giovedì 28 marzo 2013

Editoriaraba - Edward Said e la forza della letteratura che “fa traballare gli idoli” orientalisti


Editoriaraba ci presenta "Orientalismo" di Edward Said (Feltrinelli, 2004)

A pagina 288 (all’ultimo capitolo dal titolo L’orientalismo oggi – 4. La fase più recente), la parola “letteratura” - ci racconta l'autore dell'articolo - l'ha catapultata in una riflessione del grande intellettuale palestinese sull’ostentata indifferenza/ignoranza dimostrata, nel periodo del secondo dopoguerra, dagli studiosi statunitensi nei confronti della letteratura prodotta nei paesi arabi. 
Nel capitolo da cui ho estrapolato il brano che segue, Said fa il punto della situazione in cui si trovava l’Orientalismo dal 1945 in poi, periodo in cui gli Stati Uniti presero il posto lasciato vacante, sulla scena internazionale, dalle ex potenze coloniali europee, Francia e Gran Bretagna, e cominciarono ad interessarsi di Medio Oriente. 
'Sebbene gli attori internazionali fossero cambiati, la cecità dimostrata dall’establishment accademico e di potere statunitese era stata pressoché la stessa dei francesi e britannici di qualche decennio prima. 
Uno dei tratti più notevoli del modo in cui la nuova scienza sociale americana si rivolge all’Oriente è la tendenza a evitare la letteratura. Si possono leggere pagine e pagine di scritti specialistici sul Vicino Oriente senza incontrare una sola citazione letteraria. Gli esperti sembrano essere interessati soprattutto ai “fatti”, rispetto ai quali un testo letterario sarebbe una fonte di disturbo. Il risultato di questa notevole omissione è che nell’attuale percezione americana l’Oriente arabo o islamico appare come una regione abitata da popoli, per così dire, mutilati, ridotti ad “atteggiamenti”, “tendenze”, dati statistici: in una parola, disumanizzati. Ogni poeta o romanziere arabo (e ve ne sono parecchi) descrivendo le proprie esperienze, i propri valori, la propria umanità (per strano che possa sembrare), infrange gli schemi (immagini, luoghi comuni, astrazioni) tramite i quali l’Oriente viene rappresentato. Un testo letterario parla più o meno direttamente di una realtà viva. La sua forza non consiste nell’essere arabo, francese o inglese; la sua forza non può consistere che nella potenza e vitalità della parola che, per richiamare la metafora di Flaubert nella "Tentation di Saint Antoine", fa traballare gli idoli che gli orientalisti sostengono, sinche' questi ultimi devono lasciare cadere i grandi bambini paralitici – le loro idee intorno all’Oriente – che tentano di contrabbandare per l’Oriente vero'. 
Del brano di Said emerge l’idea che la letteratura rispecchi la realtà, anzi di più: trovo che gli scrittori posseggano quella straordinaria capacità di raccontare il mondo reale in un modo molto più diretto e limpido della politica e dei media, anche perché possono e sanno umanizzare la Storia e i protagonisti delle vicende che narrano. 
Il che naturalmente rende la letteratura un tipo di narrazione estremamente potente, perché arriva direttamente e senza filtri al lettore, ai lettori, al mondo stesso (quando è in ascolto, il che non accade spesso). E questo discorso lo considero tanto più valido quando ci si riferisce alla letteratura araba, che spesso è stata, e tuttora è, una letteratura impegnata, attenta cioè verso il sociale, il politico e il filosofico. 
Di una potenza tale che se letta, analizzata e interiorizzata, avrebbe fatto crollare in un batter di ciglia il castello di analisi e riflessioni dei neo-orientalisti americani sul Medio Oriente.
Vale la pena notare che tra i primi del ’900 e gli anni ’60: Tawfik al-Hakim aveva già scritto il suo "Il procuratore di campagna"; Taha Hussein la sua autobiografia "I giorni"; Muhammad Husayn Haykal il primo romanzo storico egiziano, "Zeynab". E ancora, Nagib Mahfuz era intento alla sua "Trilogia" e la poetessa palestinese Fadwa Tuqan aveva già scritto i suoi primi versi. 
Solo per citare 'qualche' autore arabo che poteva essere sfuggito agli scienziati sociali americani.
Chissà se oggi li leggono,  o se invece continuano a sfuggirgli.

martedì 26 marzo 2013

Editoriaraba - La letteratura araba al Festival “Incroci di Civiltà 2013″ con Adonis e Habib Selmi


Dal 10 al 13 aprile sbarca a Venezia la letteratura internazionale, con la VI edizione del Festival Incroci di Civiltà, iniziativa letteraria dell’Università Cà Foscari, il cui programma è stato presentato in anteprima ieri a Venezia. 
Un Festival non solo letterario, ma un luogo in cui si incontrano diversi stili e linguaggi comunicativi, dalle immagini al cinema, passando per la musica. 
Pia Masiero, alla sua prima esperienza da direttore del Festival Incroci di Civiltà e delegata per le attività letterarie scrive: «Il festival sarà il luogo in cui non solo si incrociano diverse civiltà ma anche il luogo in cui i linguaggi stessi si ibridano a partire dal contributo di Francesco Jodice. L’artista raccoglierà foto, video e videoclip della manifestazione». 
Trattandosi di Venezia e di Cà Foscari, è facile immaginare come la letteratura araba sia una delle letterature privilegiate dal Festival. Nelle passate edizioni sono stati infatti ospiti di Venezia grandi nomi come Elias Khoury, Hoda Barakat, Jabbour Douaihy, Alawiya Sobh e Hisham Matar.
Gli autori arabi presenti quest’anno saranno il grande poeta siriano Adonis e lo scrittore tunisino Habib Selmi. 
Ecco le date e i dettagli dei due incontri: 
Adonis, autore – tra gli altri – di Beirut. La non-città, Interverrà il 10 aprile alle 18.00 all’inaugurazione del Festival presso l’Auditorium Santa Margherità di Cà Foscari, insieme all’artista Marco Nereo Rotelli, con cui animerà lo spettacolo dal titolo “Identità e metamorfosi”. 
Partecipa anche Fawzi al-Delmi; musiche di Francesco D’Errico, introduzione di Roberto Galaverni, Corriere della Sera.
Habib Selmi incontrerà invece il pubblico veneziano il 13 aprile alle 11.30 presso l’Ateneo Veneto, insieme alla professoressa Elisabetta Bartuli del Master MIM, traduttrice di autori come Elias Khoury e Rabee Jaber (solo per citarne un paio), nonché animatrice instancabile della vita culturale “arabista” dell’Ateneo veneziano. 
Habib Selmi è un nome pressoché sconosciuto al pubblico italiano, ma non a quello arabo e internazionale visto che i suoi due ultimi romanzi, "Gli odori di Marie Claire" e "Le donne di al-Basatin", hanno raggiunto la finale dell’Arabic Booker rispettivamente nel 2009 e nel 2011. 
Anche i lettori italiani potranno leggerlo nella traduzione "Gli odori di Marie Claire" sarà infatti presto pubblicato dalla casa editrice siciliana Mesogea, ed il pubblico del Festival potrà avere un’anteprima proprio il 13 aprile.
Entrambi gli incontri sono gratuiti ma è necessaria la prenotazione, che è possibile effettuare direttamente sul sito Internet del Festival.

lunedì 25 marzo 2013

"Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Vigevano - Spazio Contarte, 22 marzo 2013



Insieme a Ilaria Guidantoni, la presidente dell'associazione Oltremare, Jole Savioli Barettoni

Bell'e buon' “Babygang ed emergenza microcriminalità a Napoli


Giovedì 28 Marzo, alle 11 presso la sede del Maschio Angioino
Conferenza stampa di presentazione del primo e-book sul progetto per l'infanzia napoletana 

Bell'e buon'“Babygang ed emergenza microcriminalità a Napoli. E' un problema solo di ordine pubblico o invece una più complessa emergenza sociale?” 

