mercoledì 27 febbraio 2013

Da Editoriaraba - Incontro a Roma con lo scrittore egiziano Ezzat El Qamhawi


L’Università “Sapienza” di Roma, giovedì 28 febbraio ospita la conferenza dello scrittore e giornalista egiziano Ezzat El Qamhawi (o anche Izzat, o anche al/el-Kamhawi). L’evento sarà introdotto dalla professoressa Isabella Camera d’Afflitto e dal professor Hussein Mahmoud, italianista dell’Università Helwan del Cairo. 

El-Qamhawi è nato nel 1961, originario del Governatorato di Sharqiya. Laureato in giornalismo nel 1983 all’Università del Cairo, ha scritto per al "Akhbar", "al-Masry al-Youm" e "al-Quds al-Arabi". Dal 2011 vive in Qatar dove è capo redattore della rivista "al-Doha"; è uno degli autori più rappresentativi della moderna classe intellettuale egiziana (negli ultimi anni è stato anche intervistato o citato spesso dai giornalisti italiani che si occupano di politica del mondo arabo).
Autore di sei romanzi (il primo, "Madinat al-Ladhdhah" – La città del piacere – pubblicato nel 1997) e di due raccolte di racconti, "El-Qamhawi" lo scorso dicembre 2012 ha ricevuto la medaglia Naguib Mahfouz per la letteratura per il suo ultimo romanzo, "Bayt al-Dib" (La casa dei Dib), pubblicato nel 2010 dalla casa editrice libanese Dar al Adab. 
Il prestigioso premio, nato nel 1996, ogni anno l’11 dicembre, data di nascita del Premio Nobel egiziano, viene assegnato al miglior romanzo contemporaneo scritto in arabo e non ancora pubblicato in inglese. Oltre alla medaglia e al premio in denaro infatti, il vincitore ottiene la traduzione dell’opera in inglese, che viene pubblicata dalla AUC Press. La traduzione del romanzo "La casa dei Dib" uscirà infatti entro il 2013. Finora el-Qamhawi non era mai stato tradotto in nessuna lingua.
"La casa dei Dib" è stato paragonato all’Odissea e ai romanzi di Mahfouz, “mentore” letterario di El Qamhawi: racconta la storia di quattro generazioni della famiglia Dib (meno letterariamente il romanzo è stato anche tradotto come La saga dei Dib), abitanti di un immaginario villaggio egiziano, le cui vite l’autore intreccia con i fili della storia egiziana, dalla spedizione napoleonica del XIX secolo alla più recente Guerra del Golfo. 
Per saperne di più sul libro, potete leggere la recensione/analisi che la traduttrice e arabista Isadora D’Aimmo ha scritto per la rivista di "Arablit".
Sempre su "Arablit", Ada Barbaro recensisce e analizza un altro romanzo dell’autore: "La vergogna tra le due sponde": schiavi dei tempi moderni sulle navi delle tenebre (Dar al-Ayn, 2011), uno “studio sull’immigrazione clandestina dall’Egitto verso la sponda Nord del Mediterraneo”.

lunedì 25 febbraio 2013

Da Editoriaraba - “Come fili di seta”, quando dal Libano arriva la grande letteratura internazionale (e una lezione di vita)


“Come fili di seta”, di Rabee Jaber, è stato pubblicato da Feltrinelli sul finire del 2011
Quando Marta Haddad lasciò il suo paesino di Btater, poche anime arroccate sul Monte Libano, per andare in America, era il 1913 e Marta aveva circa vent’anni. Prese navi, traghetti e treni, attraversò tre continenti, si ammalò e poi guarì, conobbe l’umanità colorata e avventurosa dei primi immigrati di Ellis Island, ebbe paura di essere scartata ai controlli, ma poi ce la fece e raggiunse New York. Cercava suo marito, la giovane Marta Haddad, orfana dei genitori, cresciuta dallo zio, che si era sposata giovanissima con suo cugino Khalil. Un amore intenso ma durato poco perché poi Khalil l’aveva abbandonata, di punto in bianco, per cercare fortuna negli Stati Uniti, il paese dei sogni, la nuova frontiera da scoprire per gli immigrati avventurieri di tutto il mondo. E con una decisione che aveva colto di sorpresa tutto il villaggio, la giovane Marta era partita da sola alla ricerca di Khalil, che non dava più segni di vita da oltre un anno, inghiottito dalle praterie americane, fagocitato dalle fabbriche della Ford, o chissà.
Arrivata a New York, Marta aveva fatto un’amara scoperta sul marito – che nel frattempo era diventato Joe Haddad – ma invece di buttarsi giù e tornare sconfitta a Btater, si era rimboccata le maniche, imparato un mestiere e l’inglese, e aveva cominciato una vita nuova. Tutta da sola.
Marta chi è? Questa donna con il viso tondo, gli occhi grandi, morbidi capelli neri e dita sottili che ti avviluppano il cuore come fili di seta; questa donna, questa Marta chi è? 
Proprio da questa frase è stato tratto il titolo italiano (forse un po’ stucchevole e fuorviante) del primo e finora unico libro tradotto in italiano dello scrittore libanese Rabee Jaber, che nell’originale arabo è Amrika, ovvero America. Perché è vero che "Come fili di seta" segue la vita di Marta Haddad dal 1913 al 1974, anno della sua morte, ma questo poderoso romanzo (poco più di 400 pagine) è anche un affresco corale sulla vita di quei tantissimi uomini e donne che dalle parti più sperdute del mondo, cominciarono ad affluire copiosi sull’isoletta di Ellis Island, dirimpettaia di New York, sin dalla fine del XIX secolo. Molti di loro provenivano da quelle province ottomane dello Sham di un Impero ormai in disfacimento, che oggi si chiamano Siria e Libano, in cerca di un lavoro che non fosse più solo quello di coltivare la terra o i bachi da seta nei proprio campi e giardini.
E il lavoro, all’epoca, per i nuovi immigrati, siriani, italiani o cinesi che fossero, poteva voler dire solo una cosa: fatica. E di fatica ne dovevano sopportare tantissima gli ambulanti, che giravano gli Stati Uniti con la Katia sulle spalle, un baule zeppo di articoli dei più svariati tipi da vendere alle casalinghe americane che abitavano nelle regioni più remote, talmente pesante che segnava le spalle e incideva cicatrici così profonde sulla pelle dei migranti che rimanevano per la vita.
Una delle immagini più suggestive che il romanzo ci consegna è proprio questa: una cartina immaginaria degli Stati Uniti, a dorso della quale gli ambulanti disegnavano percorsi dal Massachussets alla California, dal Nevada alla Georgia, passando per il Midwest. Ambulanti che zigzagavano incessanti come api operaie, sulla schiena la kasha, sulla bocca le notizie di cui venivano a conoscenza durante gli spostamenti, nel petto la voglia di farcela e aiutare i cari rimasti a casa (e anche quella, tutta umana e comprensibile, di tornare al paese come dei gran signori). E che davano senso e unità ad un Paese ancora da inventare.
Questa vita faticosa Marta l’aveva condotta per qualche tempo, incontrando sul suo cammino errante tantissimi siriani. Finché, stanca del tanto peregrinare, si era stabilita a Philadelphia e, aiutata da un vecchio amico siriano, aveva comincia a costruirsi una vita da commerciante e imprenditrice, aiutando i nuovi ambulanti che a frotte sbarcavano davanti la sua bottega di vestiti e stoffe. Il resto, è una storia da leggere tutta d’un fiato. 
È davvero difficile non immedesimarsi nella vita di questa eroina. Poche amicizie, ma di quelle che valgono, due grandi amori, entrambi di passaggio, il personaggio di Marta si staglia netto, in questa epopea siro-americana, e diventa un esempio da seguire per tutti. Silenziosa e di poche parole (le parti del libro in cui Jaber riporta frammenti di suoi discorsi diretti si contano sulle dita di una mano, il romanzo è spesso un lungo racconto indiretto), bellissima ed elegante, di lei Rabee Jaber ci consegna il ritratto di una donne incredibile, la cui vita ella ha saputo plasmare nonostante le difficoltà, le guerre e le tragedie della vita di tutti i giorni. Attorno, Jaber le tesse una trama fittissima e solida di personaggi più o meno secondari, le cui vicende sono spesso protagoniste dei tantissimi capitoletti (che non durano più di 3 pagine) che compongono il romanzo. Sono le storie dei tanti ambulanti e amici di Marta, storie tragicomiche dei primi migranti d’America.
Si cade, ma alla fine ci si rialza, sempre. 

