub-variante imposta dal monopolio occidentale della tecnologia digitale.
Nella seconda parte del testo vengono presentati i risultati innovativi della ricerca dell’istituto DecoType (Linguistic Expert & Designers of Computer-aided Typography) fondato da Thomas Milo, Mirjam e Peter Somers, rispettivamente linguista, designer e ingegnere aeronautico. Questa formazione multidisciplinare, a prima vista bizzarra, è risultata oltremodo vincente nella realizzazione di strumenti di ricerca sulla lingua e la scrittura araba ed è stato necessario in qualche modo replicare questa ecletticità per la stesura del testo. La mia preparazione da arabista e da sinologa, le conoscenze tecniche e informatiche di Paolo e le straordinarie capacità grafiche di Lara Captan, che ci ha accompagnati nell’editing, sono risultate fondamentali per una completa comprensione e rappresentazione degli argomenti trattati.
Prima di affrontare la parte grafica abbiamo illustrato il miglioramento apportato da Thomas Milo, a causa della scarsa elasticità della programmazione informatica, alla trascrizione classica DMG per rispondere alla necessità della resa univoca della trascrizione generalmente usata. Questo tema, particolarmente sentito da tutti noi che trattiamo con la trasposizione in lettere latine della scrittura araba, pone una soluzione al nervo scoperto dell’ambiguità dei risultati della resa della trascrizione tradizionale. Per mostrare l’efficacia di questa trascrizione modificata vi è stata dedicata un’intera sezione, illustrando con esempi le migliorie apportate, ed è stata utilizzata all’interno di tutto il testo.
La descrizione dell’analisi grafica e degli importanti traguardi raggiunti attraverso gli strumenti creati per effettuarla, sono il focus del resto del testo. A differenza del consueto approccio alla scrittura araba, che pone l’attenzione sulla diversa forma che una lettera dell’alfabeto può assumere, questo studio olandese ha evidenziato come sia in realtà la forma della combinazione di lettere connesse (chiamata blocco di lettere) a dover essere considerata l’unità minima del testo. Attraverso questa analisi non convenzionale della scrittura araba (già affrontata da famose studiose come Abbott e Gruendler e più recentemente da Khan) Thomas Milo e i membri del team DecoType sono riusciti a scomporre i più noti stili calligrafici e a ricomporli nella scrittura informatica attraverso un motore calligrafico, che propone legature e fusioni di lettere nel rispetto delle originali regole grammaticali.
Le implicazioni nei moderni studi di grafica e in ambito accademico di questo risultato sono evidenti già nelle prime dimostrazioni con l’illustrazione di scritture dal design innovativo ma corretto, analisi sulla grafica di testi coranici e addirittura innovativi strumenti di ricerca archeologica su frammenti di manoscritti islamici. 
Più di qualsiasi altro risultato raggiunto, e come più volte mi è capitato di dire da quando ho intrapreso questo lavoro, è stata però la sorprendente volontà di adattare la tecnologia alla ricchezza culturale della genuina scrittura araba che mi ha affascinata, invertendo quella spiacevole deriva che la tecnologia talvolta impone, di adattare la cultura in sua funzione'.

Editoriaraba - Lo sguardo italiano (oltre i pregiudizi) sull’Iran


Questa recensione di "Trans-Iran. Cosa succede a chi si innamora della Persia?" di Antonello Sacchetti (Infinito edizioni, 2012) è apparsa su "ResetDOC".