È possibile sfogliare o scaricare l'e-book edito da Cento Autori anche dal sito della Fondazione : http://www.fondazionevalenzi.it/public/doc_contenuto/libri/scoprire-il-buono-attraverso-il-bello.pdf e http://www.fondazionevalenzi.it/public/libreria/bell-e-buon/scoprire-il-buono-attraverso-il-bello.html Il progetto vuole coniugare arte e impegno sociale, attraverso laboratori di espressività del colore, del suono e della rappresentazione teatrale, per realizzare una prevenzione primaria per minori a rischio, sviluppando il loro senso critico, l'autostima e la capacità di lavorare in gruppo.

Giunto ormai alla terza annualità, il progetto aveva ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “il vivo apprezzamento per la meritoria attività volta all'integrazione, al recupero sociale e all'affermazione del valore della legalità”. Secondo il
Ministro Riccardi esso “costituisce un approccio innovativo ed efficace di fronte al problema dell'emarginazione infantile che purtroppo a Napoli si manifesta non solo in termini quantitativi di inaccettabile ampiezza, bensì pure in forme drammaticamente intricate, che mescolano tra loro aspetti economici, sociali, culturali, di devianza criminale”. Il progetto è stato realizzato grazie alle quote annuali dei soci dell’Ente e al sostegno della Fondazione Banco Napoli per l’assistenza all’infanzia, del Pio Monte della Misericordia e con il patrocinio morale dell’UNICEF. All’iniziativa, a cui sono state invitate le autorità e i principali attori del sociale e dell'economia, prenderanno parte la Presidente della Fondazione Lucia Valenzi, il Segretario Generale della Fondazione Roberto Race, la responsabile del progetto Lucia Precchia, la Presidente del Comitato UNICEF Campania  Margherita Dini Ciacci e l’editore della pubblicazione Pietro Valente.“L'emergenza sociale e di sicurezza che viviamo in queste ore - dichiarano Lucia Valenzi e Roberto  Race - è il risultato della scarsità di attenzione e di interventi nei confronti dell’infanzia napoletana. Un bambino che oggi a Napoli nasce in una famiglia in difficoltà è abbandonato a se stesso. Ancora oggi si pensa di poter affrontare l’aggressività della microdelinquenza giovanile con risposte come il carcere di Nisida e non con una capillare opera di educazione, di inclusione e di sostegno alle famiglie.
Come accennato nell’introduzione dell’e-book, il testo nella sua sinteticità è una lettura dura, anche scioccante, che apre uno spiraglio sulle situazioni intollerabili in cui vivono tanti bambini. Non vivono sempre in una situazione di povertà nel senso classico del termine. Non vivono in luoghi lontani, anzi sono vicinissimi alle nostre case. A questi bambini, più che il cibo o il vestiario, non sono garantiti la serenità, gli affetti, i giochi, i normali ruoli familiari. Leggendo le storie che trapelano dietro ai visi dei bambini di Licola, come di quelli dei Quartieri Spagnoli o anche in parte di S. Giovanni a Teduccio, scoprirete un mondo non solo di malavita, di scippi, di prostituzione, ma anche e soprattutto di indifferenza, di disattenzione, di negazione del rispetto per l’infanzia”.
L'idea e' quella di un progetto originale, basato su una formazione integrale del bambino e teso ad una formazione dell’individuo da inserire nella società che parta dal basso ossia dalla giovane età, per avere domani una persona sana e abituata al valore del bello e del buono, ma anche una famiglia orientata nella stessa direzione. E’ indubbiamente un modo intelligente per avere cittadini rispettosi e rispettabili e per costruire così una società finalmente migliore.
La Campania è la seconda tra le regioni italiane con più elevata quota di persone di minore età povere. Povertà, abbandono scolastico, discriminazione ed emarginazione sociale sono strettamente collegate fra loro. Fatto salvo il richiamo alla responsabilità del Governo e delle istituzioni, il cerchio può essere spezzato anche da iniziative come questa promossa dalla Fondazione Valenzi. 

venerdì 22 marzo 2013

Venerdì 22 marzo, ore 17.30 "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Vigevano - Spazio Contarte, via Boldrini 1


21 marzo 2013 "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Milano, Libreria Hellisbook


Insieme a Ilaria Guidantoni, Mariarosaria Marchesano,
giornalista di economia di Myself e Il Mondo


Editoriaraba - Arriva “Bozza”, di Rosa Yassin Hassan, un romanzo dedicato ai giovani siriani


"Bozza" (بروفة), di Rosa Yassin Hassan, pubblicato in Libano nel 2011, tradotto da Fatima Sai per la casa editrice Il Sirente, nella bella e ricca collana altriarabi, uscirà in Italia nella seconda metà di aprile.
Rosa Yassin Hassan è una delle giovani rappresentanti della narrativa araba contemporanea, che nella sua (finora) breve carriera da scrittrice si è già dovuta imbattere nella censura del regime siriano, ecco anche il perché molti dei suoi libri sono stati pubblicati da editori non siriani. Un escamotage utilizzato, tra l’altro, numerosissime volte dagli stessi editori siriani, soffocati da una censura sempre all’erta, “costretti” a stampare a Beirut presso le loro filiali in città o appoggiandosi a tipografie locali.

Rosa Yassin Hassan nasce a Damasco nel 1974, si laurea in architettura nel 1998, e diventa subito dopo giornalista culturale per alcuni giornali siriani e panarabi. Comincia la sua carriera da scrittrice già nel 1992. Per due volte consecutive è vincitrice, grazie ai suoi racconti brevi, di un concorso letterario indetto dall’Università. Nel 2000 pubblica la sua prima raccolta di racconti: "Un cielo imbrattato di luce" (سماء ملوثة بالضوء); nel 2004 il suo romanzo "Ebano" (أبنوس ) vince il premio Hanna Mina per il romanzo e nel 2009 viene tradotto in tedesco. Nel 2008 esce al Cairo il suo secondo romanzo, "Negativo" (نيجاتيف),  che racconta le storie delle prigioniere politiche in Siria, mentre l’anno seguente pubblica a Beirut "I guardiani dell’aria" (حراس الهواء), semi-finalista al premio per la narrativa araba (recensito da Sirialibano).
Sempre nel 2009, la scrittrice entra a far parte del già citato progetto letterario Beirut 39, insieme ad altri 38 autori arabi sotto i 40 anni (tra cui Abdellah Taia, Joumana Haddad, Mansoura Ez Eldin, Mohammad Hassan Alwan, Rabee Jaber, Youssef Rakha). 