L'autrice dell'articolo plaude alla traduzione a cura di Elisabetta Bartuli e Hamza Bahri, che "scivola senza intoppi grazie all’uso di un lessico ricercato ma di facile fruizione".
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Rabee Jaber è nato in Libano nel 1972. Finalista all’Arabic Booker del 2010 proprio con questo romanzo, vincitore nel 2012 con "I drusi di Belgrado"; semi-finalista quest’anno con "Gli uccelli dell’Holiday Inn", Jaber è uno degli autori contemporanei più prolifici del mondo arabo.

venerdì 22 febbraio 2013

Editoriaraba - Immagini, libri e luci dal Maghreb des livres 2013 di Parigi



Foto di Annamaria Bianco



La settimana prossima sul blog, il reportage di Annamaria sul salone ospitato nell'Hotel de la Ville di Parigi.


Chi non ci avesse seguito nelle puntate precedenti, può visitare il blog di Editoriaraba.

mercoledì 20 febbraio 2013

Editoriaraba - Il libro, strumento per diffondere la cultura


La storia di Jamila Hassoune, la libraia di Marrakesh

La libraia e scrittrice marocchina Jamila Hassoune, diventata ormai famosa come la libraia di Marrakesh, è stata ospite lo scorso sabato di un ciclo di incontri a Torino con studenti e lettori. Maria Paola Palladino, dell’Associazione di volontariato italo-algerina Jawhara di Torino, era lì. 

 di Maria Paola Palladino

Jamila Hassoune, ormai nota come la “libraia di Marrakesh” (dal suo omonimo libro-testimonianza edito da Mesogea nel 2012, sotto forma di breve autobiografia e di una lunga conversazione con la curatrice Santina Mobiglia), ha trascorso a Torino sabato 16 febbraio. Al mattino con una classe di studenti dell’Istituto “A. Avogadro”, poi presso la Liberia Borgopò e, infine, nel tardo pomeriggio, presso un’altra libreria, Il ponte sulla Dora, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Narrazioni delle donne. Voci, immagini, suoni” (iniziativa promossa dalla rivista Leggendaria – Libri Letture Linguaggi, in collaborazione con le Biblioteche civiche torinesi, l’Istituto Paralleli, Radio Flash e Radio Banda Larga), Jamila ha raccontato la sua esperienza – contenuta nel libro appena uscito – di libraia a Marrakesh, ma soprattutto quella in un paese come il suo, il Marocco, dove, in particolar modo nelle zone rurali, è difficile per la popolazione locale aver accesso al libro e, con esso, più in generale, alla cultura e all’istruzione.
In realtà, la “libraia di Marrakesch” è il risultato di un percorso più lungo, iniziato nel lontano 1994 quando da semplice libraia, Jamila si trasforma in una “libraia nomade” ideando con la sociologa e scrittrice, anch’essa marocchina, Fatema Mernissi, la Carovana Civica del Libro, al fine di diffondere la lettura ed organizzare contestualmente dibattiti e laboratori di vario genere nelle aree rurali del Marocco. La sua esperienza è stata già oggetto di racconto qualche anno fa nella pubblicazione "Come la pioggia. Donne marocchine" raccontano il loro impegno (Edizioni Una Città): in quest’occasione Jamila, insieme ad altre nove donne marocchine, impegnate in vari ambiti (sociale, giuridico, medico e culturale), spiega come il suo lavoro quotidiano per la diffusione del libro quale arma di potere, per le donne in modo particolare, sia fondamentale se si vuol cambiare il Marocco, a partire dalla mentalità della sua gente, anche, nel caso specifico della condizione della donna, alla luce dell’introduzione nel 2004 della Moudawana, il nuovo Codice della famiglia marocchino.
La voglia di diffondere il libro e la cultura laddove sono quasi inesistenti o “rari come la pioggia” ha radici molto profonde in Jamila: lo si intuisce subito, appena la si sente parlare di questa sua grande passione che l’ha condotta a portare fisicamente e direttamente i libri ai lettori. Per lei, primogenita di una famiglia numerosa e conservatrice, il libro ha sempre rappresentato una sorta di via di fuga, l’unico modo per “muoversi”, “uscire” di casa, per lo meno mentalmente, a tal punto da riuscire a maturare uno spirito libero ed aperto. Grazie all’attività della sua libreria, fondata nel 1994 a partire da quella del padre, anche lui librario dal 1975, Jamila capisce che il libro è uno strumento fondamentale non solo per lei ma anche e soprattutto per i giovani studenti e non del suo paese che, tuttavia, non possono spesso acquistarne per problemi puramente economici o perché nei loro villaggi natali non esistono né biblioteche né tanto meno librerie e, in generale, il sistema dell’istruzione è molto carente se non del tutto assente.
Per questo, oltre a portare i libri con la propria macchina nei vari villaggi limitrofi, Jamila decide anche di mettere in piedi una vera e propria “missione”, quella della Carovana, fatta di dibattiti, esposizioni, laboratori, tra cui una rete di iniziative volte all’alfabetizzazione di uomini ma soprattutto di donne che abitano le campagne del Marocco: esperienze che le hanno permesso di conoscere e capire meglio i giovani, i loro gusti ma soprattutto i loro bisogni e desideri. Oggi la gioventù marocchina rivendica i propri diritti, che, in realtà, come ricorda Jamila nel suo intervento a Torino, non è solo quello di esser istruita ed educata, ma anche, molto più banalmente, in alcune regioni, quello di disporre delle condizioni e dei mezzi per farlo (elettricità, acqua…).
Il libro e, quindi, anche la lettura, è e sarà sempre per Jamila uno strumento ma anche un simbolo di libertà e di apertura al cambiamento e al miglioramento, in particolare, se si prende in considerazione il caso delle donne marocchine, con un occhio di riguardo a quelle che abitano le zone rurali del Marocco, alle quali spesso non è stato concesso di andare a scuola e quindi di esser istruite. Per Jamila, il nodo della questione risiede proprio qui: se non si istruiscono le donne – e per istruzione ed educazione si intende anche la più semplice informazione circa i loro diritti e doveri, secondo quanto definito nel nuovo Codice di famiglia e nella Costituzione – come si può pensare domani di avere cittadini migliori? Se gli uomini marocchini (in realtà Jamila ci tiene ad ampliare il discorso anche ad altri paesi e ad altre culture, non necessariamente arabo-islamici) hanno una mentalità ancora chiusa e conservatrice circa la condizione della donna, la responsabilità è anche della donna stessa, madre innanzitutto dell’uomo di domani!
Sono affermazioni forti quelle di Jamila, che fanno riflettere su quanto sia utile il suo impegno ma soprattutto di quanto ci sia ancora da fare, da dire… Non solo in Marocco ma anche nelle nostre città, come a Torino, dove i marocchini costituiscono la comunità straniera più numerosa. Da qui deriva l’importanza di interventi come quelli che Jamila ha sostenuto nel corso della giornata di sabato, perché è importante far conoscere la sua realtà in giro per il mondo, al di fuori del Marocco. Perché il libro, la lettura, la cultura, l’istruzione, l’educazione, o anche la più semplice informazione e il “passa-parola” della cultura sono fondamentali affinché si coltivi una mente aperta, libera e tollerante verso l’Altro. 
Per concludere rimanendo in tema con quanto accaduto e quanto ancora sta succedendo al di là del Mediterraneo, si riportano le parole di una delle persone che più ha creduto in lei, fin dall’inizio di quest’avventura, Fatema Mernissi: “Se ci sono delle primavere arabe, è perché nel mondo arabo ci sono persone come Jamila”.