Nel 1978, Edward Said scriveva nel suo Orientalismo che l’Oriente, così come presentato dal discorso orientalista, era frutto di un’immagine e di una rappresentazione distorte che l’Occidente, principalmente europeo, aveva elaborato nel corso dei secoli in funzione del colonialismo. L’orientalismo era stato “un sistema di rappresentazioni circoscritto da un insieme di forze che introdussero l’Oriente nella cultura occidentale, poi nella consapevolezza occidentale e, infine, negli imperi coloniali occidentali”. Per il compianto intellettuale palestinese, scomparso nel 2003, questo sistema di rappresentazioni si era cristallizzato in uno sguardo opaco, fisso e ammantato di stereotipi con cui in Occidente si guardava all’Altro orientale, al punto che la distanza tra i due mondi era diventata un abisso invalicabile, e che aveva trasformato l’Oriente in un mondo immutabile e incapace di auto-rappresentarsi. Il discorso orientalista negli anni ebbe molta fortuna anche perché si sa, pregiudizi e stereotipi hanno vita lunga, soprattutto quando vengono ripresi e amplificati dai media e dalla politica. 
Ma cosa potrebbe accadere se provassimo a toglierci le lenti orientaliste e cominciassimo a guardare, studiare e conoscere gli “Orienti” senza condizionamenti esterni? Potremmo innamorarcene. È quanto racconta in "Trans-Iran. Cosa succede a chi si innamora della Persia?", Antonello Sacchetti, giornalista, fondatore e direttore responsabile della rivista on line “Il cassetto-L’informazione che rimane” (www.ilcassetto.it), che dal 2012 gestisce il blog “Diruz” (www.diruz.it) interamente dedicato all’Iran. 
"Trans-Iran" è un progetto ambizioso: l’obiettivo di questo libro, che è al contempo racconto di viaggio e diario personale, è quello di raccontare l’Iran oltre i soliti pregiudizi, che su questo Paese si sono andati rafforzando in particolare dal 1979, anno della rivoluzione islamica. Pregiudizi molto perniciosi in quanto hanno spesso inficiato l’analisi delle dinamiche interne al paese e delle sue evoluzioni e processi contemporanei. Attraverso la lente orientalista che viene proposta costantemente dai media e nella sfera politica, l’Iran infatti è stato ed è, di volta in volta, il nemico numero uno dell’Occidente, uno “Stato canaglia”, una terra di fondamentalisti islamici, un paese con pochi diritti e un territorio chiuso al resto del mondo. 
Sacchetti ci presenta invece un “altro” Iran: un Paese ancora largamente inesplorato, molteplice, patria di una letteratura ricchissima, ma sconosciuta all’estero, dove i suoi abitanti intrattengono un rapporto strettissimo con la propria lingua e dove la narrazione e l’abilità del racconto sono il metro per comprendere perché la poesia rivesta da sempre un’importanza fondamentale, nel patrimonio letterario e culturale iraniano. La lettura continua su "ResetDOC".

venerdì 5 aprile 2013

Editoriaraba - Laila al-Uthman: come le farfalle, le donne un bel giorno spiccheranno il volo


Quest’anno per la prima volta il Kuwait, grazie al romanzo "Gambo di bambù" del giovane scrittore Saud Alsanousi, partecipa all’Arabic Booker, il cui vincitore sarà annunciato il prossimo 23 aprile ad Abu Dhabi. "Gambo di Bambù", pubblicato nel maggio del 2012 dalla libanese الدار العربية للعلوم ناشرون - Arabic Scientific Publishers, attraverso le vicende di un giovane nato da padre kuwaitiano e madre filippina, racconta le difficoltà dei lavoratori asiatici in Kuwait, la ricerca della propria identità e l’intimo bisogno di riconciliazione di un’anima divisa tra le sue due culture di origine. 
Non si sa se questo romanzo sarà mai tradotto in italiano, ma nel frattempo parliamo comunque di letteratura kuwaitiana, con "Il messaggio segreto delle farfalle" (titolo originale: صمت الفراشات, letteralmente “Il silenzio delle farfalle”, Newton Compton, 2011, traduzione dall’arabo di Valentina Colombo, pp. 253, euro 9,90) della scrittrice Laila al-Uthman (nata nel 1945), forse l’unica autrice kuwaitiana ad essere mai stata tradotta in italiano.

La recensione è a cura di Giada Frana (*).