"Bozza", ambientato nella Siria di Bashar al-Assad racconta dei protagonista, di cui non si svela mai il nome né l’aspetto, un giovane militare addetto alla sicurezza. Il suo lavoro consiste nell’ascoltare e trascrivere le intercettazioni telefoniche dell’onnipresente e pervasivo sistema di servizi segreti, che il protagonista cerca di riadattare per le sue segrete ambizioni letterarie: la “bozza” che dà il titolo al libro, una sorta di pièce teatrale che riadatta di giorno in giorno, come se fosse una continua prova.
Narratore onnisciente, l’agente segreto di Rosa Yassin Hassa, non si limita a stare a guardare: è un narratore che si sporca le mani. Con il sangue dei suoi personaggi.
Rosa Yassin Hassan dedica il suo romanzo a tutti i giovani siriani: “Questo romanzo è nato dalle vostre sconfitte e dalle vostre delusioni”. 
Del libro aveva parlato Elena Chiti su Sirialibano lo scorso anno, nell’articolo “Siria, il narratore onnisciente di Rosa Yassin Hassan”.
Rosa Yassin Hassan non è però solo giornalista e scrittrice, ma è anche un’attivista e negli ultimi anni è spesso intervenuta sulla stampa criticando anche gli intellettuali del suo Paese.
La rivoluzione siriana è diventata un’orfana – Qantara.de (2013) 
Pubblico all’estero per aggirare la censura – New York Times (2010)
Produzione culturale e rivoluzione siriana – Jadaliyya (2011)
Rivoluzione siriana, dove sono gli intellettuali? – Sirialibano (2012) 

martedì 19 marzo 2013

"Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Milano, giovedì 21 marzo ore 18.30 Libreria Hellisbook


La Marsa - Tunis Librarie Mille Feuilles «Islamisme, Laïcité et droits humains»


Rencontre avec l’historien Mohamed Cherif Ferjani, pour sa toute dernière parution aux Editions Amal, «Islamisme, Laïcité et droits humains», Vendredi 22 Mars, à partir de 17h30.
La présentation sera assurée par Fethi Bel Haj Yahia.

Né en 1951 en Tunisie, Mohamed-Chérif Ferjani est professeur à l'Université Lyon-II et historien spécialiste de l'islam et du monde arabe. Ancien prisonnier politique en Tunisie (de 1975 à 1980), il est membre fondateur de la section tunisienne d'Amnesty International.
Auteur de travaux concernant l'islam et le monde arabe, il a publié: "Le politique et le religieux dans le champ islamique", Fayard, Paris, 2005, 353 pp. (traduction en arabe parue en 2008 aux Editions PROLOGUES à Casablanca, Maroc, 256 pp., cette traduction a obtenu le prix du Grand Atlas au Maroc en 2009; une traduction en espagnol parue Chez Edicions Bellaterra, Barcelone, 2009, et une traduction en anglais est en cours de réalisation); "Les voies de l’islam approche laïque des faits islamiques", le Cerf- C.R.D.P. du Doubs, Besançon, 1996; "Islamisme, laïcité et droits de l’Homme", l’Harmattan, Paris1991 (une réédition actualisée est chez Amal Edition) 

Editoriaraba - Le micro-rivoluzioni della Fiera del Libro di Riyadh


Mentre ci si interroga sul se, ed eventualmente sul quando in Arabia Saudita ci sarà mai una “primavera saudita”, sulla scia delle rivolte del Maghreb, la Fiera internazionale del libro di Riyadh appena conclusasi è stata protagonista di due micro-rivoluzioni culturali. 
In un Paese dove la censura sui libri è rigidissima, l’invasiva Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio (Hai’a) aveva infatti annunciato, ben prima dell’apertura della Fiera, che non avrebbe censurato i libri, promettendo però che, se fossero stati notati negli stand della Fiera libri contrari alla Sharia o alle norme sociali saudite, avrebbe provveduto ad informare il Ministero della cultura e dell’informazione, che se ne sarebbe occupato. Senza intervenire direttamente, il che è già un bel passo in avanti.
La seconda micro-rivoluzione riguarda le donne, ovviamente. Dico ovviamente perché la questione femminile è sempre un po’ il barometro con cui misurare il livello di apertura di una società (comprese quelle che si professano liberali e post-moderne. La Hai’a ha annunciato che alle donne e agli uomini sarebbe stato permesso di “mischiarsi” e camminare insieme tra i corridoi e gli stand della Fiera. 
Una notizia che ha riscontrato le resistenza di un gruppo di uomini che, durante la Fiera, ha protestato argomentando che questa novità rappresenterebbe “la porta d’ingresso per l’occidentalizzazione della Umma”. Secondo "Riyadh Bureau" (un blog molto interessante tenuto da un giovane blogger saudita che si chiama Ahmed Al Omran, che riporta notizie e fatti sull’Arabia Saudita in inglese), questo incidente sarebbe da classificare come “minore” rispetto a quanto verificatosi negli anni precedenti. 
Secondo "haram online", questo allentamento è in linea con una più generale tendenza delle autorità saudite di allegerire le restrizioni imposte alle donne del regno, come dimostra la nomina del gennaio scorso di nominare 30 donne nella Shura, organismo da sempre esclusivo degli uomini, anche se gli spazi fisici occupati dalle donne saranno rigidamente separati da quelli in cui si trovano gli uomini. 
Secondo "Arabnews", è stato proprio questo approccio “soft” che ha permesso alla Fiera di quest’anno di ottenere un buon successo di pubblico e di vendite. Frequentata da famiglie, che hanno mostrato un particolare interesse verso l’editoria per ragazzi, la manifestazione culturale si è svolta tranquillamente e ha confermato l’importanza di un appuntamento culturale di queste dimensioni in un Paese in cui gli eventi culturali non sono proprio all’ordine del giorno. 
"Al-Sharq" ha infatti riportato che 2,4 milioni di sauditi hanno visitato la Fiera (contro una stima che ne prevedeva circa 2 milioni), di età compresa tra i 7 e i 70 anni, e che le vendite hanno superato i 71 milioni di riyal sauditi. I clienti più accaniti? I giovani e le donne, o anche le donne giovani. La fascia d’età che ha comprato più libri è stata quella tra i 25 e i 45 anni e le donne sarebbero state le maggiori acquirenti. 
L’autrice dell’articolo di "Arab News" così commenta questo piccolo successo: 'Noi sauditi non abbiamo una cultura del libro molto forte, ma Internet negli ultimi tempi ha cambiato i nostri gusti in fatto di letteratura. Comprare i libri nelle librerie oggi non basta più a soddisfare la voglia di leggere. Il fatto che circa 2 milioni di sauditi abbiano visitato la Fiera quest’anno è un segnale del fatto che stiamo diventando più colti in fatto di libri e che abbiamo sete di leggere cose sempre diverse'.
Piccolissimi progressi e aperture si cominciano ad intravedere nell’impenetrabilità del Regno saudita. 
Tuttavia la strada per l’affermazione completa dei diritti delle donne è ancora lunga, lunghissima e l’eliminazione del divieto per le donne di frequentare la Fiera insieme agli uomini è solo, ancora, un microscopico tassello. 
Secondo l’editore Nawaf al Qudaimi, il libro di Khaled al-Dekhayel sul Wahhabismo ha venduto in Fiera più di 4mila copie.

lunedì 18 marzo 2013

"Tunisi, taxi di sola andata" a Lecce, 15 marzo 2013 - Biblioteca dell'ex convitto Palmieri



Insieme ad Ilaria Guidantoni, Luigi De Luca, direttore Istituto culture mediterranee Provincia di Lecce

"Primavera araba, dopo 2 anni quali prospettive?" - Roma, giovedì 11 aprile ore 15.30


Editoriaraba - La Palestina a teatro a Roma


Al Teatro di documenti di Testaccio è in cartellone nei prossimi giorni uno spettacolo sulla Palestina, che si dice essere (liberamente?) tratto da "Sharon è mia suocera", il libro-testimonianza della scrittrice e architetto palestinese Suad Amiry.
Dal sito web del Teatro si legge che lo spettacolo è 'Uno sguardo ironico, domestico, inedito sulla guerra: come si convive in mezzo al disastro, cercando di normalizzare il quotidiano. Lo spettacolo si svolge in uno spazio–labirinto, metafora degli eventi contorti e da cui non si puo' evadere.

venerdì 15 marzo 2013

Editoriaraba - “Orientarsi” con Amin Maalouf


Maria Paola Palladino era a Torino, tra il pubblico del FeFiFra, su cui Editoriaraba ha scritto molto nelle ultime settimane. Queste sono le sue riflessioni. 

