lunedì 30 dicembre 2013

Rileggere la storia di Roma sullo sfondo del Mediterraneo



Le radici del gelsomino
Le grandi figure del passato numida
di Touhami Garnaoui




Touhami Garnaoui è un tunisino nato nel 1938 a Sousse che vive attualmente a Tarano, in provincia di Rieti dov’è stato sindaco, primo maghrebino a ricoprire quest’incarico dal 2004 al 2009. Ha studiato a Parigi matematica, ingegneria, aerodinamica, economia e si è diplomato al’Ensae, Ecole Nationale de Statistique et Administration Economique. Docente universitario, ha lavorato nell’ambito della pianificazione economica e di amministrazione del territorio. E’ stato tra l’altro capo missione di cooperazione allo sviluppo per il Ministero degli Esteri in Marocco. L’ho incontrato a Roma perché questo personaggio versatile, con una grande preparazione filosofica e storica, si è interessato a me, essendo venuto a conoscenza dei miei libri e del mio interesse per la Tunisia. Incredibile ma vero. Ancora una volta una lettura che nasce da un incontro e un incontro che nasce dal mondo dei libri. Ho iniziato a leggere questo esile e denso libro con una certa esitazione e non senza qualche difficoltà, digerendo lentamente la prima parte, divorando la seconda. All’inizio sono stata spiazzata dall’assenza di riferimenti all’attualità eppure il titolo non può mentire, poi mi sono accorta che l’autore vuole fare un lavoro di forte documentazione e approfondimento ma con una giusta distanza, lasciando che il lettore si incammini sul binario della storia per fare il proprio cammino. Nessuna tesi ma tutti gli strumenti per ricostruire le fondazioni del Mediterraneo. E’ molto interessante la prospettiva, la rilettura della storia romana in ottica mediterranea perché si amplia la prospettiva e la sfaccettatura interpretativa, mentre si è abituati ad ad ascoltare un dialogo come un monologo. Purtroppo continuiamo a leggere la storia dei popoli separatamente senza sincronicità. La seconda ragione è la geografia storica che è fondamentale per comprendere l’atlante storico. La famosa battaglia di Zama finalmente so dov’è perché si tratta di una località vicino a el-Kef in Tunisia, nell’interno e così Utica di Catone è l’insediamento archeologico relativamente vicino a Tunisi. La Numidia prende un volto con dei contorni e così via. Rileggere l’antichità significa, sembra dire Garnaoui, riportare all’attenzione il Mediterraneo come crocevia e la centralità del Maghreb in generale, di Cartagine in particolare che evidenzia come i Fenici sceglievano strategicamente le proprie colonie. Tunisi sorse sulle sue rovine ma non riuscì ad ereditarne la raffinatezza, a dispetto della storia che ha sempre dimenticato e marginalizzato l’Africa dallo scacchiere internazionale. Eppure per Roma il nord Africa, la ‘vecchia’ e la ‘nuova’ Africa come fu ribattezzata ebbe un ruolo centrale. Il nostro autore sembra dire che il Maghreb, la Tunisia in particolare, hanno visto abortire qualsiasi tentativo di risveglio perché è più facile entrarvi che uscirvi, dal punto di vista geografico e poi per una ragione che definisce ‘istituzionale’: come molti paesi di tutto il continente, si tratta di una miriade di popoli eterogenei costretti a vivere sotto la stessa bandiera ma con usi, costumi e credenze completamente diverse. In effetti Augusto alla fine riuscì ad unificare l’immensa provincia dall’Egitto, all’attuale Libia – Cirenaica e Tripolitania - Tunisia, Numidia, fino agli attuali territori algerini, marocchini e della Mauritania, grazie anche alle divisioni interne e alla rivalità, in particolare nei confronti dei berberi. I popoli del Maghreb infatti non reagirono all’avanzata dei Romani unendosi ma alimentando e approfittando per scatenare guerre e faide interne e fu la fine. Una lezione che la storia non sembra aver imparato. I comportamenti dei ‘conquistatori’ invece sembrano sempre gli stessi, esercitarsi nel gioco di potere e marginalizzazione tra il centro e la periferia dell’Impero e sfruttare i territori della provincia dove già allora c’era ricchezza prodotta a costi molto più convenienti, rilancio della schiavitù nell’ultima parte delle guerre puniche perché la manodopera a basso prezzo cominciava a scarseggiare. Insomma una sorta di ‘delocalizzazione’ selvaggia ante litteram. E ancora dinamiche tra oppositori e collaborazionisti, come il caso di Tolomeo II di Numidia, esempi che illuminano quello che sarebbe venuto.

 
Le radici del gelsomino
Le grandi figure del passato numida
di Touhami Garnaoui
Book Sprint Edizioni
Euro 14.10

lunedì 23 dicembre 2013

Editoriaraba - E poi venne l’inverno, nella poesia di Golan Haji

Questa recensione è stata pubblicata ieri su Osservatorio Iraq – Nord Africa e Medio Oriente.

Come un manto bianco, immobile e silenzioso, la neve ha ricoperto il Medio Oriente negli ultimi giorni, non risparmiando i campi profughi in cui vivono centinaia di migliaia di siriani in fuga da una Siria lacerata da due anni di guerra civile e vittima dell’indifferenza del mondo.

È impossibile non pensare ai tanti bambini, uomini e donne intirizziti o morti per il freddo tagliente quando si leggono le poesie del poeta curdo siriano Golan Haji contenute nella raccolta L’autunno, qui, è magico e immenso (Il Sirente, 2013), dove i versi scandiscono i tempi di stagioni terribili, fatte di polvere, lacrime, pioggia, sangue, dolore e desideri irrealizzati.

E di neve. La neve su cui camminano, ad esempio, i soldati della poesia “Scrigno di dolore” in cui il poeta, parlando della condizione degli esiliati, che egli stesso vive dal 2011, scrive:

“Ora sei una storia raccontata dove manchi./La tua gola, scrigno di dolore,/è piena di ossa e piume./Nel bianco dell’ occhio/hai una macchiolina di sangue arrugginita/simile a un sole che tramonta lontano/su un campo di neve/calpestato da lunghe file di soldati affamati”.

La lingua di Haji è densa, potente, terribile e allo stesso tempo capace di suscitare emozioni familiari, intime e a volte tenerissime. Dall’accostamento di colori, ricordi e oggetti nascono immagini disturbanti e inquiete che interrogano il lettore e lo costringono a riflettere. Il poeta fa largo uso dei colori che associa a sensazioni o cose: rosso è il sangue vivo, che dilaga inarrestabile (“e nulla questo sangue fermerà/escluso il sangue e il vento”); gialle sono le foglie che “volano ed urlano”; l’azzurro evoca immagini fredde e laceranti come un tatuaggio che gocciola come un profumo o il colore del soffitto di una stanza d’esilio. Nera, infine, è la notte di un inverno che non accenna a finire. Una notte pesante che si dischiude all’infinito ma che era sanguinosa già nel 2011, come nella poesia “Scrigno di dolore”, in cui il poeta si chiede come si possa seppellire il dolore, dopo avere sepolto i morti.