Nadia ha diciassette anni e sogna di poter frequentare l’università, innamorarsi ed essere padrona delle sue scelte. Ma i suoi sogni vengono infranti quando, da un giorno all’altro, la sua famiglia le comunica che sposerà un ricco kuwaitiano, molto più vecchio di lei e con due matrimoni alle spalle: a nulla valgono le sue lacrime, la famiglia è irremovibile e alla giovane resta che accettare il suo destino.
Per quattro anni Nadia sopporta ogni genere di angheria: dallo schiavo che la deflora la prima notte di nozze, alle relazioni extraconiugali del marito con le domestiche, che arrivano persino a maltrattarla, fino al non poter uscire dalle mura del palazzo, che si trasforma così in una sorta di prigione dorata.
“Le donne sono come farfalle che un giorno, nonostante tutto, spiccheranno il volo”: con questo pensiero in testa, Nadia stringe i denti e riesce, nonostante tutto, a non farsi del tutto calpestare. Non perde la speranza e, aiutata dallo schiavo Atiyya, un giorno riesce a scappare e convincere i suoi genitori ad ottenere il divorzio. Ma non servirà: il marito morirà poco dopo d’infarto e così Nadia si ritroverà finalmente libera.
La morte del vecchio non porrà fine ai suoi problemi: seppure giovane è una vedova, e in quanto tale deve rispettare certe norme comportamentali. Riuscirà in parte a riprendere in mano i suoi sogni: frequenterà l’università, diventerà una docente, ma la via verso l’amore, quello vero che desidera con tutta se stessa, sarà sempre ostacolata. 
Il carattere ribelle di Nadia emerge molto netto in questo passo: 'Ci sono usi e tradizioni che vanno rispettati. Cosa dirà la gente?' Questa era la domanda che li tormentava, era come una lancia di fuoco che si scagliava contro di noi e che noi dovevamo evitare. Discutevamo sempre di usanze e tradizioni che avevano assunto con il latte materno delle loro società arretrate. Di cui si erano nutrite generazioni e generazioni che le avevano passate in eredità ai propri figli. Non mi sarei sottomessa a questa eredità tiranna. Il mondo avrebbe potuto urlare e lacerarsi, ma io avrei vissuto senza privarmi di nulla, perché la gente non può giudicare la mia vita.
"Il messaggio segreto delle farfalle" di Laila al-Uthman è un romanzo molto forte, un romanzo-denuncia che la scrittrice e attivista, che ha contribuito in maniera sostanziale al conseguimento del voto per le donne kuwaitiane, dedica 'a tutte le farfalle in silenzio, rinchiuse come parole tra parentesi'. 
La farfalla, durante tutto il romanzo, è il simbolo di Nadia e di tutte le donne che cercano di combattere contro le tradizioni e di trovare la propria strada. La figura della donna, in bilico tra tradizione e modernità, tra famiglia e emancipazione, ne è il tema centrale. 
Al-Uthman, kuwaitiana, ha infatti iniziato a scrivere negli anni Sessanta, occupandosi dapprima di questioni sociali, collegate alla condizione della donna nel proprio Paese, per poi pubblicare una raccolta di racconti. I contenuti dei suoi romanzi, giudicati provocatori, l’hanno portata persino in tribunale per “oltraggio alla religione”.
Il libro è stato scritto tra il 2004 e il 2005, ma in Italia è stato pubblicato da Newton Compton solo nell’agosto 2011, tradotto da Valentina Colombo. 
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(*) Giada Frana è giornalista pubblicista. Collabora con l’Eco di Bergamo e cura sul sito de l’Inkiesta il blog “Amore senza confini” (http://www.linkiesta.it/blogs/amore-senza-confini), dedicato alle coppie miste e al “mondo arabo”. 

mercoledì 3 aprile 2013

Martedì 16 aprile ore 18.30 "Monti Isole. Souvenir Dolomiti" - Disegni e letture alla libreria Luidig di Benevento


Alla Libreria Luidig, martedì 16 aprile, ore 18.30

Monti Isole 
souvenir Dolomiti

disegni e letture 

presentazione di 
Miti ladini delle Dolomiti
Ey de Net e Dolasíla
di Nicola Dal Falco

con il saggio Raccontare le origini 
e le glosse di Ulrike Kindl

Benevento – Un libro di miti che racconta la caduta del regno di Fanes, immaginato e collocato dalla notte dei tempi sulle Dolomiti, è l’occasione per immergersi in un gorgo di immagini. Immagini di una cosmogonia dove il corso del tempo è circolare, dove né si avanza né si retrocede e il movimento della vita segue piuttosto quello della spirale, in un’eterna espansione e contrazione secondo gli imperscrutabile disegni della Grande Dea.
Sasso Longo III (2013)
I Miti ladini, riuniti in forma frammentaria e rielaborati da Karl Felix Wolff, nella prima metà del Novecento, abbandonano la veste novellistica e da favole esistenziali ritrovano l’eco delle prime storie del mondo, puntualmente approfondite nelle glosse, scritte da Ulrike Kindl, germanista dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e massima esperta di Wolff.
Durante la presentazione sarà inaugurata una piccola raccolta di disegni, un diario per immagini, appunto, in cui cogliere la dimensione arcaica della scena, l’aura dei Monti Isole, nati dal sollevamento di un arcipelago corallino.
Nel corso della serata verrà proiettato il video I tre colori della Dea di Andreas Linder