lunedì 18 febbraio 2013

Martedì 12 marzo - Roma


Sala Capranichetta - Piazza Montecitorio 125, Roma
ore 17.30  Presentazione del libro di Lando Dell’Amico  
“LA LEGGENDA DEL GIORNALISTA SPIA” (Koinè Nuove Edizioni) 


Editoriaraba - Top ten arabista, un viaggio tra Egitto, Libano e Palestina


Il viaggio letterario di oggi su Editoriaraba è a cura di Silvia Marchionne e ci porta tra le pagine della narrativa egiziana e palestinese  con una breve incursione in Libano.

"L’amore in esilio", Baha Taher (Ilisso, 2008; tradotto dall’arabo di P. Viviani)
Un romanzo attualissimo che rispecchia la vita di tanti intellettuali arabi in Europa. Protagonista del romanzo è un giornalista egiziano di fede nasseriana che lascia il proprio paese per l’Europa. Lontano da casa osserva il suo passato, riflette sulle disillusioni e sull’esilio. Tuttavia, ecco che l’inattesa storia d’amore con una giovane donna austriaca sembra donare di nuovo vigore e entusiasmo ad una vita in esilio.

"Taxi. Le strade del Cairo si raccontano", Khaled Al-Khamissi (Il Sirente, 2008: tradotto dall’arabo di E. Pagano)
Non si tratta di un vero e proprio romanzo, bensì una sorta di diario di viaggio e, insieme, di reportage, scritto quasi tutto in dialetto egiziano, e incentrato su un abituale cliente dei taxi della capitale egiziana, che poi è lo stesso Khaled Al-Khamissi. La realtà, spesse volte molto dura, della caotica capitale egiziana ci viene raccontata degli autisti di taxi che quotidianamente l’autore è solito prendere per spostarsi al Cairo. 

"Firdaus. Storia di una donna egiziana", Nawal El Sadawy (Giunti, 2001; tradotto dall’inglese da S. Federici)
Probabilmente l’opera più significativa dell’autrice che narra la storia dell’incontro, nella prigione femminile di Qanàtir, tra l’autrice, in qualità di medico psichiatra, e una donna condannata all’impiccagione dopo aver ucciso un uomo. Pagina dopo pagina, si scoprono i tragici retroscena della vita di Firdaus, fiera e intrepida anche al cospetto della morte, e i profondi motivi che l’hanno portata a commettere il crimine di cui si è macchiata. Da leggere per capire la straordinaria forza e coraggio della scrittrice Nawal El Sadawy.

"Ritorno a Haifa", Ghassan Kanafani (Edizioni Lavoro, 2003; a cura di I. Camera d’Afflitto)
Non poteva mancare un’opera di Ghassan Kanafani nella mia top ten: il pubblico italiano lo conosce attraverso il suo romanzo “Uomini sotto il sole”. Qui si presentano due romanzi brevi. Il primo narra la vicenda di due genitori che fanno un viaggio a Haifa per rivedere la città e la casa dove sono vissuti fino a vent’anni prima. Nel secondo l’autore evoca l’indimenticabile figura di Umm Saad, la madre di Saad. Lo trovo singolare perché per la prima volta nella letteratura araba uno scrittore palestinese ci parla di due diaspore: quella ebraica e quella palestinese, entrambi latrici di sofferenza per questi due popoli. Umanità e forza emotiva stanno alla base di questo toccante racconto di Ghassan Kanafani. Che per fortuna ha conosciuto anche la traduzione di molte altre opere grazie alla traduttrice Federica Pistono che per Cicorivolta ha tradotto “L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), “Uomini e fucili” e “L’innamorato”. 

"Ho visto Ramallah", Murid al-Barghuti (Ilisso, 2005; tradotto dall’arabo da M. Ruocco)
Anche questo libro mi ha accompagnato durante lo studio, scrive l'autrice, ed in modo particolare durante lo studio della questione palestinese e che io considero una pietra miliare della letteratura palestinese. Murid al-Barghuti, poeta e scrittore palestinese scrive questo romanzo autobiografico grazie al quale gli è stato conferito il premio Mahfuz: quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni, si trovava in Egitto, dove stava ultimando gli studi universitari; alla fine della guerra, non poté rientrare in patria, ma vi poté far ritorno solo dopo gli accordi di Oslo (1993), nel 1996. Questo evento ha ispirato il suo Ho visto Ramallah (1997). 
… Dicevo ai miei amici egiziani che la Palestina è verde, coperta di alberi, cespugli e fiori selvatici. Cosa sono queste colline spoglie e aride? Mentivo ai miei amici? Oppure Israele ha trasformato la via verso il ponte in una strada desolata che non ricordo di aver mai visto durante la mia infanzia?…

"La casa di pietra", Antony Shadid (Add editore, 2012; traduzione dall’inglese di S. Rega)
Uno degli ultimi libri di letteratura araba contemporanea che ho letto. Anzi il penultimo. “La casa di pietra” scritto dallo storico giornalista, Anthony Shadid, (purtroppo scomparso prematuramente in Siria all’età di 43 anni), è il testamento del suo personale viaggio alla ricerca della propria identità. Shadid ci accompagna nella riscoperta delle sue radici, partendo dalla casa di un suo antenato, Isber, nel villaggio natale della famiglia Shadid, Marjayoun. La casa di pietra, attraverso un incessante ricorso alla terminologia araba, è quella di Isber, che rimane per Shadid l’unica certezza, perché:
“Nessuno ha sofferto la sventura di restare solo. Questa gente, la mia gente, ha vissuto insieme fin dal primo momento. La comunità è tutto. La casa è tutto. Se hai perso te stesso”.