Paradossi e metafore si intrecciano ad oggetti e suoni vivi e lontanissimi tra di loro che rimandano ad immagini plastiche, rotonde e surreali. Nel leggere le poesie contenute nella raccolta sembra quasi di trovarsi di fronte ai quadri dei maestri del surrealismo come Magritte e Dalì o alla pittura metafisica di De Chirico: la lettura provoca inquietudine e perdita di ogni riferimento spazio-temporale proprio come la visione delle loro opere.

La luce in Haji è talmente accecante da provocare il buio, come ne “L’impero delle luci” del maestro francese; il corpo del poeta si apre al mondo, è finestra in cui guardare e da cui guardare all’esterno come nell’opera di Magritte “La voix du sang”.

(“Coloro che attraversavano il cielo/esteso si avvicinarono a guardare,/una mano mozzata aprì loro la finestra dall’interno,/si scambiarono lingue e peccati/per poi sparire come fulmini/all’orizzonte in mezzo al cielo deserto./La mia finestra è aperta”).

I corpi descritti nei versi di Haji sono corpi pesanti, disfatti, stracciati: i volti hanno occhi senza palpebre spalancati sulla fissità del mondo, le bocche sono lacerate o cancellate, come nelle opere più inquietanti di Dalì e De Chirico.

C’è una corrispondenza tra l’universo e il poeta-uomo che diventa strumento e tramite di senso. Scrive il poeta in “Meriggio”: “Pieno della mia assenza,/avanzo lentamente, con le pietre/che mi galleggiano tra le costole,/mi fluiscono dalla bocca e dagli occhi,/per poi cadere accanto a me e svanire”.

La metafora dell’occhio è un topos ritornante nella poetica di Golan Haji, che viene usata anche per fare riferimento al presente, un presente testimoniato dalla parola “qui/هنا” e che è vivo ma terribile e angusto: “Il presente è un occhio/con le palpebre mutilate/E lo sguardo sanguinante”, un’immagine che, per un gioco di accostamenti, ricorda da vicino l’opera dell’artista palestinese Raeda Saadeh.

Ma “qui/هنا” ritorna anche quando il poeta deve comunicarci che lui non è “di qui/né sono qui” perché vive nella condizione terribile e dolorosa dell’esilio di cui parla in molti dei versi.

La recensione prosegue su Editoriaraba

giovedì 19 dicembre 2013

"Oriana una donna" di Cristina De Stefano

Giovedì, 19 Dicembre 2013 Ilaria Guidantoni

Un libro che mi ha costretta ad un’autocritica doppia e per questo un libro utile se mai di utilità si può parlare, nel senso più nobile. Un testo che mi ha costretta ad una passeggiata impietosa dentro di me, guardandomi allo specchio, attraverso lo specchio di un’altra donna, non una qualsiasi, quanto un fenomeno singolare. E ancora un’autocritica nel giudizio frettoloso emesso su questa giornalista dotata evidentemente di un talento straordinario.

L’autrice fa un lavoro di grande profilo ed eleganza: pagine che scorrono dense ma fluide, che si ha voglia di girare, ma si è dispiaciuti di finire e per me è un fatto raro. Quasi sempre trovo che i libri siano più lunghi di quello che meriterebbero. Non solo, spesso mi sono fermata perché l’effetto fusione con Oriana Fallaci è fortissimo eppure non siamo in presenza di una simulazione, semplicemente Cristina De Stefano ne restituisce l’anima, lo stile, con grande capacità iconopoietica tanto che ci sembra di vivere accanto ad Oriana, non di guardarla a distanza. Una ricostruzione mirabile, anche degli avvenimenti attraversati dalla giornalista, dell’evoluzione del mestiere di inviato e reporter in mezzo secolo e ancora una storia di famiglia che diventa un ritratto dell’Italia che esce dal Fascismo – e in questo caso dall’Antifascismo – attraversando la ricostruzione, il boom economico, il miracolo tecnologico, la corruzione e un mondo sempre più in guerra, il superamento della dialettica tra capitalismo e anticapitalismo a favore di nuove guerre di religione per dirla con Oriana. E ancora è la storia, qui raccontata in disparte e con discrezione, della Firenze, patria amata della protagonista del libro, mia città natale, culla della mia famiglia.

La recensione integrale su Saltinaria.it

Sabato 21 dicembre ore 19.00: "Lampedusa" di Marta Bellingreri - Libreria N'Importe Quoi di Roma, Via Beatrice Cenci 10 (Largo Argentina)

Incontro con Marta Bellingreri intorno al suo libro "Lampedusa" e al tema scottante delle migrazioni, insieme a lei interverrà Raffaella Cosentino, giornalista freelance co-autrice del documentario Oltre l’Inverno sull’omicidio Carbone a Locri e del dossier Rosarno Arance Insanguinate dell’associazione antimafie daSud onlus. 

Marta Bellingreri  ha vissuto in Siria, Libano, Egitto, Palestina, Giordania e ha  lavorato come mediatrice culturale con minori migranti a Lampedusa e a Roma. Dal 2012 vive e lavora in Tunisia.

mercoledì 18 dicembre 2013

Editoriaraba - La giornata mondiale della lingua araba è oggi!

Come ogni anno, il 18 dicembre l’UNESCO celebra la giornata mondiale della lingua araba per ricordare il 18 dicembre 1973, giorno in cui l’arabo divenne la sesta lingua ufficiale delle Nazioni Unite. E, colpo di scena, l’iniziativa è stata promossa da Marocco e Arabia Saudita al fine di promuovere il multilinguismo, la diversità culturale e il ruolo e il contributo dell’arabo nel creare un patrimonio culturale condiviso dall’umanità.

Le iniziative proposte l’anno scorso dall’UNESCO per festeggiare l’arabo erano state le seguenti:

imparare la calligrafia araba 
scoprire la poesia
organizzare un reading di poesie
incoraggiare le persone ad intraprendere lo studio dell’arabo 
non perdere l’abitudine di parlare in arabo con la propria famiglia (solo per arabofoni)
imparare qualche parola di arabo se si viaggia in un paese straniero 
Su editoriaraba si festeggia , partendo da una domanda…come avete conosciuto l’arabo?

Chiara Comitini ne aveva parlato l’anno scorso su A.L.M.A. Blog in un post dal titolo Sul perché l’arabo è anche una bicicletta verde dell’Arabia Saudita.

E ieri qualcuno ha mandato la propria originalissima versione del perché studia, ama o parla questa lingua, che è croce e delizia di tutti colori i quali le si avvicinano.

E le risposte sono sorprendenti.