La mostra alla Libreria Luidig, palazzo Collenea, corso Garibaldi, 95 resterà visibile dal 16 aprile al 12 maggio (www.luidig.it)  

Palombi Editori www.palombieditori.it 
Istitut Ladin Micurà de Rü www.micura.it 

"Il filo tradito. Vent'anni di teologia femminista" di Elisabeth Green

Domenica 14 aprile, dalle 9.45, presso la chiesa evangelica valdese di Cutrofiano (LE) presentazione del libro Il filo tradito.Vent'anni di teologia femminista. Sarà presente la pastora Elisabeth Green, che nel libro ripercorre le principali riflessioni della teologia femminista degli ultimi vent'anni, spaziando dalla esegesi biblica alla teologia sistematica e alla storia, il Gesù incontrato dalle donne, lo spirito della preghiera, le donne nella chiesa. Appaiono in controluce alcune altre istanze di diritti negati - a omosessuali e vittime della violenza , all'ambiente - nonché temi cari al pensiero delle donne, come l'eros, il corpo, la relazione, il racconto, il tempo.

Un racconto per la buonanotte


“Pan di Stellina”

di Alessandro Durante e Roberta Mottino


'La ricerca di se stessi puo portare a percorrere strade inaspettate, ma si puo trovare la necessita solo seguendo le indicazioni del proprio cuore'. Nasce cosi questa fiaba delicata scritta a quattro mani da Alessandro Durante e Roberta Mottino, raccontando una storia per addormentare Alice e Sofia. Oggi è un racconto dedicato a tutti i bambini che le stesse bambine hanno illustratore diventando animatrici della storia. Un regalo di Natale creativo che testimonia la forza e l'intimità del raccontare come un momento di condivisione e di gioco. La storia teoricamente continua perché una pagina bianca alla fine è lo spazio per altri bambini, piccoli lettori, di scrivere finalmente sui libri. L'obbligo di conservare bene i libri in segno di rispetto è una regola che ho sempre rifiutato e ritenuto inutile se non dannosa. Il libro va strapazzato e 'masticato' vissuto e quale miglior modo per farlo se non scriverci e disegnarci?


Il testo nasce come un lavoro collettivo - la copertina è di Pierfrancesco Restelli; il progetto grafico di Alessia Garbujo, Simone Restelli e Yuri Vazzola; e la stampa di Stefano Maiocchi e Gianluca Bonazzi - e racconta valori semplici e universali dell'amore che nasce per caso da un incontro, spesso per un incidente di percorso, e che resta la sola porta della felicita. E ancora che l'amore e la disponibilità verso gli altri feconda nuovo amore e soprattutto si autoalimenta. Ci sono due messaggi che andrebbero insegnati ai bambini, dei quali è portavoce la Stellina, oggi più importanti che mai per abbattere una società iper competitiva (che genera frustrazione o concorrenzialità spietata) nonché sempre più composita. Non si vale meno perché non si riesca a fare quello che gli altri fanno o quello che il gruppo di appartenenza richiede: la stella meno luminosa non serve ad illuminare ma puo far brillare altro e ognuno deve riconoscere la propria vocazione e spendersi al meglio per essa. Forse creare biscotti che seminano buon umore e illuminare il sorriso di una città è altrettanto importante che illuminare la terra e i pianeti. Altro elemento è la diversità che nell'amore si annulla nella comunanza degli intenti. Come potremmo mai immaginare un pasticcere che si innamora di una stellina? È questo il mistero della vita che ha più fantasia di noi.

lunedì 1 aprile 2013

Reportage dall'Africa


“Se tutta l’Africa”