"Palazzo Yacoubian", Alaa al Aswany (Feltrinelli, 2006; traduzione dall’arabo di B. Longhi)
Lo considero, a mio parere, il libro precursore della “primavera egiziana”: la saga degli abitanti di un palazzo costruito al Cairo negli anni trenta, ci racconta di storie parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato. Ogni personaggio interpreta una sfaccettatura del moderno Egitto dove la corruzione politica, la ricchezza di pochi e l’ipocrisia religiosa sono alleati naturali dell’arroganza dei potenti, dove l’idealismo giovanile si trasforma troppo rapidamente in estremismo e dove ancora prevale un’immagine antiquata della società. Oltre ai numerosi protagonisti, in questo romanzo campeggia la denuncia della società e della politica egiziana, una denuncia come sappiamo particolarmente cara ad al-Aswani. Consiglio di leggerlo in lingua araba per apprezzare il linguaggio e lo stile dello scrittore.

"Sharon e mia suocera", Suad Amiry (Feltrinelli, 2003; traduzione dall’inglese di M. Nadotti)
Uno dei libri più belli che abbia letto sulla questione palestinese: un “diario di guerra” che pone al centro delle sue attenzioni l’ingombrante e svagata suocera Umm Salim, che resiste alla brutalità dell’occupazione militare con abitudini da tempi di pace, orari, buone maniere. Attorno a lei un “balletto indiavolato” di vicini di casa, parenti, amici, funzionari israeliani, spie e collaboratori, cani, muri in costruzione, paesaggi splendidi e violati, checkpoint e soldati. Con tono lieve e tragicomico, Suad Amiry ci porta a scoprire i piccoli e grandi contrattempi del vivere nel devastato scenario palestinese. 

"Ogni mattina a Jenin", Susan Abulhawa (Feltrinelli, 2011; traduzione dall’inglese di S. Rota Sperti)
A concludere la bibliografia della letteratura palestinese che preferisco ecco questo bellissimo ma difficile romanzo. Non difficile per il suo lessico, ma per i suoi contenuti: forti, duri, amari. Una storia commovente: una saga di una famiglia palestinese, dal nonno Yehya alla nipotina Amal e poi a sua figlia Sara, quando Amal ormai è una donna adulta. Dal paesino palestinese di ‘Ain Hod, vicino a Haifa, al campo profughi di Jenin, dove la famiglia di Yehya e i loro compaesani sono costretti a rifugiarsi quando vengono cacciati con la forza dagli ebrei israeliani. Un romanzo che ho apprezzato ancora di più e che ho riletto durante il mio soggiorno a Gerusalemme, per cercare quanto meno di comprendere un dolore che difficilmente si riuscirebbe a “sentire” se non toccando con mano la realtà palestinese.

"Come fili di seta," Rabiee Jabeer (Feltrinelli, 2011; traduzione dall’arabo di E. Bartuli con H. Bahri)
Subito di ritorno dal mio viaggio in Libano, ho comprato l’ultimo romanzo di Rabiee Jabeer: narra le vicende di Marta, una donna siriana che emigra nel Nuovo Mondo alla ricerca del suo amore perduto, a sua volta emigrato in cerca di fortuna. In Siria il suo nome era Marta. Negli Stati Uniti sarebbe diventata Martha. Joe Haddad, marito di Marta, si era dimenticato di avere lasciato una giovanissima moglie in Siria e viveva con un’altra donna, un’americana che possedeva una fattoria vicino a New Orleans, e aveva smesso di scrivere lettere a Marta. E così Marta aveva ipotecato il frutteto, comperato il biglietto ed era partita verso il Nuovo Mondo in cerca dell’uomo che amava.C’è una parola che ritorna di frequente nel romanzo: la kasha, una sorta di piccolo baule che i venditori ambulanti si caricavano con cinghie sulla schiena, pieno della mercanzia che andavano in giro a vendere, nei luoghi più sperduti, nelle fattorie più fuori mano. La storia di Martha è la storia delle speranze, dei dolori e delle nostalgie degli immigrati. L’America è un paese di immigrati e ne abbiamo lette tante, di queste storie. All’inizio incerta, spaventata e disperata affronta i grattacieli e la metropolitana newyorkese. Decisa ed appassionata costruisce la sua vita giorno dopo giorno. Ne risulta un affresco dell’America visto dalla parte dei milioni di emigranti che l’hanno costruita ma anche un inno alla vita. La storia di Martha rimane impressa per lei stessa, protagonista assoluta e indimenticabile.
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Silvia Marchionne è laureata in Lingua Araba e Studi Arabo-Islamici presso L’Orientale di Napoli e con un Master di II Livello in Cooperazione allo Sviluppo conseguito allo IUSS di Pavia; si occupa di Medio Oriente, di Islam e di Cooperazione Internazionale in questa specifica area geografica. Sempre in viaggio fra Italia, Egitto e Palestina, segue con costante interesse le vicende di quella regione, con un forte interesse per la società civile, il ruolo delle ONG nella regione mediterranea, i diritti umani e le questione di genere. Ha lavorato a Marsiglia come consulente per la Banca Mondiale, occupandosi di governance e quality assurance dell’istruzione superiore della regione MENA; oggi è responsabile di comunicazione e networking per UNIMED – Unione delle Università del Mediterraneo e vive a Roma.

venerdì 15 febbraio 2013

Editoriaraba - Libri e memoria, un ponte solido


Ancora l’Algeria, ancora la cultura, come mezzo per creare ponti, rafforzare legami e tenere viva la memoria. Questo fine settimana Parigi ospita la 19esima edizione del Salone editoriale Maghreb des livres, organizzato dall’associazione Coup de Soleil, nata nel 1985 per rafforzare i legami storici e culturali tra i francesi e gli algerini, tunisini e marocchini di Francia e del Maghreb.