Giada Frana: Ho iniziato a studiare arabo per amore verso mio marito, e perché mi piacerebbe specializzarmi in articoli sul Medioriente, quindi penso che conoscere questa lingua mi sarebbe molto utile. Da tempo volevo approcciarmi a questa lingua… Quando, nel gennaio 2011, in un comizio di tunisini davanti alla relativa ambasciata, tutti si sono messi a cantare l’inno nazionale con le lacrime agli occhi…e io non capivo nulla né dell’inno, né di quello che dicevano nei discorsi di incitamento alla caduta del dittatore Ben Ali. Così ho capito che, se non volevo rimanere esclusa da una parte importante della vita di mio marito, e anche per comunicare con suoceri e parenti, avrei dovuto rimboccarmi le maniche e mettermi a studiare. Un’ ulteriore spinta mi è data dal fatto che a breve mi trasferirò per un periodo in Tunisia. L’approccio non è stato semplice ma più mi addentro, più rimango affascinata e ho voglia di saperne sempre di più su questa lingua.

Carmen: All’epoca trovavo molto più semplice andare nel vicino/medio Oriente per poterlo mettere in pratica piuttosto che andare in Cina o Giappone. Con il tempo ho imparato ad amarlo ma se potessi tornare indietro sceglierei il persiano.

Fernanda Fischione: Ho cominciato a studiare l’arabo perché quando ero insegnante di italiano a stranieri i miei allievi erano per la maggior parte marocchini e mi hanno lentamente trascinata nel “gorgo”.
Ho scoperto prima di tutto un’umanità nuova, calda, antica, dirompente, e poi una lingua altrettanto totalizzante. Il risultato è che dopo cinque anni sono ancora perdutamente innamorata di questa lingua e di questa cultura, e penso proprio che si tratti dell’amore della mia vita…

Monica Luisa: È stato un colpo di fulmine.

Alessandra Fabretti: Ho iniziato a studiare l’arabo perché ero convinta che sarebbe stata la lingua del nuovo millennio. Non avevo ancora realizzato cosa stava accadendo nel frattempo in Cina.

Pamela Stella: Non ricordo bene, probabilmente ho iniziato a studiare l’arabo per curiosità. Poi la storia tra me e la lingua araba è continuata tra amore e litigi, ma ha resistito nel tempo. E tuttora resiste…resiste perché, semplicemente, non ne posso fare a meno, tra me e lei è una sfida perpetua.

Anna Maria Monti: Mi è sempre piaciuto…un colpo di fulmine.

Elisione Ere Mitica: Perché non c’è una ragione precisa dietro alle passioni.

Lucia Turi Tezler: Perché è difficile.

Abdelghani Mouden: È la mia lingua madre, è mia madre ed il mio punto di riferimento. Scrivo in italiano, e mi arrabbio e mi tormento in arabo.

Francesca Della Puppa: è stata una scoperta-sorpresa… Lo scelsi non del tutto convinta e anche perché avevo una buona base di francese a supporto. Poi, studiandolo all’università, giorno per giorno ne sono rimasta affascinata, colpita, attratta. Non solo per la sua modalità di scrittura, ma anche per i suoni che ai più sembrano quasi “sgradevoli”, perché così gutturali, a me invece risultavano invitanti, interessanti. E poi l’arte, la storia, la cultura e la visione della vita di questa civiltà mi hanno molto stimolata a cercare di saperne sempre di più, per comprendere e anche per scegliere cosa mi andasse a genio e cosa no. Ci sono alcuni aspetti di questo complesso mondo arabo che non potrò mai accettare, ma molti altri che mi hanno anche comunicato quanta intelligenza e saggezza ci sia stata e ci sia ancora tra queste persone. La lingua araba: matematica, economica e nello stesso tempo precisa e vasta, con milioni di vocaboli a stabilire il giusto senso alle cose. La lingua del risparmio nella scrittura e della memoria orale, perché non ci si deve appesantire nello spostarsi. Pochi segni per evocare un mondo, così come bastano poche note e posizioni sul liuto per evocare ore di musica. La lingua della ridondanza e della ciclicità, di quel movimento sinuoso e continuo della carovana che attraversa le dune… la lingua che non spezza le parole, che non va a capo a singhiozzo, ma tiene unita la parola per non togliere completezza al senso, per lasciare intatta la magia dei segni che uniti trasmettono un significato. Una lingua e tante lingue: una, la più eloquente; tante, la complessità di questo mondo vasto e differente, unito dalla scrittura, diviso dalle pronunce. Auguro all’arabo di essere sempre più insegnato e imparato, usato e diffuso, con correttezza, con serietà, con passione. Diffuso nelle scuole, dalla primaria alle superiori perché non si possa più dire un giorno a qualcuno che non capiamo: “Ma parli arabo?”.

Davide Maggiore: Mi piacerebbe impararlo per tanti motivi: i primi tre che mi vengono in mente sono 1) Perché quando ascolto una canzone in arabo ne resto affascinato e ho voglia di capire, di saperne di più 2) perché quando nel 2011 ho cominciato a seguire le rivolte arabe sentivo che mi mancava qualcosa per capirle veramente 3) perché lo swahili è pieno di parole arabe e non sarebbe una lingua così bella, senza.

Marco Scalas: Perché ho avuto una ispirazione interiore, da adulto. Poi, perché mi vergognavo di non riuscire a leggere neppure i cartelli stradali.

Claudia Avolio: Ho iniziato a studiare l’arabo perché nel sentir parlare della Palestina nessuno mi aveva dato le parole per provare a capire le sue storie. Così le ho cercate nella lingua araba.

Amale Merrika: Sono madrelingua araba, nel mio paese di origine ho studiato di più il francese, ma poi ho capito l’importanza della mia lingua d’origine è ho deciso di approfondire le mie conoscenze. Così ho preparato la mia laurea e oggi sono docente di lingua e cultura araba.

martedì 17 dicembre 2013

Ospite dell'Associazione Palma del Sud ad Aprilia (LT), 14 dicembre 2013

Aprilia, sabato 14 dicembre 2013, Associazione tunisina La Palma del Sud
 con il presidente Sihem Zrelli

Editoriaraba - Nello specchio del mare bianco. Il romanzo del mare tra Tunisia e Italia approda a Reggio Calabria

17 dicembre 2013 

E’ un testo che conosco, per aver letto e studiato, di grande poesia e di estremo interesse linguistico per la commistione tra arabo classico, tunisino, francese, siciliano, laboratorio allegorico del Mediterraneo come chiasmo culturale. Un inno al mare nostrum come luogo di incontro dialettico e di fecondità. Tra l’altro il libro è distribuito con un cd realizzato dai Dounia complesso musicale siciliano dedito alla composizione di musica per il teatro, di grande suggestione.
(Ilaria Guidantoni)

Stasera alle 21 al Teatro Siracusa di Reggio Calabria si svolgerà l’evento Nello specchio del mare bianco. Il romanzo del mare nelle pagine di Eugenio Vitarelli e Moncef Ghachem, con Moncef Ghachem, Maurizio Marchetti, Silvio Perrella, Biagio Guerrera e Caterina Pastura.