Non ricordo con esattezza quando incominciai a leggere per la prima volta alcuni passi in lingua araba di Leone l’Africano di Amin Maalouf… Credo che sia stato nel 2004, o 2005, quando frequentavo un corso universitario volto proprio all’approfondimento delle tecniche di traduzione dall’arabo all’italiano. Sì, dev’esser stato in questa sede accademica, e quindi in una veste molto ufficiale, che conobbi quest’autore, per ritrovarlo poi – di nuovo in lingua araba, ma anche in francese e in italiano, in quanto ormai le sue opere sono tradotte in numerose lingue – nel 2006 in L’identità, Le crociate viste dagli Arabi, Samarcanda… Tuffarmi, nel vero senso della parola, nella sua scrittura così limpida, lineare e trasparente, mi aveva all’epoca rassicurata in un periodo un po’ buio della mia vita, così come oggi, a distanza di molti anni, le sue parole e il suo ultimo romanzo, nonostante il titolo poco promettente in tal senso, I disorientati, suscitano in me un senso di serenità, pace ed equilibrio.
Come ripetuto a più riprese dallo stesso Maalouf, giovedì sera scorso (il 28 febbraio, NdR), durante il suo intervento presso il Circolo dei Lettori di Torino, nell’ambito del FFF – Festival de la Fiction Française, tutti siamo, infatti, un po’ “disorientati”, nel senso di aver perso l’orientamento, la retta via – sempre che ne esista una in assoluto –, ma anche e soprattutto in quanto “senza Oriente” (nel caso specifico della storia narrata nel romanzo, senza Levante, Libano). In altre parole senza un’idea, un’immagine, un atteggiamento e un modo di rivolgersi e rapportarsi precisi, sicuri ed efficaci nei confronti di questa zona geografica del mondo, nonché delle popolazioni che la abitano e degli avvenimenti per lo più nefasti che qui si susseguono ormai da anni.
L’importante è prender coscienza di tale disorientamento e cercarne una “via d’uscita” che, nel caso specifico e personale di Maalouf, si può rintracciare nella scrittura, in particolare nella scrittura di un romanzo così introspettivo come quello presentato a Torino. 
Nel libro, tuttavia, ad esser “disorientato” non è solo l’autore o il protagonista, anche voce narrante, Adam, ma perfino un intero gruppo di vecchi amici: alla domanda rivoltagli a Torino da Cesare Martinetti, sul carattere autobiografico di quest’opera, lo scrittore ci ha tenuto a sottolineare come tale personaggio sia effettivamente una sorta di ritratto di se stesso e di quanto vissuto durante la propria giovinezza trascorsa in Libano, ma anche che, al tempo stesso, ad esser in qualche modo autobiografico sia più che altro il contesto a cui si rimanda nel romanzo; i personaggi, incluso Adam, per quanto molto simile a Maalouf (anche lui è docente universitario di storia e vive a Parigi…) sono invece frutto della pura immaginazione e creatività dell’autore. 
Il fatto stesso che il suo paese natale, in cui ha deciso di ambientare gran parte di quanto narrato, ossia il Libano, non venga mai espressamente citato in quanto tale ma, al contrario, con lo pseudonimo di “Levante”, è un modo per Maalouf di creare un collegamento tra questo paese e la realtà che vi si ritrova, quindi tra l’aspetto autobiografico della narrazione, e qualsiasi altro paese del globo dove episodi analoghi a quelli narrati si sono potuti verificare nel passato o si potranno avere anche in futuro. L’attenzione è principalmente focalizzata sulla storia – o meglio le storie – che unisce il gruppo di amici e sulle dinamiche relazionali presenti tra i vari membri del cosiddetto “circolo bizantino”, come solevano definirsi in gioventù.
Mentre Maalouf ci parlava del suo ultimo romanzo, l’aria era fortemente impregnata di nostalgia: un velo di tristezza mista a un sentimento di gioia nel suo narrare/ricordare sembrava aleggiare sul pubblico profondamente attratto ed attento alle parole dell’autore tanto da applaudirlo spontaneamente e a più riprese. Non si trattava unicamente, tuttavia, di una nostalgia verso il passato, quanto – come ripete spesso la voce narrante, Adam – verso ciò che non c’è mai stato, verso il futuro tanto auspicato da quella gioventù sessantottina di cui Adam, ma anche lo stesso Amin Maalouf, fanno parte. Nostalgia verso quei sogni di libertà, tolleranza, convivenza pacifica… mai realizzatisi né in Libano, né in altre regioni del mondo dove purtroppo, come in Oriente, questi valori e le opinioni che essi suscitano sono alla base dei più sanguinosi conflitti. Forse, più che nostalgia, è la disillusione intima e collettiva la sensazione che domina nel romanzo, una disillusione nata in seno e a causa del conflitto.
Ed è proprio sulla guerra che Amin Maalouf, durante la serata, ritorna spesso: la guerra che sporca tutti coloro che hanno la sfortuna di viverla sulla propria pelle; la guerra che spesso non lascia spazio al libero arbitrio, che decide lei stessa per le persone, facendone assassini, carnefici, ladri e, nel contempo, vittime, oppressi… Chiunque, nonostante le sue innumerevoli potenzialità, in stato di guerra, può facilmente “sporcarsi le mani”, come è facile, per chi fugge dalla guerra, emigrando all’estero il più delle volte, mantenerle pulite! 
Allora dove sta il tradimento e la fedeltà nei confronti della propria patria e del proprio popolo? Chi è nel giusto, chi invece sbaglia? Chi emigra, abbandona il proprio paese in una situazione del genere, o chi resta per salvarlo o per lo meno per provarci, con il rischio di rimetterci la propria vita e quella dei propri cari? Chi guarda da lontano o chi lo fa da vicino? Nel romanzo ritorna spesso questo quesito, tra i vari personaggi, tra gli amici partiti e quelli rimasti in Libano, tutti convinti delle proprie ragioni per aver fatto una scelta o la sua opposta; e sembra che si tratti di un dilemma anche personale per Maalouf stesso che, forse, ha sentito il bisogno, a poco più di sessant’anni, di affrontare. Per l’autore libanese, tuttavia, non ci sono né traditori né fedeli: come in ogni scelta, piccola o grande che sia, decisiva o meno per la vita di una persona e di chi la circonda, la colpa, la responsabilità del proprio agire e di quello altrui sono da dividere a metà. In altre parole, a seconda dei punti di vista, si è un po’ tutti, nel momento stesso in cui si sceglie, traditori e fedeli ai propri ideali.
Il romanzo di Maalouf si inserisce alla perfezione in un’epoca come la nostra, di questa ormai famosa e fantomatica “crisi” diventata internazionale, in un’epoca in cui, riferendosi all’Oriente, si continua a parlare di “primavere arabe” (sebbene questo termine sia alquanto riduttivo o per lo meno fin troppo positivo, visto che in questa parte del mondo si susseguono piuttosto inverni, autunni… e manca perciò ancora molto prima che si raggiunga la primavera!). Come capita al protagonista Adam che rimane “sospeso” alla fine del romanzo, così oggi i rapporti tra l’Occidente e l’Oriente sono ancora “sospesi”, in attesa di “orientarsi” nel giusto verso. E certamente le riflessioni a cui è indotto il lettore di questo romanzo, sono un notevole passo in avanti in questa direzione. 

giovedì 14 marzo 2013

Giovedì 14 marzo "Le voci di Piazza Tahrir" di Vincenzo Mattei presentato al Centro egiziano di cultura a Roma

Il libro di Vincenzo Mattei, "Le voci di Piazza Tahrir" (Poiesis Editrice) sarà presentato giovedì 14 marzo alle 18:30 al Centro di cultura egiziano in via delle Terme di Traiano 13 (Roma).  Alla luce degli ultimi eventi che hanno visto nuovamente piazza Tahrir al centro di proteste e di manifestazioni, il libro di Vincenzo Mattei appare uno strumento necessario per comprendere i contorni e i risvolti di una "rivoluzione" ancora in corso. 