Combattere razzismo e ignoranza attraverso l’informazione e la cultura è il nobile obiettivo del Salone, secondo Georges Morin, presidente di Coup de Soleil: […] Partendo dall’assunto che il razzismo si basi e faccia affidamento innanzitutto sull’ignoranza, è necessario divulgare quegli elementi che contribuiscono a dissipare la paura dell’altro, informando sui rapporti storici tra la Francia e i paesi del Maghreb e i molteplici scambi che sono esistiti e tutt’ora esistono tra le due rive (da "La Tribune", dello scorso 26 gennaio).
Con due giornate ricche di eventi, 145 autori, provenienti non solo dalla Francia, le tavole rotonde, i caffè letterari, le mostre fotografiche, gli spazi dedicati ai giovani e alla lettura di libri e riviste, le performance di artisti e calligrafi, Le Maghreb des Livres, tra narrativa, poesia, saggistica e fumetti celebra così la produzione editoriale, pubblicata in arabo, francese e amazigh nel 2012, del Maghreb africano e del Maghreb francese.
Ospite d’onore di questa edizione è l’Algeria, paese simbolo dell’imperialismo francese, e che proprio l’anno scorso ha celebrato i “primi” 50 anni di indipendenza. Un’indipendenza in ritardo, rispetto a Tunisia e Marocco, raggiunta dopo ben 8 anni di una guerra che ha messo la parola fine ad un dominio coloniale iniziato quando, nel 1830, i francesi erano sbarcati sul suolo algerino (ma ci vollero circa 30 anni, ai colonizzatori d’Oltralpe, per consolidare il controllo del territorio e trasformare l’Algeria in una vera e propria colonia, di popolazione e di sfruttamento).
Tra i 145 autori che interverranno al salone, cito: Waciny Laredji (scrittore algerino, tra i semi-finalisti all’Arabic Booker 2013 con il romanzo "Le dita di Lolita"), Wassyla Tamzali (scrittrice algerina e attivista femminista, curatrice di "Histoires minuscules des révolutions arabes", recensito in italiano da "Affrica"), Fouad Laroui (scrittore marocchino, ospite del prossimo Festival della narrativa francese), Tahar Ben Jalloun (che alla fiera è presente con "Le bonheur conjugal", Gallimard, 2012), Jean-Pierre Filiu (storico e arabista francese, autore di I"l Mio Miglior Nemico. Storia delle relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente"; è presente in Fiera con due saggi: "Histoire di Gaza", Fayard, 2012 e "Le nouveau Moyen-Orient, les peuples à l’heure de la révolution syrienne", Fayard, 2013). Ci sara' anche  Abdellatif Laabi (poeta, scrittore e intellettuale marocchino che vive in Francia, vincitore del Grand prix de la Francophonie 2011).
E poi ci sarà anche il “nostro” Amara Lakhous: lo scrittore italo-algerino nel weekend parigino presenterà infatti la traduzione francese del suo "Divorzio all’islamica a viale Marconi" (e/o, 2011), uscita per Actes Sud lo scorso anno. Ma non solo: oggi pomeriggio sarà ospite dell’INALCO (l’Istituto Nazionale di Lingue e Culture Orientali), dove interverrà sul tema: Scrittura nomade e traduzione culturale nel romanzo contemporaneo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Da Editoriaraba - Le parole per dirlo: “I sessanta nomi dell’amore”, di Tahar Lamri


If you talk to a man in a language he understands, that goes to his head. 
If you talk to him in his language, that goes to his heart.
(Nelson Mandela) 

I sessanta nomi dell’amore, di Tahar Lamri - che ha colpito profondamente l'autore dell'articolo - è un libro sulla forza delle parole e sull’importanza del comunicare. Sulla potenza dei significati e della reciproca conoscenza. 
Le email che nel corso del libro si scambiano Elena – scrittrice italiana in procinto di scrivere una raccolta di racconti sui sessanta modi con cui in arabo si declina la parola “amore” – e Tayeb, studioso di lingua araba, ci raccontano della nascita di un amore, una passione che va in crescendo, la cui tensione viene interrotta dai racconti scritti da Tayeb, spaccati saltuari e concreti che provengono da un’ Italia in divenire e da un mondo arabo vicino.
Il carteggio amoroso tra Elena e Tayeb è di una dolcezza disarmante dove ogni saluto conclusivo è una piccola storia a sé: “Un sorriso pieno di fiducia”, scrive Elena e “Una carezza leggera”, le risponde Tayeb. 
Ma quelle che i due si inviano non possono essere definite solo email: sono missive d’amore, lievi, appassionate, delicate, intense in cui i due si conoscono, si scoprono, si riconoscono, si innamorano, si allontanano e poi ricominciano. Da zero. Dalle parole con cui dire l’amore, quelle parole che troppo spesso si danno per scontate, al punto che oggi nessuno parla più davvero, ma quello che si sente non sono che parole slegate, pronunciate a casaccio perché si è perso il collegamento tra il segno e il suo significato. 
Nel crescendo impetuoso di questa storia d’amore che nasce sotto i nostri occhi, si dispiega tutta la bellezza della lingua italiana che Lamri ha deciso di “abitare” e verso cui mostra una cura e un’attenzione particolarissimi. Ed è una scoperta bellissima, questo nostro italiano che spesso bistrattiamo, rompiamo e storpiamo nella lingua di tutti i giorni. 
Tra le righe del libro, la lingua che parlo da quando sono nata, si schiude davanti ai miei occhi increduli e diventa dolce, viva, rotonda, delicata. Come una rosa, si apre in un petalo che sa di miele, che parla d'amore con una raffinatezza e una delizia che non ha eguali. Dolcezza, infinita saggezza e dolente tristezza sono le emozioni che si alternano leggendo le frasi che si due si scambiano. Sono le mani che accarezzano i brividi lungo la schiena, sono gli sguardi ed i loro colori, sono i sentimenti insieme alti e profondi. Sono i capelli che giocano con le dita per non essere orfani – scrive Tayeb. 
Non ti chiedo niente, non ti faccio domande, non entro nella tua vita, ma amami con tutte le forza adesso non domani, riassumo per te ciò che il tuo corpo non mi ha detto. Ma non mi dimenticare, non mi dimenticare, non te lo ripeto una terza volta, le tue labbra hanno detto – scrive Elena.
Le ultime pagine sono dedicate all’esplorazione dei sessanta modi diversi con cui l’arabo esprime il sentimento amoroso in ogni sua minima sfumatura: un minuscolo vocabolario per “dire” l’amore, che è utile per riscoprire non solo il vocabolario dell’amore, ma anche il suo significato più interiore.
L’“universo linguistico” che Lamri costruisce con l’italiano ha l’effetto di un balsamo che lenisce le ferite, che ci riconcilia con gli angoli bui del cuore e della mente, che costruisce ponti tra uomini e donne, che siano italiani, algerini, migranti o stranieri, e che, prima di tutto e sopra ogni cosa, sono esseri umani. 
Al di là di tutti i discorsi stantii sull’Io e l’Altro, è il rispetto per la dignità della persona l’unico elemento che ci accomuna tutti. Ed è anche quello che più spesso dimentichiamo.
 _______________
Tahar Larmi è uno scrittore, traduttore e saggista algerino che vive in Italia e scrive in italiano. È considerato un esponente della cosiddetta letteratura della migrazione, che tanto ancora fa discutere sulle pagine dei siti non solo specializzati.
Il libro è stato pubblicato nel 2007 dalle edizioni Mangrovie, che mi pare non esistano più. 