Dal comunicato stampa della casa editrice Mesogea “una serata dedicata a due scrittori: Moncef Ghachem, poeta-pescatore tunisino che leggerà assieme a Biagio Guerrera alcuni brani tratti dal suo nuovo libro «Il salto del Cefalo. Storie di pesci, barche e marinai di Mahdia (trad. e cura di Caterina Pastura)»; e Eugenio Vitarelli, scrittore messinese scomparso da diversi anni di cui Maurizio Marchetti leggerà qualche brano, tratto da «Acqualadrone». Silvio Perrella e Caterina Pastura tra una lettura e l’altra parleranno dei libri e degli autori, ma anche del mare e di quell’ispirazione che accomuna due sponde apparentemente lontane nell’immaginario e negli alfabeti, ma che trovano comunque il modo di intendersi.

L’evento si inserisce all’interno della manifestazione Horcynus Fest invernale, un festival artistico che si svolge dal 14 al 31 dicembre presso il Teatro Siracusa di Reggio Calabria e Il Borgo di Chianalea a Scilla.

giovedì 12 dicembre 2013

Editoriaraba - L’anima nera e disillusa dell’Egitto in “Polvere di diamante” di Ahmed Mourad

Questa recensione è apparsa domenica su Osservatorio Iraq – Nord Africa e Medio Oriente.

Nelle notti della città che non dorme mai, Il Cairo, c’è chi invece di dormire cova sogni di vendetta, chi nasconde le proprie debolezze all’interno di camere buie, chi delinque protetto dal favore delle tenebre. Sono le notti di una città agitata, cullata solo dallo sciabordio delle acque del Nilo, in cui è ambientato il secondo romanzo di Ahmed Mourad, Polvere di diamante. Una città che, come l’Egitto, secondo Mourad perse l’innocenza nel 1954, quando il presidente Neguib venne deposto da Gamal Abd al-Nasser: il “peccato originale” da cui prendono avvio tanto la storia contemporanea dell’Egitto quanto la storia narrata in Polvere di diamante.

Come il precedente e fortunato Vertigo (Marsilio, 2012), anche Polvere di diamante è un thriller – giallo dall’animo pop ambientato al Cairo. Al contrario del primo però, in cui i buoni alla fine trionfavano, la trama di Polvere di diamante è molto più scura, decadente e sanguinosa ed è infarcita di lugubri becchini, corvi neri, cimiteri, poliziotti corrotti e politici avidi.

Il plot segue la vita di Taha Hussein al-Zahhar, giovane farmacista che proviene da una modesta famiglia di quella media borghesia strangolata dal regime di Mubarak. Taha vive in un umile appartamento nel quartiere di Doqqi insieme a suo padre Hussein, un ex insegnante di storia, la cui esistenza era stata stroncata a fine anni ’90 dall’ “affare Al-Rayan” che si era portato via tutti i suoi risparmi (e quelli di buona parte della media borghesia egiziana). 

Per il dolore, Hussein era rimasto paralizzato ed era stato abbandonato dalla moglie: costretto a vivere su una sedia a rotelle e a guardare il mondo dalla finestra della sua camera, Hussein sopravvive covando rancore e propositi di vendetta verso un Paese che lo ha deluso e contro coloro i quali, secondo lui, hanno trascinato l’Egitto in una sorta di inferno dantesco fatto di corrotti, pervertiti e ladri.

L’unica convinzione che lo fa andare avanti è la massima secondo la quale “a volte siamo costretti a commettere piccoli errori per correggere errori più grandi” e una piccola boccetta di vetro contenente una polvere bianca impalpabile, la misteriosa e micidiale “polvere di diamante” del titolo.

Taha sarà coinvolto, suo malgrado, nella spirale di assassinii e vendette in cui è immerso il padre, diventando il simbolo della perdita dell’innocenza dell’Egitto, i cui peccati possono essere espiati solo a danno di tutta la comunità, dove nessuno è salvo perchè mai del tutto innocente.

Polvere di diamante si legge a rilento fino a quando, verso la metà del libro, il lettore apprende, stupefatto e sconvolto, l’inversione di rotta che Mourad fa compiere a Taha. Da allora, il romanzo segue le incredibili vicende di Taha in un crescendo di colpi di scena fatto di morti, veleni e ricatti che conduce il lettore ad un finale degno di un vero giallista. Un finale che, tuttavia, lascia un po’ l’amaro in bocca.

Editoriaraba - Khaled Khalifa vince la medaglia Nagib Mahfouz per la Letteratura 2013

Lo scrittore siriano, noto in Italia per il suo romanzo Elogio dell’odio, ha oggi vinto il premio letterario annuale che porta il nome del grande scrittore egiziano, Premio Nobel nel 1988.
Khaled Khalifa, che non ha potuto essere presente oggi alla cerimonia di premiazione, ha vinto il premio per il suo ultimo romanzo Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, pubblicato quest’anno dalla casa editrice egiziana Dar al-Ain.

Il romanzo racconta del prezzo pagato dai siriani sotto il regime del partito baathista: è “un’indagine approfondita nei meccanismi della paura e della disintegrazione, la cui trama si svolge nell’arco di circa 50 anni. È un romanzo su una società che ha vissuto tra la violenza e la repressione dei propri desideri […], sulle difficoltà della vita e sul suo significato più profondo in cui l’autore scrive di tutto ciò che del mondo arabo, e della Siria, era stato taciuto” (dalla casa editrice).

A ritirare il premio in sua vece è stato il giornalista e scrittore Sayed Mahmoud che ha letto il discorso scritto dal vincitore, in cui Khalifa ha voluto parlare della scrittura tra le atrocità e la morte nella sua Siria. Siria, che, lo ricordo, Khalifa non ha mai lasciato, neanche dopo essere stato vittima di una brutale aggressione.

Il premio, la cui cerimonia di assegnazione si tiene ogni anno l’11 dicembre, giorno in cui è nato Nagib Mahfouz, è stato assegnato da un panel di giudici. A decidere che Khalifa quest’anno vincesse il premio sono stati: Tahia Abdel Nasser, docente presso l’AUC nonché nipote del Presidente Gamal Abdel Nasser; Shereen Abouelnaga, docente di inglese alla Cairo University; Mona Tolba, docente di letteratura araba alla Ain Shams University; Hussein Hammouda, professore associato alla AUC; e Abdo Wazen, poeta libanese nonché redattore per la sezione letteratura presso il quotidiano libanese Al-Hayat.

mercoledì 11 dicembre 2013

Editoriaraba - “Alzati Egitto!”

