giovedì 5 dicembre 2013

Editoriaraba - Ibrahim Nasrallah: “Lo scrittore deve guarire, non vendere sogni”

Lo scrittore e poeta palestinese è stato ospite dell’Università di Napoli L’Orientale qualche giorno fa come già  anticipato. Annamaria Bianco era lì tra gli studenti e ne ha scritto per editoriaraba.

di Annamaria Bianco

Dopo un’assenza durata dieci anni, Ibrahim Nasrallah è tornato a Napoli e giovedì 28 novembre ha incontrato gli studenti dell’Università “L’Orientale” con i quali ha discusso, su invito di Husein Ahmad, di adab al-muqawama, letteratura della resistenza, e della funzione e del ruolo dell’arte oggi.

Personaggio eclettico, al quale “manca solo di diventare astronauta per essere perfetto” secondo Omar Suleiman, membro della Comunità Palestinese di Napoli che l’ha presentato al pubblico, Nasrallah considera centrale per il mondo arabo la storia del suo popolo e ha rimesso in discussione ogni teoria sulla letteratura contemporanea, posticipando la Nahda – la rinascita araba – al 1948, anno della fondazione dello Stato di Israele e dell’inizio della Nakba per i palestinesi.

È grazie al lavoro di chi è rimasto in Palestina in quell’anno fatidico, come Mahmud Darwish, Tawfiq Ziyad ed Emile Habibi, che la produzione letteraria locale si è rinnovata, svolgendo un ruolo d’avanguardia per il resto dei paesi arabi, secondo Nasrallah, il quale ha ricordato come il suo paese d’origine, da sempre crocevia di culture, sia stato il luogo dove è stata eseguita la prima traduzione di Dante in arabo.

Gli abitanti della Palestina storica, che potevano contare su un’antica e radicata tradizione popolare, sono stati esposti prima di altri al contatto con la “modernità”, confrontandosi con il bagaglio culturale portato con sé dagli ebrei che da tutta Europa, soprattutto quella orientale, venivano ad insediarsi sui loro territori.

Dopo la Nakba, tutto è cambiato: questo background è stato rivisitato e la poesia ha svolto un ruolo fondamentale, incitando al risveglio delle coscienze popolari, attraverso un rinnovamento esplosivo del linguaggio e delle forme letterarie, come l’abbandono della qasi.

Sono proprio le storie dei singoli quelle che Nasrallah rievoca nelle sue opere, in buona parte autobiografiche. In questo senso, il rapporto fra “luogo” e “produzione” appare molto stretto, laddove emerge anche il triste aspetto della scrittura dell’esilio con i Palestinesi dei campi profughi, dove egli stesso è cresciuto, in Giordania, per poi spostarsi e viaggiare ancora; ininterrottamente, generando romanzi necessariamente diversi, in condizioni diverse.

Il suo intento, che percorre tutta la sua produzione artistica come un fil rouge, è quello di riscrivere la storia dei palestinesi, per impedire che “i figli dimentichino ciò che i loro vecchi non hanno trasmesso”: in sette racconti ha provato perciò a riassumere gli ultimi 250 anni di storia ed è lieto che la percentuale maggiore dei suoi lettori sia giovane, perché è per lui la conferma che sta andando nella direzione giusta, così come per le continue ristampe delle sue opere.

“Col tempo dimostreremo che i nostri vecchi non sono morti e che i nostri giovani non hanno dimenticato“, ha affermato fiducioso.

La letteratura è per lui una sfida, del resto: un mezzo attraverso il quale si è battuto anche per i diritti delle donne e contro la guerra, che gli è quasi costato il carcere nel 2008, per la lucida sincerità con cui ha descritto l’intero mondo arabo nella serie delle Shurufat.

Io sono convinto che non puoi scrivere con la metà del tuo cuore o la metà del tuo coraggio, ma devi impegnare tutto il tuo cuore e tutto il tuo coraggio. La scrittura non è un’operazione chirurgica di bellezza; una ferita abbellita prima o poi può ancora uccidere. Il ruolo dello scrittore è quello di guarire, non di vendere sogni.

Su Editoriaraba il video che segue Ibrahim Nasrallah nella conferenza e poi a Verona durante la giornata di solidarietà internazionale al popolo palestinese. È accanto a Wasim Dahmash, che lo traduce in italiano.

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