"Miti ladini" di Nicola Dal Falco


raccontati da Marisa Cecchetti *

Ho scritto altre volte di Nicola Dal Falco e mi è tornato a mano ciò che ho detto a proposito della sua raccolta di racconti Il cavaliere verde, ed. I Libratti, 2009.
Anche se ora si tratta di miti ladini, non è fuori luogo tornare a questi racconti. Sono brevissimi, una o due paginette - c’è l’elemento acqua trasversale, espresso soprattutto dalla immobilità di un lago - c’è immobilità e stupore delle cose, ci sono figure eccentriche, che rimandano alla divinità e al mito. L’autore osserva la realtà ma attraverso il simbolo, quindi va oltre la realtà, ciò che cade sotto lo sguardo. Questo salto oltre le cose appare come una tensione costante, per cui il lettore è accompagnato da questa percezione del limen, della soglia, del confine indistinto tra reale e irreale, tra detto e non detto, tra oggi e domani.
Mi viene subito da riportare un incipit dei Miti ladini, a sottolineare una ulteriore presenza di momenti di passaggio, di soglia, di ombra:
“Questa è la storia di una caduta, la caduta di un regno. Cose che accadono quando mutano i fati e il tempo affretta la propria corsa circolare. E’ un momento confuso, in cui l’accavallarsi di luci e di ombre agita il fondo dello specchio”. Oppure: “Brillava come il cielo chiaro, come un mare a riva, come l’azzurro dei fiori e del costato. La rayeta era il sogno quotidiano dello sciamano, la porta che lo lasciava al di là. Un passaggio irto, lento, concentrico”. 
Il lago dei racconti è immobilità e morte, ma l’acqua contiene anche la vita. L’acqua stessa del lago, simbolicamente, è una soglia da superare.
Le corti che compaiono nei racconti conservano “spezie di mare” nei sassi tolti all’Adige, allo stesso modo le Dolomiti conservano fossili marini.
Allora avevo scritto: “la parola è rotonda e sensuale, altamente poetica, quasi priva anch’essa del peso del significante”.
In Miti Ladini, del 2012, c’è una continuità con i racconti, incredibilmente anche nelle tematiche; e ritorna il linguaggio “scarnificato” del suo stesso peso, caratteristica, questa, del registro narrativo di Dal Falco.  La parola è ancora rotonda ed altamente poetica. 
Ora capisco meglio le ragioni per cui Dal Falco ha dedicato anni di lavoro ininterrotto a questo testo, spinto dal fascino della ricerca di Ulrike Kindl, colei che ha dedicato 40 anni all’analisi delle tradizioni orali ladine e la massima esperta dell’opera di K. Felix Wolff, che ha scritto per primo le leggende del mitico popolo dei Fanes.
Dal Falco ha lavorato su materiale per lui perfetto, rispondente alla sua stessa ricerca interiore, al suo bisogno di trascendere la realtà attraverso il mito e il simbolo.
Questo bisogno fa parte dunque del suo dna, appartiene alla sua poetica. Probabilmente è lo stesso per cui ha viaggiato tanto ed ha scritto di viaggi, per andare oltre, ma non in senso di conoscenza oggettiva, ma più profonda, direi quasi lirica, come suggerisce questa frase di un racconto (Il destino di un villano): “Il cielo quaggiù, invece, dipinge le donne completamente diverse: le ha fatte nere come il sole, hanno la luna in bocca e dove passano non lasciano impronte”. 
Oppure, - e siamo ancora nei racconti - (Trittico): “Qui, a Pagnona, si credeva che certe donne potessero mutarsi in api, viaggiare su sentieri di luce, usando i raggi del sole come binari”
Ecco allora svelato il segreto della fascinazione che hanno esercitato su di lui le leggende di questo popolo mitico che ha come totem una marmotta,  con una organizzazione matriarcale, in alleanza col popolo stesso delle marmotte. E il fascino di tutte quelle figure e oggetti che appartengono solo all’infanzia del mondo, il mago Spina de Mul, la maga Tsicuta, il coraggioso e innamorato Ey de Net, le frecce magiche. E tanti altri, ché molti filoni si intrecciano a quello principale di Dolasila ed Ey de Net.
I miti ladini hanno dunque offerto a Dal Falco l’occasione forse mai sperata ma solo sognata, di aggirarsi, immergersi in un mondo a cui lui continuamente fa riferimento. Qui si aggira tra regni sotterranei e regni di luce, tra ombra e sole. E torna anche il lago, questa volta divenuto una superficie su cui seminare polvere per far nascere frecce magiche d’argento, che saranno la vita e la morte per Dolasila: “Da qualche parte in val di Fassa esisteva una volta un lago circondato da fitti canneti. Si diceva che sul fondo fosse stato gettato un mucchio d’argento…Il re vide che era tempo di recarsi in riva al lago, dove l’accolse una musica fine.
Il lago nascondeva le sponde sotto una siepe di canne d’argento che, muovendosi alla brezza del mattino, ritmavano un suono di sistri”
Le Dolomiti, realmente e visibilmente così figlie del mare, riportano dunque ancora una volta all’elemento acquoreo che lui ama.
Ma soprattutto rimandano, con i miti che conservano e nascondono, alla stessa simbologia dei miti mediterranei legati alla terra e al cielo, alla vita e alla morte. Questo a dimostrazione di una eterna domanda che nasce dall’uomo, stupito e spaventato dal mistero stesso della vita, dell’amore, della morte.
Lui si proietta totalmente nel mito, lo vive con forza, sente quasi sulla sua pelle le storie, le sofferenze, le passioni.
Si aggira con tale piacere in questo mondo a lui così congeniale, che procede lasciandosi trasportare dalla emozioni provenienti dal   materiale informativo a cui sta dando forma letteraria. Ne deriva un andamento ondulatorio, visibile nella pagina stessa, che lui sceglie di non allineare lasciando diversa la lunghezza delle righe, sia nel suo procede non sempre in modo cronologico - del resto cosa difficile da  realizzare, trattandosi di miti che non sono misurabili nel tempo - ma possibile, almeno quando si incomincia a trattare un filone. 
Questa presenza di mare, nonostante la mole delle Dolomiti, ritorna spesso: “A contare sono gli a capo dove, come nel ritmo delle maree, sale e decresce la saggezza degli uomini, in modo che alla fine, risulti proprio la conoscenza la vera posta in palio”.
Lo scrittore procede libero. Chi legge, se vuole provare lo stesso piacere che ha provato senza dubbio l’autore nel realizzare l’opera, deve abbandonarsi al moto ondulatorio della narrazione, accettando il prevalere del registro lirico, che si affianca e si intreccia a quello narrativo e descrittivo,  e in qualche modo è sempre presente.
E’ interessante notare come l’autore intervenga nel testo, quasi a commento dei fatti della vita, un filone riflessivo-filosofico disperso qua e là ma costante: “Tre domande danno sale al mondo: nascita, vita e morte. Perché si nasce, perché si vive e perché, infine, si muore”. 
Oppure: “Spesso accade che si cerchi fuori un luogo, un paesaggio prossimo a quello del cuore”. E ancora: “In fondo, anche l’azione distruttiva della guerra si specchia nella lussuria, nell’attaccamento, nell’abbandono a tutte le malizie…La vera dedizione accoglie le sconfitte, l’impossibilità, l’incomprensione, anche il disamore, le fonde in una tenerezza che non giustifica, in una pace senza desideri di potenza”.
E’ interessante notare un fatto senza dubbio non casuale, che a fianco di questo registro leggero che caratterizza Dal Falco, anche quando parla di battaglie, come per contrapposizione, come per un ritorno a un mondo più reale, ci siano le glosse  concrete di Ulrike Kindl.
E credo che non sia per caso che il libro comunichi un senso di freddo, in contrapposizione alla passione e alla leggerezza della narrazione. Volume pesante come la pietra, e ghiaccio, di un colore niveo che si affianca alle immagini in bianco e nero, estendendo il contrasto luce - ombra anche al contenitore.
Sulla liricità della parola di Dal Falco, ecco, infine, alcuni versi della Rayeta ritrovata, la pietra magica che Dolasila portò in testa: eccomi sciamano/ora che il cielo imbruna/e la terra si confonde/io appaio…tu sei la bianca signora/la tre volte sempre/che manda il canto/ che sospinge il canto/ e separa i giorni come nuvole”.
Nato a Roma nel 1957, Nicola dal Falco vive da anni in Lucchesia. Ha viaggiato e scritto di viaggi tra est Europa e Africa. Ha pubblicato poesie, racconti, saggi. Ha ideato l’evento culturale Piombi e Rami, che si è tenuto per vari anni presso la libreria Baroni, nel centro di Lucca. Erano incontri con Editori d’arte, che presentavano piccoli libri stampati a mano, di grande valore artistico, ognuno arricchito con qualche acquaforte o incisione. Ama, senza dubbio, l’arte e la bellezza, e le sa scoprire. Ho scritto altre volte di lui. Mi è tornato a mano ciò che ho detto a proposito della sua raccolta di racconti Il cavaliere verde, ed. I libratti, 2009.