Chiara Comito ammette, non le piace scrivere degli articoli commemorativi che ricordano la vita e le opere di scrittori o intellettuali scomparsi. Ma oggi un'eccezione per Ahmed Fouad Negm, l’ottantaquattrenne poeta egiziano, morto la settimana scorsa.

"Non ne sapevo molto, scrive: avevo letto su di lui qualche articolo o post sparso qui e là nei mesi scorsi ma non avevo approfondito. Poi un’amica mi ha scritto chiedendomi di scrivere un post “per ricordarlo” e allora mi sono messa a raccogliere del materiale.

Molti siti in italiano hanno riportato la notizia della sua morte e hanno parlato dell’importanza della sua voce “ribelle e dissidente”, che aveva ispirato i ragazzi di piazza Tahrir e tanti altri prima di lui. Alcuni avevano ricordato la sua infanzia e gioventù difficili, tra povertà ed emarginazione sociale (aveva 16 fratelli, crebbe in orfanotrofio e finì in carcere da giovane per falsificazione di documenti), e soprattutto i 18 anni passati in carcere sotto i tre presidenti egiziani Nasser, Sadat e Mubarak, contro i quali le sue poesie di critica tagliente ed incisiva erano dirette. Altri avevano condiviso i video su Youtube in cui il poeta declamava i suoi versi accompagnato dalla musica di Sheikh Imam, con cui formò un sodalizio artistico e di amicizia durato un ventennio.

Eppure mi mancava qualcosa: le parole del poeta in italiano. Mi sono messa nei panni di un lettore italiano che non conosce il dialetto egiziano (la lingua in cui ‘amm Ahmed ha composto le sue poesie) o l’inglese, e che poteva aver sentito della scomparsa di Ahmed Fouad Negm, poeta del popolo, dei ribelli e dei poveri.

Cosa poteva capire del poeta non potendo leggere le sue poesie? 

Qualcuno in italiano lo ha tradotto (ovviamente in inglese si trova molto di più, compreso questo testo Ahmed Fouad Negm. Egypt’s Revolutionary Poet. English-Arabic Translation).

Un grazie in particolare va a Laura Iudiciani che aveva già tradotto le poesie di AFN per la sua tesi di laurea specialistica e che le ha messe a disposizione per i lettori del blog.

Qui sotto trovate, “Quando il sole affoga”, “Chi sono loro e noi chi siamo?”, poesia scritta nel 1977 ma che sembra attualissima, e “Alzati Egitto!”.

Quando il sole affoga” (titolo originale: اذا الشمس غرقت)
Quando il sole affoga
in un mare di foschia
Quando l’onda della notte
invade il mondo
Quando la vista si spegne
negli occhi e nei cuori
Quando il tuo cammino
si perde in un labirinto
Tu che erri in cerca di capire
non avrai altra guida
che gli occhi delle parole.
(traduzione di Tahar Lamri; testo in arabo-ingleseJ)

Chi sono loro e noi chi siamo?” (titolo originale: هما مين و احنا مين)
Chi sono loro e noi chi siamo
Loro i principi e i sultani
Loro il denaro con il potere.
Noi i poveri governati.
Indovina, scervella il tuo cervello
Chi tra noi governa chi?
Noi chi siamo e loro chi?
Noi i muratori, i costruttori,
l’atto consigliato e obbligatorio,
siamo la gente
in lungo e in largo.
Dal nostro vigore sta la terra,
il nostro sudore rende verdi i giardini.
Indovina, scervella il tuo cervello
Chi tra noi
Serve chi?
Chi sono loro e noi chi siamo?
Loro i principi e i sultani,
loro la villa e la macchina
e le donne di prima classe,
animali consumistici,
il loro impegno è riempirsi lo stomaco.
Indovina, scervella il tuo cervello
Chi tra noi mangia chi?
Noi chi siamo e loro chi?
Loro i principi e i sultani,
le parate musicali,
i cortei e le magagne politiche,
e i loro cervelli sono gomma da cancellare
ma han la grazia nelle medaglie.
Indovina, scervella il tuo cervello
Chi tra noi
Inganna chi?
Chi sono loro e noi chi siamo?
Loro i principi, i sultani,
vestono alla moda,
invece noi viviamo in sette in una stanza,
loro mangian polli e piccioni
noi fave
che c’ha stancati e s’è stancata di noi,
loro vanno con gli aerei,
noi muoriamo
sugli autobus,
la loro vita è fucsia.
Loro di una specie e noi di un’altra.
Ambarapacicicocò oh signor coccorocò
È a te che rivolgo questo canto
Quando il popolo si rialza e chiama!
Indovina, scervella il tuo cervello
Chi tra noi sopraffarrà chi?
- Alessandria d’Egitto, 1977 -
(traduzione di Laura Iudiciani; testo in arabo-inglesequi)

Alzati Egitto!” (titolo originale: يا مصر قومي)
Alzati Egitto, tieni duro
ho tutto quello che speri
né l’oppressione, né la notte mi sottomette
oddio oddio signore biram
teniamo in alto la fronte, libera e orgogliosa
le mani sono pronte al loro dovere
ci manca un muezzin e un califfo
e la luce è tra il cielo e la terra
Egitto, torna ad essere quello di un tempo
chiamato dalle università e da Helwan
Egitto, torna ad essere quello di un tempo,
a ribellarti ai nemici e ad essere testarda
Alzati Egitto, tieni duro
ho tutto quello che speri
né l’oppressione, né la notte mi sottomette
oddio oddio signore biram il sangue scorre nell’acqua del Nilo
e il Nilo si affaccia sulla mia prigione
e la prigione germoglia grano e lino
e saremo affamati, spogliati e costruiremo
Egitto, siamo ancora numerosi non aver paura della forza degli altri
Egitto, i nostri cuori sono colmi di bene e i nostri sogni di rose bagnate di rugiada
Alzati Egitto, tieni duro
ho tutto quello che speri
né l’oppressione, né la notte mi sottomette
oddio oddio signore biram
Buongiorno, giardino
buongiorno a chi ti ha dissetato
Oh (terra) fertile dalle piante delle nostre mani
dal mare ho bevuto il tuo amore
ho bevuto dal bicchiere del mio amore
e del Nilo nero nubiano mi sono innamorato
e vi ho lavato il mio corpo e i miei vestiti
e ho scritto il suo nome sulla pancia.
(traduzione di Laura Iudiciani)

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Poi, potete anche leggere:
Addio “Ahmed”, poeta di piazza Tahrir (di Francesca Paci su La Stampa)
La stella di Ahmed Fouad, sopra il Moqattam (di Paola Caridi su Invisiblearabs)
Ahmed Fouad Negm: Writing a Revolution (il documentario di al-Jazeera)
Poesie con testo a fronte arabo-inglese sul blog “revolutionaryarabicpoetry

lunedì 9 dicembre 2013

Editoriaraba - A Macerata un seminario su modernità araba e romanzo

Dall’11 al 13 dicembre l’Università di Macerata ospita il seminario La modernità araba e la cultura del romanzo. Per una lettura di insieme, organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici.