mercoledì 13 marzo 2013

Vado Verso il Capo


Vado Verso il Capo
13.000 km attraverso l’Africa

di Sergio Ramazzotti

Amo molto la letteratura di viaggio che più di ogni altra si legge per il contenuto oltre che per lo stile, a volte indipendentemente, senza nemmeno preoccuparsi di chi ha scritto il libro. Almeno così è per me. La dimensione del viaggio è così forte da dimenticarne talora l’autore. Ci sono casi diversi però e singolari. Questo libro come molti qui recensiti è un regalo e quindi un appuntamento e una responsabilità in più, quella di un incontro casuale e pertanto sorprendente. In questo caso vale doppio l’incontro perché l’autore del libro, quasi collega, anche se io per dirla con San Bernardo rispetto ai classici – sono un nano sulle spalle di un gigante – è oltre tutto amico di chi mi ha fatto dono del suo scritto. Il viaggio per me inizia così ed è soprattutto fatto di incontri dove le voci e le emozioni, l’ascolto profondo dell’altro sono protagonisti rispetto ai monumenti e ai paesaggi. Sergio Ramazzotti non solo racconta, anzi soprattutto vive, e il racconto è una trascrizione ma non certo la parte più importante di quello ha vissuto, seppure è l’unica che ci arriva. E’ la scommessa di questo viaggio, la sfida ad accettare una proposta quasi folle di un capo redattore, percorrere l’Africa solo con mezzi pubblici – senza aereo – da solo, uomo bianco, senza scorte e senza rete di protezione quello che colpisce di più: da Algeri a città del Capo, al di là di luoghi o importanti o famosi, semplicemente tra la gente e qualche volta la gentaglia con un solo scopo: arrivare dall’altra parte a toccare l’Oceano, come in un pellegrinaggio. Eppure quando si intravedono le onde e se ne avverte il rumore, il sentore acre e salato, si capisce che la meta la si è raggiunta molto prima, frammentata in ogni passo, soprattutto quelli più difficili. In una scrittura casuale, disordinata e terribilmente viva, senza ammiccamenti e con punte poetiche nate quasi per caso come in On the road di Kerouack si mescolano informazioni giornalistiche anche didattiche, illuminanti su angoli del mondo sconosciuti perché dimenticati e che se la storia fosse andata diversamente sarebbero potuti essere protagonisti. Insieme ci sono i racconti di tutti i giorni e quella battaglia titanica per la quotidianità che in Africa è una vera avventura. C’è la prospettiva che cambia e che non riesce più probabilmente a tornare come prima di chi, per quanto occhio attento e critico, ha vissuto più tra la carta che nel fango e dietro una scrivania rispetto a improbabili mezzi di locomozione. Nel procedere fitto di pagine dense e chilometri che vanno avanti sempre troppo lentamente mi chiedevo se io ce l’avrei mai fatta o se ce la facessi. La domanda non ha trovato risposta. Non ci resta che provarci. Magari con un auto-test da 1.300 chilometri per la prima volta… posson bastare. Alla fine del libro mi è rimasta soprattutto la sensazione della fatica, del caldo appiccicoso e dello sporco condito con animali di ogni specie che si attaccano alla pelle e a quella vita che di umano ha ben poco; mi sono rimasti anche gli incontri con alcune persone che nella loro estrema povertà avevano saputo guardare oltre e immaginare senza confini e colori netti qualcosa al di là di quel solito orizzonte arido. E ancora, c’è il senso del riconoscersi tra esseri umani con affinità, al di là delle lingue, in nome di un linguaggio altro: vibrazione dell’ascolto, curiosità non morbosa, voglia di incontrarsi. E infine c’è la luce, tanta, troppa, contrapposta a un buio denso e improvviso che solo l’Africa nasconde. Un’affermazione mi ha colpita: “Prima di questo viaggio l’Africa era la mia amante. Dopo è diventata mia moglie”. Il senso apparente è chiaro ma forse ce n’è un altro da indovinare. Glielo chiederò se capiterà. Posso intuire quella sensazione dell’aereo che rulla sulla pista per riportarti a casa, a quello che dovrebbe essere il tuo paese, e vorresti scendere e ti consoli pensando già al ritorno. Comunque nulla ci riporterà mai al punto di partenza. Questo mi consola. Lo penso ogni volta che da Tunisi prendo l’aereo verso l’Italia.


Vado Verso il Capo
13.000 km attraverso l’Africa
di Sergio Ramazzotti
Universale Economica Feltrinelli
9,00 euro

Editoriaraba - Il momento della Siria

Da “I guardiani delle immagini”,
Roma, sabato 9 marzo

Sul numero di marzo di "WORDS without BORDERS" dedicato alla narrativa spagnola inedita in inglese, trovano spazio anche le voci di alcuni scrittori siriani contemporanei. 
A parlare sopra tutti è il poeta siriano Golan Haji (Amouda, 1977) che, nel testo che trovate di seguito tradotto dall’inglese (dall'autrice dell'articolo), riflette sull’incapacità dei poeti di scrivere su quanto sta accadendo nel suo paese. 
I versi di "L’autunno", qui, è magico e vasto, che trovate su WWB nella versione originale e tradotta in inglese, scandiscono invece i tempi di un inverno terribile, fatto di polvere, lacrime, pioggia e desideri irrealizzati, in un mondo in cui “nulla arresterà lo scorrere di tutto questo sangue, se non il sole e il vento”. 

Abdelkader al-Hosni, altro poeta siriano, in "Sulla porta della casa del mio amico", trova nel silenzio il conforto necessario per trovare il coraggio di suonare al campanello della casa del suo amico, nel timore di non trovare più le cose come stavano prima, dopo dieci anni di lontananza tra i due. Testo a fronte arabo/inglese.

Lukman Derky (Derbassiya, 1966), in "Oscurità", una lunga poesia scritta nel 2000, compone un’elegia straziante per tutti i morti in guerra. Testo solo in traduzione in inglese.

Concludono la rassegna 6 Racconti dello scrittore Zakariya Tamer (Damasco, 1931), in testo a fronte arabo/inglese.

 ***
Golan Haji: "Appunti sulla poesia siriana"
In un momento di simultanea disintegrazione e creazione, la sopravvivenza si annuncia lì, dove si annida il pericolo. Cosa vuol dire essere siriani oggi, quando una fine che non ha fine e un inizio sconosciuto sono intrecciati col sangue? Cosa vuol dire vivere e morire da straniero nel tuo paese, o come uno straniero, ma di tipo diverso, in esilio? Come può un poeta rendere giustizia alle emozioni complesse e alle idee che queste circostanze hanno causato in Siria e all’estero fin dal marzo 2011? Dove si può trovare un qualsiasi plausibile approccio?
La Siria è stata celata ai siriani. Oggigiorno, i siriani si sentono parte del loro paese, ognuno a modo proprio. Questa esperienza continua di dolore e speranza, questa rivoluzione in cui la maggior parte dei siriani si trova da due anni, ha portato alla luce molti contrasti repressi e ha cambiato il modo con cui rimettiamo insieme i pezzi del nostro passato. Le conseguenze di tale catastrofe inflitta ai siriani gettano un’altra luce sulla lunga storia del regime fatta di omissioni e crimini. Una molteplicità di idee e immagini giace alla rinfusa nelle nostre menti e per terra, e stordimento e terrore coglieranno chiunque avrà il coraggio di guardarvi.
Le poesie qui presentate cercano di porsi degli interrogativi, di accumulare domande. I poeti, per quanto geograficamente lontani, si preoccupano tutti allo stesso modo di riaffermare la vita. A volte, sono angosciati dalla stessa vecchia questione della complessa relazione tra l’etica e l’estetica, che ha sempre tormentato gli scrittori. In questo momento le poesie, con nostra sorpresa, tendono sempre più ad evitare di proporre una visione apocalittica del mondo e parlano di tutto, o quasi. Dalle poesie in prosa sperimentali, ai lirismi tradizionali, differenti tipologie di poesia in arabo, curdo o un’altra lingua di questo paese multiculturale, sono da contrappunto l’una con l’altra. Ancora una volta è una questione di vedere ciò che è sempre stato davanti ai nostri occhi, offuscato da paure e amore. Probabilmente, in questo momento, qualcuno da qualche parte in Siria sta componendo un poema, un’altra minuscola parte di quanto ancora non conosciamo.