Miti ladini delle Dolomiti
Ey de Net e Dolasíla
di Nicola Dal Falco
con il saggio Raccontare le origini 
e le glosse di Ulrike Kindl
foto di Markus Delago
Palombi Editori  - Roma, 2012
pagine 264
15 euro

*Marisa Cecchetti è nata a San Giuliano Terme (Pisa) e vive a Lucca. Insegnante di Lettere, collabora con testate giornalistiche e siti web come critico letterario. Tra le sue pubblicazioni in prosa, "E cominciò a sognare a colori" (Del Cerro 1998); "La bici al cancello" (Mauro Baroni 2002); "La silloge Schizzi d'eterno" (Edizioni d'Arte Il ragazzo innocuo 2006); "Tibidabo" (Edizioni d'Arte Il ragazzo innocuo 2007). Le raccolte di poesie "Il vuoto e le forme" (Del Cerro 2000); "È filo di seta" (Del Cerro 2003); "Straniero tu che non mi accogli l'anima" (Del Cerro 2004); "Cantieri" (Del Cerro 2007); "Nonostante la rosa" (LietoColle 2009) 

Segnalato su "Rivista d'arte: parliamone"  di Bartolomeo di Monaco

martedì 12 febbraio 2013

A Firenze per Incontri con l'autore Massimo Coco presenta "Ricordare stanca"


Su iniziativa dell'Hotel Golden Tower di Firenze (Piazza Strozzi 11/r), Maurizio Filippini organizza, ormai da alcuni anni, degli "Incontri con l'autore". Il prossimo evento è in calendario sabato 16 febbraio alle ore 16.30 ingresso libero). L'ospite del pomeriggio culturale sarà Massimo Coco che presenterà: "Ricordare stanca", edito da Sperling & Kupfer. Nel libro, scritto dal figlio della prima vittima delle Brigate Rosse, vi è un preciso atto d'accusa contro l'improprio uso mediatico della memoria. In questo testo appassionato e toccante, l'autore pone in evidenza come tutti i familiari di vittime del terrorismo (il padre era procuratore Generale a Genova), oltre al dolore per la tragica perdita di un congiunto, debbano poi subire la pesante umiliazione di non veder riconosciuti i propri diritti, scontrandosi sovente con l'ostilità della burocrazia e la colpevole indifferenza delle istituzioni.

lunedì 11 febbraio 2013

Editoriaraba - Top ten arabista dello scrittore: Un viaggio nella narrativa di Yasmina Khadra


La top ten di oggi è di Lorenzo Mazzoni, autore della top ten arabista di oggi. Scrittore, appassionato di mondo arabo e di Turchia (un profilo più esteso si trova a fine post). Tra i suoi libri "Le bestie/Kinshasa Serenade" (Momentum Edizioni, 2011): un libro sulla guerra in-civile del Congo, forte e duro come l’inumanità che l’autore racconta. (È scaricabile gratis su Amazon, dove è arrivato al secondo posto nella classifica best-seller/narrativa internazionale). 
Lorenzo è un cultore di Yasmina Khadra, il che si evince non solo dalla sua topten, ma anche da quanto ha scritto dopo la classifica.
Lo scrittore algerino Yasmina Khadra sarà tra poco in Italia, ospite del Festival della narrativa francese, dove presenterà il suo ultimo romanzo: "L’equazione africana" (Marsilio, 2012; trad. di R. Fontana), a Roma il 27 e a Verona il 1 marzo.

1 Yasmina Khadra – "Cosa sognano i lupi?" (Mondadori, 2008; traduzione di Y. Mélaouah)
2 Nagib Mahfuz – "Principio e fine" (Pironti, 1994; traduzione di O. Vozzo)
3 Ala al-Aswani – "Palazzo Yacoubian" (Feltrinelli, 2006; traduzione di B. Longhi)
4 Yasmina Khadra – "Le sirene di Baghdad" (Mondadori, 2009; traduzione di M. Bellini)
5 Tawfiq al-Hakim – "Diario di un procuratore di campagna" (Nottetempo, 2005; traduzione di S. Pagani)
6 Amin Maalouf – "Le crociate viste dagli arabi" (è un saggio ma è scritto in modo altamente narrativo e letterario) (SEI, 2001)
7 Tahar Ben Jelloun – "Lo scrivano" (Einaudi, 1996; trad. di E. Volterrani)
8 Nagib Mahfuz – "Vicolo del mortaio" (Feltrinelli, 2002; traduzione di P. Branca)
9 Yasmina Khadra – "Le rondini di Kabul" (Mondadori, 2007; traduzione di M. Bellini)
10 Hage Rawi – "Come la rabbia al vento" (Garzanti, 2008; traduzione di S. Lauzi)
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Yasmina Khadra, pseudonimo femminile di Mohammed Moulessehoul, ex alto ufficiale dell’esercito algerino, ha sempre attinto ispirazione da una zona d’ombra della realtà contemporanea, facendo del suo cammino narrativo un percorso con tappe insolite (Algeria, Afghanistan, Iraq, Libano), un percorso tortuoso, fuori dalle strade battute dalla letteratura best-seller, muovendosi con audacia sull’instabile filo sospeso dell’attualità. Lo stile personalissimo dell’autore fatto di giochi di parole, metafore, fraseggio fra i linguaggi culturali francese e algerino, descrizioni poetiche, dialoghi serrati, è tenuto insieme dall’ironia, elemento fondante di Khadra che ormai, almeno in Francia e nel Maghreb, è diventato uno dei nomi di riferimento del nuovo noir e della narrativa popolare. 
Nei suoi romanzi troviamo un costante invito a riflettere sulla complessità del mondo mediorientale. Su come fare delle scelte, su come le scelte, nella vita, possano essere ostacolate, a volte cancellate dal fato. Nonostante l’autore affronti sempre dei temi molto rischiosi, non cade mai nella facile scorciatoia della polemica o della pressapochezza mediatica. La sue storie sono sobrie, commoventi senza mai diventare patetiche, appassionanti dal punto di vista narrativo. Senza dare giudizi, Khadra lascia che sia il lettore a darne. Non intende spiegare tutta la storia del mondo arabo, ma un percorso quotidiano sul perché violenza, spesso, genera violenza. Una modalità che può catturare le persone che vogliono avvicinarsi a un tema così ostico e non intendono incominciare con volumi storiografici, spesso di parte, che lasciano il tempo che trovano. 
Lo stesso Khadra tempo fa ha detto: “Per leggere i miei libri, è necessaria un po’ di intelligenza”.