Durante i tre giorni si susseguiranno incontri e presentazioni sui temi del romanzo arabo, traduzione, narrazioni al femminile e altro ancora, a cura di ricercatori e docenti italiani e internazionali.

Tra le presentazioni, si segnala quelle dei libri La fantascienza nella letteratura araba (Carocci 2013) e Modernità arabe. Nazione, narrazione e nuovi soggetti nel romanzo egiziano (Mesogea 2013).

Per informazioni: mariaelena.paniconi@unimc.

Il programma su Editoriaraba scaricabile. 

domenica 8 dicembre 2013

Editoriaraba - Al via la 57° Fiera internazionale del libro arabo di Beirut (nonostante tutto)

Alla Fiera del libro di Roma oggi alle 19 ci sarà la presentazione del libro di una scrittrice palestinese.

Dall'altra parte del Mediterraneo c'è la Fiera di Beirut

Venerdì è stata inaugurata la Fiera internazionale del libro arabo di Beirut, che quest’anno festeggia 57 anni. Organizzata dal “Club culturale arabo” in collaborazione con l’Unione degli editori libanesi presso il centro BIEL di Beirut, la fiera resterà aperta per 14 giorni. Vi partecipano 200 editori libanesi e 60 editori dei paesi arabi, tra cui: Arabia Saudita, Kuwait, Oman e Libia. La Spagna è l’ospite d’onore quest’anno.

Sarà invece assente la Siria, che sarà rappresentata però dallo scrittore Khaled Khalifa, autore del romanzo Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città.

Il programma culturale prevede 150 presentazioni di libri tra cui si segnala: la presentazione dei nuovi libri di Dar al-Adab: Dietro le porte chiuse, di Samah Idriss (caporedattore della rivista letteraria della casa editrice), un romanzo per adolescenti.

La storia di Safiya, della scrittrice del Kuwait Leila al-Othman; di Dar al-Saqi: Io, sottoscritta, di Eva Marsheliaan, che racconta della sua amicizia con Mahmoud Darwish; Superman è arabo di Joumana Haddad, che è stato tradotto in arabo e i nuovi libri di Jabbour Douaihy  e Abbas Beydoun.

Arab Scientific Publishers, che oltre a continuare sul filone della saggistica, presenta anche delle raccolte di poesie, come  Il divertimento più grande di Assaad Thebian, blogger e giornalista libanese, e libri per bambini.

Tra le attività culturali a margine del salone, si segnala il tributo al regista teatrale libanese Yaqoub Shedrawi, serate deadicate a reading di poesie, un panel sull’identità araba all’estero in onore di Amin Maalouf e un seminario sulla figura della donna palestinese nel cinema arabo.

La Fiera del libro di Beirut naturalmente non può dimenticare quanto succede nella vicina Siria: per Narmine Khansa, direttrice dell’organizzazione, continuare ad organizzare eventi di questo tipo, nonostante le difficoltà “con cui siamo costretti a confrontarci” è molto importante. Khansa ha anche affermato che la cultura è “l’unico modo che permette a culture e società diverse di incontrarsi e comunicare tra loro”.

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La Fiera non ha un account Facebook/twitter né un sito web ma se volete leggere qualcosa in più ecco le fonti di Editoriaraba:
Publishers, organizers seek variety , su The Daily Star Lebanon (inglese)
Al via la 57 edizione della Fiera internazionale del Libro di Beirut senza la Siria, su Middle East panorama (in arabo)
C’è una fiera del libro in questa città, su al-Modon online (in arabo)
Sulla Fiera di Beirut dello scorso anno avevo scritto invece questo post: 56° Fiera del libro di Beirut: romanzi, e-book e primavera araba.
Infine, il programma intero della fiera giorno per giorno (in arabo) lo potete scaricare da Editoriaraba

giovedì 5 dicembre 2013

Editoriaraba - Ibrahim Nasrallah: “Lo scrittore deve guarire, non vendere sogni”

Lo scrittore e poeta palestinese è stato ospite dell’Università di Napoli L’Orientale qualche giorno fa come già  anticipato. Annamaria Bianco era lì tra gli studenti e ne ha scritto per editoriaraba.

di Annamaria Bianco

Dopo un’assenza durata dieci anni, Ibrahim Nasrallah è tornato a Napoli e giovedì 28 novembre ha incontrato gli studenti dell’Università “L’Orientale” con i quali ha discusso, su invito di Husein Ahmad, di adab al-muqawama, letteratura della resistenza, e della funzione e del ruolo dell’arte oggi.

Personaggio eclettico, al quale “manca solo di diventare astronauta per essere perfetto” secondo Omar Suleiman, membro della Comunità Palestinese di Napoli che l’ha presentato al pubblico, Nasrallah considera centrale per il mondo arabo la storia del suo popolo e ha rimesso in discussione ogni teoria sulla letteratura contemporanea, posticipando la Nahda – la rinascita araba – al 1948, anno della fondazione dello Stato di Israele e dell’inizio della Nakba per i palestinesi.

È grazie al lavoro di chi è rimasto in Palestina in quell’anno fatidico, come Mahmud Darwish, Tawfiq Ziyad ed Emile Habibi, che la produzione letteraria locale si è rinnovata, svolgendo un ruolo d’avanguardia per il resto dei paesi arabi, secondo Nasrallah, il quale ha ricordato come il suo paese d’origine, da sempre crocevia di culture, sia stato il luogo dove è stata eseguita la prima traduzione di Dante in arabo.

Gli abitanti della Palestina storica, che potevano contare su un’antica e radicata tradizione popolare, sono stati esposti prima di altri al contatto con la “modernità”, confrontandosi con il bagaglio culturale portato con sé dagli ebrei che da tutta Europa, soprattutto quella orientale, venivano ad insediarsi sui loro territori.

Dopo la Nakba, tutto è cambiato: questo background è stato rivisitato e la poesia ha svolto un ruolo fondamentale, incitando al risveglio delle coscienze popolari, attraverso un rinnovamento esplosivo del linguaggio e delle forme letterarie, come l’abbandono della qasi.

Sono proprio le storie dei singoli quelle che Nasrallah rievoca nelle sue opere, in buona parte autobiografiche. In questo senso, il rapporto fra “luogo” e “produzione” appare molto stretto, laddove emerge anche il triste aspetto della scrittura dell’esilio con i Palestinesi dei campi profughi, dove egli stesso è cresciuto, in Giordania, per poi spostarsi e viaggiare ancora; ininterrottamente, generando romanzi necessariamente diversi, in condizioni diverse.