***
Tratto proprio da un verso di Golan Haji era il titolo dello spettacolo teatrale dedicato alla Siria, "I guardiani delle immagini", sabato al Teatro Valle di Roma: un work in progress su immagini, testi, musica, social media, e altre suggestioni dalla rivoluzione siriana, frutto di un laboratorio durato un mese che ha visto coinvolti ragazzi italiani e arabi, traduttori, esperti e attori che hanno cercato, attraverso suoni, immagini e parole, di comunicare il dolore e l’agonia, ma anche la voglia assoluta e totale di continuare a vivere del popolo siriano.

Su editoriaraba il video; mentre per le foto si può accedere alla pagina Facebook del Valle Occupato che-meno-male-che-esiste-in-questa-Italia-dove-la-cultura-è-scomparsa. 

lunedì 11 marzo 2013

Presentazione di "Chiacchiere, datteri e thé" nell'atelier di Sadika Kèskès a Tunisi, 8 marzo 2013

Con Sadika davanti al simbolo dell'Unione dei Giovani tunisini democratici


Opera in vetro di Sadika

"Chiacchiere, datteri e thé" al Centro Dante Alighieri di Tunisi, 7 marzo 2013

Ilaria Guidantoni e l'ambasciatore italiano a Tunisi, Piero Benassi
Insieme all'autrice, il regista Massimo Belli e Silvia Finzi,
direttrice dell'Istituto Dante Alighieri di Tunisi

Con il regista Massimo Belli

Editoriaraba - Fouad Laroui, lo scrittore marocchino che si credeva Shakespeare


La settimana scorsa al Festival de la Fiction Française che si è ormai concluso, è stata tutta per Fouad Laroui, venuto in Italia a presentare il suo libro "L’esteta radicale" (Del Vecchio Editore, 2013; traduzione dal francese di Cristina Vezzaro; pp. 145, 13 euro).

Alla presentazione di Roma Laroui è stato introdotto da Samia Oursana, giornalista marocchina rappresentante delle 2g e da Paolo di Paolo, giovane scrittore italiano nonché lettore del libro. E il pubblico, numeroso e attento, presente nella sala del Centre culturel Saint-Louis di Roma, ha potuto conoscere un uomo estremamente brillante, colto, dal francese fluente, simpatico e pronto alla battuta. 

Nato a Oujda in Marocco, Laroui frequenta l’università a Parigi dove studia ingegneria. Docente di econometria e scienze ambientali, vive ad Amsterdam e oggi insegna letteratura francese all’università: “perché in Olanda le università godono di molta autonomia”. E anche e soprattutto perché, da sempre, il suo sogno era quello di diventare scrittore. In realtà Laroui avrebbe voluto studiare storia, letteratura e filosofia, ma poiché era piuttosto bravo nelle materie scientifiche, il suo professore della scuola superiore lo aveva indirizzato verso gli studi tecnici. 

Ma quando la passione lo ha chiamato, Laroui ha cominciato a scrivere. Oggi è autore di numerosi racconti e romanzi e di un saggio sulla questione linguistica in Marocco (tra arabo classico, dialetto marocchino, francese e berbero era facile intuire che la questione si sarebbe tramutata in dramma) molto interessante: "Le drame linguistique marocain", editions Zellige 2011, di cui su ALMA blog si è scritto recentemente. Nel 2010 il suo "Une année chez les Français" è stato candidato al Premio Goncourt.

"L’esteta radicale" (il titolo originale in francese è: "Le jour où Malika ne s’est pas mariée", pubblicato dalla parigina Julliard nel 2009), deve il titolo ad uno dei racconti che compongono questa raccolta di 8 instantanee del Marocco di oggi. Con uno stile fresco e lineare, alternando nel testo parole del dialetto marocchino, Laroui racconta un paese alle prese tra modernità e tradizione, senza cadere nella trappola della facile demolizione degli stereotipi, che si sprecano quando si ha a che fare con questo – forse abusato – binomio. Sono racconti che si lasciano leggere velocemente (ho letto finora i primi quattro), grazie all’uso di un linguaggio asciutto ma allo stesso tempo carico di ironia e di “tenerezza”, come ha sottolineato di Paolo, e che soprattutto invitano a riflettere: non solo sul Marocco contemporaneo, ma sul mondo di oggi.

La loro particolarità si rintraccia proprio nella vena tragicomica che li pervade tutti, per cui Laroui scherzosamente si è definito uno Shakespeare marocchino. Sono racconti in cui la tonalità comica si mescola e si alterna a quella drammatica, che l’autore definisce come nati dall’incontro tra Voltaire e…sua madre. Che quando la vita le presentava troppe difficoltà, si metteva a ridere perché, come recita un detto popolare “il troppo dolore fa ridere”. Proprio come affermava Voltaire! 

È impossibile non sorridere nel leggere come Laroui tratteggia il profilo del protagonista del primo racconto, il non più giovane maestro Abbas (con la pancetta, bassetto, lenti spesse) che vorrebbe sposare la giovane Malika, 16 anni, un futuro già programmato in Francia, che non ci pensa minimamente a legarsi ad un uomo più anziano di lei che la vorrebbe in casa a sfornare tanti pargoletti mentre lui insegna e scrive poesie in arabo classico. 

Il tono del terzo racconto “Il giorno in cui Saddam fu impiccato” è invece totalmente diverso: a partire da un evento di rilevanza internazionale, la morte di Saddam Hussein, nella famiglia di Jafaar, marocchini berberi del Rif emigrati da anni in Olanda, si scatena una piccola tragedia perché il padre sente che con la morte di Saddam, il mondo ha voluto umiliare tutti gli arabi. E si rinchiude su se stesso, lentamente e con disperazione. 

Altro tema di Laroui, la letteratura della migrazione, categoria che gli sta un po’ stretta.

Da Editoriaraba - Superman è arabo, di J. Haddad: le date delle presentazioni in Italia


Sapete già tutti che il nuovo libro di Joumana Haddad, Superman è arabo, è uscito qualche giorno fa in Italia, pubblicato da Mondadori.

Le date delle presentazioni in Italia

Firenze – 8 aprile

Pompei – 30 aprile

Napoli – 2 maggio

Matera – 3 maggio

Torino – 19 maggio (Salone del Libro)

A breve Roma e Milano

venerdì 8 marzo 2013

Da Editoriaraba - 8 marzo 2013 Leïla Sebbar, la malinconica saggista cantastorie


Continuiamo a parlare del Maghreb des livres, attraverso il profilo della scrittrice franco-algerina Leïla Sebbar.

di Annamaria Bianco

“Une écrivaine dans le siècle”: è così che si definisce Leïla Sebbar*. Una scrittrice del suo tempo, testimone di un’epoca durante la quale la storia francese si è mescolata inesorabilmente a quella nordafricana e viceversa.
E’ sulle suggestioni dei propri ricordi che questa donna dall’aspetto austero costruisce i suoi racconti, reinventando la propria esperienza di vita alla luce delle conoscenze da ricercatrice di letteratura francese coloniale acquisite nel corso degli studi. Gli esordi della sua carriera sembravano averla indirizzata verso la saggistica, quando attorno agli anni ‘70 aveva cominciato a pubblicare i suoi primi scritti d’inchiesta e riflessione antropologica. Ma non è passato troppo tempo prima che i risultati di queste indagini portassero la studiosa a creare ex-novo narrazioni concrete – delle quali protagoniste son spesso le donne – delle vicende della colonizzazione e delle guerre d’indipendenza, susseguitesi rapidamente le une dopo le altre. Avvenimenti storici importanti che hanno segnato la storia dei paesi coinvolti, e continuano a farlo. Il “Maghreb des livres” ha dimostrato l’attualità della questione ancora oggi, nel 2013.