di Ryszard Kapuscinski

 
L’Africa dalla parte di chi l’ha vissuta, ascolta, capita, sofferta intuendo quello che sarebbe diventata, senza nessun intento predittorio. E’ per questo che dopo quarant’anni il viaggio di Ryszard Kapuscinski resta attuale, in un modo spiazzante. Per me che non conosco, è vero, la storia dell’Africa di quegli anni è stato un percorso illuminante nel quale trovo specchiata l’Africa di oggi, quegli spicchi che ho intravisto. E leggendo e rileggendo alcuni passaggi ma ho sentito qualcosa di stanco, di démodé, di superato. E’ vero, dal 1966 la popolazione africana è triplicata e molti stati hanno mosso passi significativi, ma le linee tracciate dal grande reporter polacco sono sempre valide, a mio sommesso avviso. Il testo nasce dalla selezione di una serie di reportage pubblicati sulla rivista polacca “Polityka”tra il 1962 e il 1966 e raccontano il terremoto dell’Africa nella fase di decolonizzazione, lo smembramento e la fondazione della cosiddetta Africa moderna. La narrazione copre gli anni dal 1955 al 1966, con il culmine della cosiddetta rivoluzione africana nel 1960, partendo dal primo stato che raggiunge l’indipendenza, la Libia; alla tappa del 1956 con la proclamazione dell’indipendenza del Sudan, della Tunisia e del Marocco; fino al 1964 quando diventano indipendenti Malawa e Zambia. Sono approfondimenti con una forza didattica superiore ad altri testi, una lectio magistralis, che in Kapuscinski non ha mail sapore accademico quanto la giusta distanza di chi è ad un tempo in prima linea come reporter e viaggiatore nell’animo, sull’Africa. Condivido pienamente la sua definizione che parla di Africa come di un concetto di comodo, per connotarla dal punto di vista geografico anche se, come afferma nella stessa prefazione di “Ebano”, l’Africa di per sé non esiste. Troppo grande e troppo composita per essere considerata un tutt’uno e in effetti la lotta, la rivoluzione africana, contro il colonialismo per un’unità africana è sostanzialmente fallita. L’anatomia del continente sfata molti miti comuni, come quella di continente nero quando solo il 60% della sua popolazione è di colore. Con la naturalezza del narratore che della cultura africana ha assorbito la sensorialità e l’oralità, l’autore fissa alcuni concetti essenziali con una grande densità di questo enorme mondo ai più sconosciuto e guardato come una realtà indefinita quanto falsamente uniforme. Tra l’altro l’Africa era più nota prima della decolonizzazione: per la Francia e l’Inghilterra in particolare faceva parte della loro storia e i figli bianchi africani studiavano quasi tutti all’estero, assorbendo la cultura internazionale e il linguaggio della propaganda della madre patria. Poi i mezzi di comunicazione hanno fatto grandi progressi e paradossalmente l’Africa è gradualmente scomparsa dalla ‘nostra’ informazione. L’Africa è quel grande mondo agricolo, seppur incapace di trarre dall’agricoltura il vero profitto, avendo scelto il modello estensivo; ricco di materie prime delle quali rifornisce il mondo eppure debitore e dipendente dal commercio estero. Continente enorme e poco popolato con la popolazione sparsa in villaggi, disorganizzati e incapaci di diventare una forza politica. E’ il modello della tribù e della rivalità tra i popoli e le etnie, le migliaia di lingue all’origine dell’arretratezza africana che tuttora persiste. Emblematico a riguardo il caso della Nigeria dove le regioni sono rappresentate da 4 diverse popolazioni, le più importanti delle quali gli hausa – musulmani – gli ibo – cristiani – e gli yoruba – metà cristiani e metà musulmani – introduce alla storia tragica dei nostri giorni quando troppo facilmente si stigmatizza l’acrimonia tra musulmani e cristiani come guerra di religione. Troppo lungo e riduttivo sarebbe addentrarsi in modo sintetico nei tanti argomenti dell’analisi di quegli anni cruciali per l’Africa sui quali si è scritto molto e poi più nulla e ci restano concetti vaghi e deformati. Splendido il passaggio su parallelismo e differenze tra la rivoluzione asiatica che ha portato l’India all’indipendenza nel 1947 e di lì agli anni Sessanta del XX secolo tutti gli stati all’indipendenza e quella africana dove le differenze superano i banali e frettolosi accostamenti. Una cosa ci resta delle storie e della storia: l’Africa sarebbe dovuta o voluta tornare agli africani. Così non è stato. Non c’è controprova ma l’influenza mediatica, economica e politica dello scenario internazionale continua a pesare e sta soffocando anche gli ultimi venti rivoluzionari. Purtroppo continuiamo a leggerla con le categorie delle ex madrepatria dove gli operai sono quelli dell’industria e possibilmente della grande industria ad esempio. E l’Africa ci sorprende e ci spiazza.

“Se tutta l’Africa”

di Ryszard Kapuscinski

Narratori Feltrinelli

Euro 16,00