Il suo intento, che percorre tutta la sua produzione artistica come un fil rouge, è quello di riscrivere la storia dei palestinesi, per impedire che “i figli dimentichino ciò che i loro vecchi non hanno trasmesso”: in sette racconti ha provato perciò a riassumere gli ultimi 250 anni di storia ed è lieto che la percentuale maggiore dei suoi lettori sia giovane, perché è per lui la conferma che sta andando nella direzione giusta, così come per le continue ristampe delle sue opere.

“Col tempo dimostreremo che i nostri vecchi non sono morti e che i nostri giovani non hanno dimenticato“, ha affermato fiducioso.

La letteratura è per lui una sfida, del resto: un mezzo attraverso il quale si è battuto anche per i diritti delle donne e contro la guerra, che gli è quasi costato il carcere nel 2008, per la lucida sincerità con cui ha descritto l’intero mondo arabo nella serie delle Shurufat.

Io sono convinto che non puoi scrivere con la metà del tuo cuore o la metà del tuo coraggio, ma devi impegnare tutto il tuo cuore e tutto il tuo coraggio. La scrittura non è un’operazione chirurgica di bellezza; una ferita abbellita prima o poi può ancora uccidere. Il ruolo dello scrittore è quello di guarire, non di vendere sogni.

Su Editoriaraba il video che segue Ibrahim Nasrallah nella conferenza e poi a Verona durante la giornata di solidarietà internazionale al popolo palestinese. È accanto a Wasim Dahmash, che lo traduce in italiano.

Editoriaraba - Nagib Mahfuz “blogging day”!

La pagina Facebook ufficiale della Fiera del Libro del Cairo, in occasione della ricorrenza del compleanno di Nagib Mahfuz (l’11 dicembre), lancia un“blogging day“ aperto a chiunque voglia condividere pensieri, ricordi o riflessioni sul grande scrittore egiziano.

Per partecipare si possono inviare i propri commenti sul blog, viaFacebook/Twitter @editoriaraba, o per email. I segnali di fumo non sono ammessi questa volta! – e saranno pubblicati sul blog l’11 dicembre!

Venerdì 6 dicembre, Presentazione del 47° Rapporto annuale CENSIS sulla situazione sociale del Paese




Sede CNEL
Viale David Lubin 2 - Roma
ore 10.00

martedì 3 dicembre 2013

Editoriaraba - “Ya Salam!”: la pace è uno sporco affare

Ya Salam, Santa pace.

Si vis pacem para bellum, dicevano gli antichi. E se la pace non fosse quello che ci si aspettava? Se la parola pace non fosse sinonimo di umanità ritrovata, ma di continua disumanizzazione? E se la pace fosse popolata da spettri, fantasmi e relitti umani, continueremmo comunque a chiamarla pace?

Ya Salam! di Najwa Barakat è uno dei romanzi sulla guerra civile libanese più anticonvenzionali che mi sia capitato di leggere fino ad ora: surreale, ironico, crudo e amaro, in alcune parti quasi disgustoso da leggere.

Come molti romanzi sulla guerra civile che ha insanguinato il Libano dal 1975 al 1990-91, è ambientato nella capitale, Beirut. La Beirut dei romanzi di Elias Khoury e Hoda Barakat, due scrittori libanesi con cui Najwa Barakat, nata a Beirut nel 1966, ha molto in comune.

La Beirut del romanzo è una città trasfigurata dopo la guerra: è un territorio popolato da affaristi, prostitute, immigrati, ex guerriglieri disperati, donne allo sbando, fantasmi degli uomini e delle donne di un tempo. Beirut è un palcoscenico dell’assurdo, una città allucinata e sudaticcia che prova a rinascere dopo 15 anni di guerra dimenticando il suo passato e che permette ai nuovi ricchi, i suoi nuovi padroni, di ricostruirla ex novo sotterrando le rovine su cui la città era stata costruita in passato.

Una città da cui fuggono anche i figli dei migranti che l’avevano abbandonata in tempo di guerra e che erano tornati a guerra finita, nella speranza di dare una mano per ricostruirla: Perché mio padre è nato qui? Che ci sono venuta a fare io in questo paese? Si chiede Chirine, una giovane architetto libanese francesizzata.

In questo cimitero di anime alla deriva si muove il giovane Luqman, un ex miliziano che si era fatto un nome e una reputazione durante la guerra e che ora sbarca il lunario arraggiandosi alla buona. A Luqman manca la guerra, gli manca quello che era prima, quando il suo nome faceva tremare i suoi nemici:

Ti ricordi? Quelli sì erano bei tempi. Trafficavi con i tuoi detonatori e gli acquirenti arrivavano in massa. Domanda e offerta.

A Luqman, per quanto assurdo possa sembrare, manca la guerra e di questa pace lui, crudele e spietato assassino, non sa che farsene.

Non si riconosce in questo Paese pacificato, né vi si riconosce Salam, la fidanzata dell’Albino, un torturatore amico di Luqman, che le aveva promesso di sposarla ma che era morto poco prima di impalmarla, lasciandola nel limbo umiliante della donna nubile e vergine. La guerra le ha tolto il fidanzato e la pace le ha restituito l’amara realtà della zitella in là con gli anni che nessuno vuole e che nessuno rispetta.

La guerra manca anche a Najib, ex cecchino da poco uscito dall’ospedale psichiatrico, con cui Salam e Luqman mettono su un’impresa commerciale a Beirut con l’idea di arricchirsi. E i ratti, di cui Beirut è infestata, sono l’incubo dei beirutini. L’impresa di derattizzazione a cui i tre si dedicano è la “molla” narrativa che darà il via ad una serie di eventi catastrofici, descritti dalla penna lucida di Barakat con ironia e profonda amarezza.

Non ci sono vincitori in Ya Salam!: Luqman, Salam, Salim, Najib, l’Albino e Lorisse, i personaggi del romanzo, sono dei perdenti, che di volta in volta diventano carnefice e vittima. Tutti cercano una via di fuga dal presente e un riscatto dal proprio vergognoso passato. Ma la realtà è più sordida, marcia, puzzolente e cruda che mai.

Barakat non risparmia nulla ai suoi lettori, non addolcisce la pillola. Nelle 167 pagine di cui questo breve romanzo è composto, leggiamo di vermi, follia, sangue, percosse, vomito, incesto, veleni e peste. E tutto questo avviene in tempo di pace. Sì, decisamente questa non è la pace che ci si aspetterebbe in tempo di pace.

Non ci sono vittime in questo romanzo, ma forse non è del tutto esatto: la vittima è l’essere umano che ha perso la propria umanità nei quindici anni della guerra civile libanese e che fatica a ritrovarla, a guerra finita.

Ya Salam, Santa pace.