Leïla Sebbar potrebbe essere considerata una delle scrittrici più sensibili all’argomento, se si considera la portata della produzione che vi ha dedicato, consacrando tante pagine alla sua Algeria in uno stile davvero delicato.
Personalmente – ci racconta l’autrice dell’articolo - ho trovato i due racconti brevi che ho letto, simili a due piccoli gioielli un po’ antichi, che ben si abbinano all’aspetto vintage della proprietaria dalla personalità riservata. Parlo di La Blanche et la Noire e Noyant d’Allier, entrambi pubblicati nel 2008 da Bleu Autour.
Il primo lascia una giovane aristocratica russa ed una vecchia schiava liberata raccontarsi a vicenda in una casa tunisina, fra flashback e sogni premonitori.
Il secondo segue il sotto-ufficiale Lam nel suo peregrinare fra Indocina, Algeria e Francia, inseguendo gli occhi neri di una donna, il ricordo di sua madre e i volti delle sue sorelle, alla ricerca costante dell’elemento femminile ancestrale simbolo della pace e della rigenerazione.
Entrambi procedono su toni languidamente malinconici e sembrano racchiudere qualcosa della poesia preislamica, l’eredità del compianto, forse. Una nostalgia che ritorna anche in altri racconti e romanzi, dei quali sono disponibili online diversi estratti, per chi, a suo agio nel leggere in francese, volesse immergersi nell’universo letterario della Sebbar.
Segnalo anche il titolo L’arabe comme un chant secret (2008), del quale, nella confusione della fiera, mi sono fermata a contemplare la quarta di copertina e a sfogliare alcune pagine: si tratta di un’opera autobiografica piuttosto commovente, a tratti, nella quale l’autrice si tortura nel domandarsi come fare a vivere separati dalla lingua del proprio padre, l’arabo (n.b. la madre è invece una francese cattolica); nella quale lei, purtroppo, non parla né scrive.

*Leïla Sebbar è una scrittrice di origini franco-algerine nata il 19 novembre 1941 a Aflou, nell’Algeria francese. Figlia di due istitutori, ha raccolto la loro eredità diventando Professoressa di Lettere in Francia, dove vive dall’età di 18 anni.
Per la bibliografia completa si consiglia il sito ufficiale.

mercoledì 6 marzo 2013

Editoriaraba - Dal Libano Sobh, al-Shaykh e Haddad, una tripletta al femminile nelle librerie


ll gruppo Mondadori ha proposto alle librerie italiane ben tre libri di scrittrici libanesi.

"I miei sogni nei tuoi", di Alawiya Sobh, è il primo titolo, tradotto da Carmine Cartolano; 348 pp., 18 euro. Titolo originale: Dunya. Classe 1955, laureata in letteratura araba e inglese all’Università di Beirut, Sobh si dedica alla scrittura e al giornalismo fin dagli anni ’80. All’inizio degli anni ’90 fonda la rivista culturale femminile più venduta nel mondo arabo, ‘’Snob al-Hasnaa’’, che ancora dirige. Nel 2009-2010 è stata uno dei giudici del progetto letterario Beirut39 che ha selezionato 39 scrittori arabi al di sotto dei 39 anni. Nelle sue apparizioni pubblichem alle conferenze o nei programmi televisivi, si occupa di questione femminile, modernità e guerra, in Libano e nel mondo arabo. È autrice di Il suo nome è passione (Mondadori, 2011).
La trama del libro
È notte fonda a Beirut, Dunia è seduta sul divano dell’appartamento in cui vive da anni e che al mattino dovrà lasciare per trasferirsi in una nuova casa, verso un futuro incerto. Ha in mano dei fogli, l’ultimo capitolo di un libro che non è sicura di voler finire, perché c’è qualcosa che la tormenta in quelle pagine, qualcosa che la tocca da vicino e che non è sicura di voler scoprire. A turbarla sono i personaggi del libro, perché in essi Dunia ritrova le sue più care amiche, le vicine, le confidenti, donne che con i loro segreti riempiono le pagine di un romanzo, opera di una scrittrice misteriosa, che abita nello stesso palazzo ma che nessuno ha mai visto. (altro sul sito Mondadori)

Torna in Italia Hanan al-Shaykh, con "Fresco sulle labbra, fuoco nel cuore", edito da Piemme; traduzione di Ashraf Hassan e Serena Tolino; 294 pp.; 17,50 euro. Titolo originale: Innaha London ya ‘azizi (Questa è Londra, mio caro).
E’ nata a Beirut nel 1945 e ha vissuto al Cairo e nel Golfo. Giornalista e scrittrice attenta alla questione femminile nei paesi arabi e al tema della guerra civile (esiste un paper molto interessante scritto al riguardo da Jolanda Guardi, dal titolo “La morte è l’orgasmo della guerra: Hikayat Zahra di Hanan al-Shaykh”, che individua uno strettissimo legame tra questo libro, il corpo, la sessualità e la guerra civile libanese), oggi vive a Londra con la sua famiglia.
Se già non vi siete scomposti alla traduzione del titolo, che fa il paro con i precedenti (quanto insuperati) Mio signore, mio carnefice e La sposa ribelle, Ludovica mi segnala che il sottotitolo recita: “Solo l’amore può gettare un ponte fra Oriente e Occidente, solo l’amore fa scattare la scintilla della comprensione”.
La trama del libro
Un romanzo che parla di integrazione e identità, esilio e riscatto. Un ritratto vivace e originale della nostra società multietnica, attraverso le storie di chi è costretto ad attraversare oceani per sentirsi libero. Ma anche la storia di chi, con altrettanto coraggio, deve coprire la stessa distanza dentro di sé per capirsi e accettarsi. ‘Continua sul sito di Piemme).
Si segnala inoltre l’uscita del nuovo saggio di Joumana Haddad: "Superman è arabo". Su Dio, il matrimonio, il machismo e altre invenzioni disastrose (traduzione di D. Silvestri; 242 pp.; 10,50 euro), già anticipato poco tempo fa.