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Ya Salam!, di Najwa Barakat (edizione originale pubblicata da Dar al-Adab, Beirut). Traduzione dall’arabo di Stefania Lo Sardo. Epoché, 2007; pp. 167, 
€ 13,50

lunedì 2 dicembre 2013

Editoriaraba - “Leggere” la Siria da un altro punto di vista. A Bari il reading del poeta curdo siriano Golan Haji

Lo scorso venerdì a Bari si è svolto l’evento “Narrazioni libere. Dalla Siria all’Italia il futuro è commons”. Un’occasione per la città pugliese di ascoltare le parole del poeta curdo siriano Golan Haji e riflettere su una Siria “altra”, rispetto a quella proposta dai media mainstream recentemente. Silvia Moresi ha partecipato all’evento e ne ha scritto per il blog.

di Silvia Moresi

La vita culturale per gli arabisti (o per chiunque sia appassionato di letteratura e mondo arabo) a Bari non è mai stata semplice. I rari eventi proposti in città spesso non sono riusciti ad andare oltre gli standard letterari della solita “editoria commerciale”, quella che, per intenderci, mette sempre in copertina donne velate o strizza l’occhio ad un certo orientalismo. 

Narrazioni libere, questo il titolo scelto per l’evento, si è svolto il 29 novembre nel nuovissimo spazio-eventi del comune di Bari, l’Officina degli esordi, ed è stato organizzato dall’associazione Mena – Mille eventi nell’aria (che già da qualche anno propone a Lecce il festival del cinema arabo Yalla Shebab) con la collaborazione delle associazioni Kenda e Ciss.

La manifestazione, iniziata con il workshop tenuto da Andrea Verardi e Reda Zine sui “segreti” del Creative Commons, è proseguita, in serata, con la presentazione della raccolta di poesie L’autunno, qui, è magico e immenso dello scrittore curdo-siriano Golan Haji (attualmente in esilio in Francia), edita dalla casa editrice Il Sirente. E’ stato lo stesso autore, presente all’evento, a dar il via in arabo al reading delle sue poesie; altri versi sono stati poi letti in italiano dall’attrice (e docente di arabo) Fatima Sai accompagnata dal perfetto “tappeto” musicale a cura di Beirut World Beat.

L’autunno, qui, è magico e immenso raccoglie le poesie scritte dal poeta negli ultimi due anni, ed è il primo dei suoi libri ad essere pubblicato in Italia. I versi, tradotti in italiano da Patrizia Zanelli, grazie all’ottima scelta della casa editrice, sono presenti nel libro anche in arabo con testo a fronte. Con metafore e paradossi Golan Haji descrive le violenze e gli orrori di una guerra diventata ormai la normalità in Siria, ma anche quella “condizione di trasparenza” fatta di abbandoni, paure e solitudine vissuta da lui in prima persona e comune ai tanti migranti ed esiliati che vivono nelle città europee.

Questo appuntamento, oltre ad avere il merito di aver proposto letteratura araba di qualità, ha dato la possibilità di parlare della Siria da un altro punto di vista. Lo stesso autore, infatti, rispondendo a qualche domanda al termine del reading, ha affermato che ciò che viene raccontato (se qualcosa viene raccontato) sulla situazione siriana dai media europei è quasi sempre parziale o alquanto approssimativo.

Il pensiero va immediatamente a chi, in Italia, ha di recente definito la Siria come “il paese del male” proponendo una lettura più che semplicistica di una situazione che è, al contrario, enormemente complessa dal punto di vista etnico, religioso, politico e geografico. Narrazioni superficiali e generiche, condite da slogan e stereotipata retorica, oltre ad essere estremamente pericolose sono, inoltre, a mio parere, l’esatto contrario dei concetti espressi dalle parole informazione e cultura.

A questo proposito, di grande importanza è il lavoro fatto proprio dalla casa editrice “il Sirente” con la collana altriarabi (in cui è inserita la raccolta poetica) che propone una letteratura in cui autori e personaggi sono arabi altri, appunto, diversi da quelli presentati dai media occidentali, finalmente liberi da caricature e cliché.

Segnalo, inoltre, che al termine della serata è stata inaugurata la mostra Focus on Syria che racconta, attraverso settanta fotografie e alcuni pannelli informativi, le condizioni dei profughi siriani che vivono nei campi in Libano e Giordania. La mostra rimarrà in esposizione presso l’Officina degli esordi fino all’8 dicembre.

Mostra di Oreste Baldini: Mediterraneum - Mercati di Traiano (Roma)

Domenica, 01 Dicembre 2013     Ilaria Guidantoni

Un lavoro originale anche nell’allestimento, la metafora di un itinerario mediterraneo intorno alla figura del pesce, simbolo di vita e abbondanza sotto varie declinazioni, unendo elementi della ceramica, mosaico, complementi d’arredo, disegno e anche la dimensione sensoriale dell’olfatto e dell’ascolto. Una piccola mostra per raccontare una metafora con lavori di pregio, che si raccontano con garbo e semplicità.

Sculture, dipinti, disegni, grandi mosaici raccontano il percorso artistico di Oreste Baldini intorno all'icona del ‘pesce’, simbolo di vita, abbondanza e rinascita. Lungo la Via Biberatica ai Mercati di Traiano, un’esperienza sin estetica, dove le opere sono accompagnate da musiche e fragranze tipiche del Mediterraneo, a rispecchiare l'aspetto poliedrico dell'artista, scultore, pittore e scenografo ma anche attore e doppiatore.

La recensione integrale su Saltinaria.it

Matera, 29 novembre 2013 Rassegna Multiculturale "Insieme per leggere e ascoltare" con Sandro Petrone, Inviato TG2



domenica 1 dicembre 2013

Editoriaraba - Tahar Ben Jelloun alla Fiera della piccola e media editoria di Roma

Lo scrittore marocchino francofono è uno dei pochi ospiti internazionali della fiera romana dedicata alla piccola e media editoria, che si terrà al Palazzo dei Congressi (EUR) dal 5 all’8 dicembre.

Tahar Ben Jelloun interverrà in due occasioni il 5 dicembre:

ore 15 @ Sala Smeraldo

La Lista Goncourt: la scelta dell’Italia

Quest’anno per la prima volta, l’Institut français Italia consegna il suo premio letterario, in collaborazione con l’Académie Goncourt francese e Più libri più liberi.
Una giuria composta da 60 liceali di sezioni bilingue Esabac ha scelto il vincitore tra le 15 opere della prima selezione del Premio Goncourt. 
Intervengono tre membri dell’Académie Goncourt: Pierre Assouline,Tahar Ben Jelloun e Paule Constant, l’Ambasciatore di Francia in Italia Alain Le Roy, Lorenzo Amurri, Tullio De Mauro e il vincitore.

Ore 16 @ Sala Smeraldo

Leggere come scelta di libertà

Bruno Manfellotto intervista Tahar Ben Jelloun

Evento a cura di Più libri più liberi in collaborazione con Institut français d’Italie / Ambassade de France en Italie.