L’autrice dell’articolo si dice perplessa sulla simultaneità delle tre uscite, se si sia trattato di un puro caso (possibile?) o di una strategia mirata. Ma mirata a cosa? Ad attirare l’attenzione dei clienti-lettori sulla questione femminile nel mondo arabo? A catturare l’occhio degli avventori distratti su dei libri che, forse, se fossero usciti in periodi diversi dell’anno e slegati, non si sarebbe posato?

lunedì 4 marzo 2013

Editoriaraba - Tra Maghreb e Francia, focus dal Maghreb des Livres


Il rapporto tra Francia e Algeria, l’editoria algerina e del Maghreb e il ruolo della francofonia: le prime impressioni e riflessioni dal Maghreb des Livres 2013 di Parigi.

di Annamaria Bianco da Parigi*

Il “Maghreb des livres” è stata un’esperienza incredibilmente intensa, se non illuminante. Per me, da sempre più sensibile al fascino del Bilad al-Sham, scavare fra i libri sugli stand e parlare con gli autori emergenti presenti è stata un’occasione di scoperta molto stimolante, oltre che occasione di dialogo con scrittori del calibro di Malek Chebel. Al contrario, Tahar Ben Jelloun: schivo e quasi introvabile. 
All’interno dell'Hôtel de Ville, l’associazione Coup de Soleil è riuscita a riunire davvero di tutto, sfruttando sapientemente gli spazi: intima l’atmosfera della Sala Letture, con il duo d’accompagnamento composto da chitarra e violino, ed altrettanto raccolto anche il piccolo spazio degli Intrattenimenti, tête-à-tête con gli autori. Affatto banale la cornice artistica ricreata letteralmente attorno agli stand di libri e riviste, che ha lasciato spazio soprattutto agli artisti contemporanei tunisini, a dispetto del paese messo quest’anno sotto i riflettori, l’Algeria. Un calligrafo, seduto alla sua scrivania, contribuiva a donare ancor più colore al tutto, assieme a un maxi-schermo collocato alla fine della sala grande, che proiettava immagini poetiche del Maghreb – forse anche troppo orientaliste, nel gusto. 
E' stata un'opportunità per riflettere sulla realtà contemporanea del Nord Africa e della Francia e, soprattutto, sulla natura dei loro rapporti: l’Algeria, a 50 anni dalla sua indipendenza, si caratterizza ancora per una produzione letteraria fortemente influenzata dall’esperienza del colonialismo e le stesse tavole rotonde organizzate hanno ruotato per lo più attorno a personaggi legati a questo genere di realtà. 
Di libri in arabo, poi, solo un’effimera traccia, a causa della naturale predilezione per la francofonia di alcuni scrittori e a una scelta che, personalmente, ritengo essere stata piuttosto mirata, rispetto alla pubblicizzazione di testi in traduzione. Una soluzione che, se da un lato va certamente più a vantaggio delle case editrici francesi che a quelle d’origine, dall’altro è stata anche un po’ obbligata: visivamente parlando, gli arabi presenti all’infuori dei membri dello staff erano pochi; i visitatori erano per lo più francesi – non credo capaci di leggere i testi in lingua originale – e molti anziani. Nonostante l’area giovani appositamente allestita, avrò visto sì e no tre bambini nel corso delle due giornate. 
A dispetto di ciò, in ogni caso, il Maghreb presenta delle novità editoriali davvero interessanti sotto più aspetti.
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*Studia francese ed arabo classico all’Università di Napoli l’Orientale, ed è iscritta all’ultimo anno del corso di laurea triennale in Lingue, lettere e culture comparate. Attualmente, si trova in Erasmus a Parigi presso l’Institut National de Langues et Civilisations Orientales (INALCO), dove ha cominciato a studiare anche siro-libanese. Da luglio 2012 è giornalista pubblicista e collabora con Frontiere News.

domenica 3 marzo 2013

Da Editoriaraba - Yasmina Khadra a Roma al FeFiFra

L’Africa, questa sconosciuta

È stato un incontro molto interessante quello che ha visto come ospite lo scrittore algerino Yasmina Khadra, mercoledì scorso a Roma. Chi si occupa di letteratura araba dall’Italia soffre di uno svantaggio non da poco rispetto a chi ama e/o si occupa della letteratura italiana o europea: gli incontri dal vivo con gli autori arabi sono rarissimi. Dopo lo scrittore algerino e Amin Malouf, la settimana prossima a Roma sarà ospite il marocchino Fouad Laroui, per presentare l’edizione italiana del suo romanzo, tradotto da Del Vecchio editore con il titolo "L’esteta radicale").
Yasmina Khadra per più di un’ora ha parlato alle oltre 100 persone presenti nell’auditorium del Centre Culturel Saint Louis de France di Roma, di come abbia cominciato a scrivere e perché, del suo ultimo libro, "L’equazione africana" e del perché dall’Africa venga oggi una delle più grandi lezioni per l’umanità intera.
“Sono uno scrittore come tutti gli altri perché la letteratura viene solo dal talento. Sono nato per scrivere, Dio mi ha creato per scrivere e questo ho nel sangue. Anche se purtroppo vengo da un Paese, l’Algeria, in cui il talento non è la priorità”.
Nato nel Sahara algerino, il futuro scrittore viene iscritto alla scuola militare dal padre alla tenera età di 9 anni. L’esercito, ovvero “la grande muta”, in cui l’autore e i suoi fratelli e cugini venivano trattati come adulti e non come bambini, diventa per Yasmina Khadra la prima palestra in cui esercitare le sue innate doti di narratore. “Dovevo inventarmi un mondo per poter sopravvivere, per poter recuperare ciò che avevo in parte perso durante l’infanzia”, ha raccontato.
Ma, naturalmente, l’esercito non poteva tollerare l’idea di avere nei propri ranghi uno scrittore, che per questo venne punito in ogni modo pur di impedirgli di scrivere. Dopo l’ennesimo boicottaggio (era stato mandato a duemila chilometri a sud di Algeri), un aiuto insperato gli venne dalla moglie che, un giorno, visto quanto fosse infelice perché aveva alla fine deciso di abbandonare la scrittura, gli propose di adottare uno pseudonimo: il suo nome.
“Tu mi hai dato il tuo nome per la vita, io ti do il mio per la posterità” – gli disse sua moglie.
“Sono molto fiero di portare il suo nome, perché per me è l’unico modo di essere un uomo” – ci ha detto lui.
Ed è così che Mohammed Moulessehoul è diventato Yasmina Khadra.
"L’equazione africana" è il suo ultimo libro pubblicato: ambientato tra il Sudan e la Somalia, è un viaggio nel cuore più profondo dell’Africa orientale. Per il suo autore è un “romanzo antidepressivo”, un omaggio alla vita e alla gioia di vivere, come potete ascoltare nel video che segue.
Fa parte di quel segmento della sua narrativa che guarda oltre i confini dell’Algeria: da Kabul all’Iraq, l’inventiva di Yasmina Khadra non ha disdegnato alcuna parte del mondo perché “noi maghrebini africani siamo eclettici”. E perché “In quanto algerino io ero già aperto verso il mondo”. E ancora: “Io mi sento un cittadino del mondo. Vivendo in Europa capisco tutto ciò che qui succede. Mentre voi non sapete nulla di noi, assolutamente nulla”.
Yasmina Khadra scrive del mondo intero perché l’umanità è la stessa dovunque, il linguaggio è lo stesso in ogni dove. E lo scrittore viaggia, perché l’uomo, questo linguaggio del viaggio, riesce a interiorizzarlo e a capirlo. E anche perché la letteratura, che per lui ha il compito di “meravigliare”, è ciò che distingue l’uomo dall’animale.
Non risparmia le critiche all’Occidente e al mondo di oggi anche quando afferma che in Africa esistono degli autori meravigliosi e degli artisti incredibili che nessuno conosce, perché oggi ormai “non c’è più alcuna forma di curiosità salvifica verso il mondo”. Per questo Khadra spera che il suo lavoro aiuti i lettori ad aprire gli occhi e la mente anche sulla produzione artistica degli scrittori africani, perché il nostro dovere in quanto esseri umani è quello di “andare verso gli altri”. Lui d’altronde sembra inarrestabile anche quando afferma, in una dichiarazione d’amore nei confronti di tutta l’umanità: “Io vado avanti perché amo la gente”.
Infine, il nostro non risparmia una piccola critica, ma comunque affettuosa, verso il pubblico italiano che lo “snobba”, a differenza della Francia dove ha venduto milioni di copie, e che dovrebbe imparare il francese (nel parlare era aiutato da una bravissima e simpatica interprete) che è la lingua più bella del mondo. Naturalmente dopo l’arabo.