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Lorenzo Mazzoni è nato a Ferrara nel 1974 e ha abitato in Inghilterra, Francia, Egitto, Yemen. Ha pubblicato numerosi saggi, reportage e romanzi, fra cui "Il requiem di Valle Secca" (Tracce, 2006); "Ost, il banchetto degli scarafaggi" (Edizioni Melquìades, 2007); "Le bestie/Kinshasa Serenade" (Momentum Edizioni, 2011); "Porno Bloc. Rotocalco morboso dalla Romania post post-comunista" (fotografie di Marco Belli; edizione bilingue italiano/romeno; Lite Editions, 2012). È il creatore dell’ispettore Pietro Malatesta, protagonista dei noir (illustrati da Andrea Amaducci ed editi da Momentum Edizioni) Malatesta. "Indagini di uno sbirro anarchico" (2011; Premio Liberi di Scrivere Award) e "Malatesta. La Tremarella" (2012). Diversi suoi reportage e racconti sono apparsi su “il manifesto”, “Il Reportage”, “East Journal”, “Il reporter” e “Torno Giovedì”. Collabora con “il Fatto Quotidiano”. Vive tra Milano e Istanbul. 

Sabato 9 febbraio "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia" a Roma, libreria Peak Book, ore 17.30


Insieme a Ilaria Guidantoni, l'attore e regista teatrale Tony Allotta 


sabato 9 febbraio 2013

La Marsa, Tunis - Librairie Mille Feuilles


Samedi 9 Février, à 16h

Invitation à rencontrer Dalila Ben Mbarek Msaddek, à l’occasion de la parution de son livre, «Je prendrai les armes s’il le faut - Tunisie mon combat pour la liberté», aux éditions Presses de la Renaissance. 


Dalila Ben Mbarek Msaddek, avocate spécialisée en droit social et droit du travail, est mariée et mère de trois filles. Après la révolution tunisienne, elle a cofondé le mouvement citoyen Doustourna, l'un des plus actifs aujourd'hui en Tunisie. Valérie Urman a recueilli et écrit ce témoignage. Journaliste, elle a dirigé le service Société du Parisien et de France-Soir.

"Nous, nous avons vécu, nous sommes sorties, nous avons rigolé, nous nous sommes baignées en bikini, nous avons dragué. Notre vie, nous l'avons faite, et personne ne pourra nous l'enlever. Mais nos filles? Nos petites-filles? Si les boutiquiers de la religion prennent les commandes en Tunisie, ce sera fichu pour elles. J'aurais pu m'en aller, partir vivre ailleurs. Je ne l'ai pas fait. Je suis peut-être imbécile, ou trop idéaliste, mais je ne les laisserai pas pourrir la vie de mes enfants. Ils se  disent islamistes, mais que connaissent-ils de l'islam? Moi qui n'aimais pas la politique, je me suis lancée dans l'aventure en fondant un mouvement citoyen. Je n'aimais pas me battre, mais je suis descendue dans l'arène. Ils ne peuvent pas, ne doivent pas gagner. J'ai décidé de tout fair pour éviter cela. Je prendrai les armes s'il le faut". Le témoignage inédit et bouleversant d'une avocate tunisienne engagée, depuis le Printemps arabe, dans un combat historique contre l'emprise islamiste sur son pays.Un hymne à la liberté et à la laïcité. 

venerdì 8 febbraio 2013

Da Editoriaraba: 44° edizione della Fiera del Libro del Cairo senza pace


Gli organizzatori hanno annunciato che la Fiera continuerà fino al 9 febbraio (la data di chiusura ufficiale era il 5) per permettere agli editori di aumentare le vendite durante i giorni extra. 
Sembra infatti che l’ondata di proteste, violenze (tante, troppe contro le donne, 26 quelle aggredite) e manifestazioni politiche che ha colpito l’ Egitto durante le ultime settimane abbia provocato un drastico calo nell’afflusso dei visitatori. Brutto affare per una Fiera che da sempre è tra le più affollate nel mondo arabo e che i librai aspettano con ansia, visto che molti, in una sola settimana, vendono quasi più che in un anno intero. 
Secondo Ahram Online, la notizia del prolungamento è stata accolta con entusiasmo dagli editori egiziani. Gli editori arabi, invece, dovranno probabilmente andarsene prima, anche per l’approssimarsi della Fiera di Casablanca, che aprirà i battenti il prossimo 27 febbraio. 
Secondo Qantara.de, anche quest’anno l’editoria islamica l’ha fatta da padrona: circa il 60% dei titoli che sono finora stati venduti erano libri religiosi. Per contro, il restante 40% è nelle mani dell’editoria “accademica”. Secondo al Hayat invece, il libro più venduto quest’anno sarebbe stato il Libro Verde di Gheddafi, che avrebbe suscitato la curiosità dei lettori egiziani, probabilmente attirati dal basso prezzo (la Libia è l’ospite d’onore di questa edizione).
Ma la manifestazione del Cairo non è solo editoria islamica: molti testi pubblicati per l’occasione rivolgono il proprio sguardo all’attualità politica, la letteratura e l’arte. 
Ecco alcuni dei titoli presentati in anteprima in questi giorni (cortesia di Ahram Online). 

ANALISI POLITICHE 
"Lo Stato di polizia in Egitto. Rivoluzione e contro-rivoluzione", di Amir Salem (Dar al-Ain, Il Cairo, 2012)
"Le élite e la rivoluzione. Stato, Islam politico, nazionalismo e liberalismo", di Nabil Abdel Fattah (Dar al-Ain, Il Cairo, 2012). L’autore è il direttore dello Al-Ahram Center for Social and Historic Studies del Cairo. Nel saggio si domanda quale “modello di transizione” stia seguendo l’Egitto: un modello islamico e se sì, quale? Quello turco, pakistano, sudanese o di Hamas? Abdel-Fattah sostiene anche che le élite tradizionali non sono al passo con i tempi e che non sono state in grado di prevedere la rivoluzione del 2011, che è stata invece un genuino movimento di protesta democratico.
"Le fondamenta politiche dello sviluppo. L’economia politica delle riforme istituzionali in Egitto e Turchia", di Amr Ismail Adly (Sefsafa edizioni, Il Cairo, 2013). Il libro analizza le condizioni dell’Egitto durante l’era Mubarak e si chiede perché l’Egitto abbia fallito lì dove la Turchia è invece riuscita.
"Come leggiamo oggi il mondo arabo?" traduzione di Sherif Younis, (Dar al-Ain, Il Cairo, 2012)

NARRATIVA
"Alessandria in una nuvola", di Ibrahim Abdel-Meguid (o anche Abd Elmeguid) – (Dar El Shorouk, Il Cairo, 2013).
Terza parte della trilogia su Alessandria, città natale di questo importante e premiato scrittore egiziano (classe 1946) che ha dedicato alla sua città molti libri, alcuni dei quali tradotti in inglese e francese.

POESIA
"Le tue porte sono diverse" (raccolta di versi), di Farouk Shousha (Al Dar Al-Masriah Al-Lubnaniah, Il Cairo, 2012).
L’autore è nato a Damietta nel 1936. Dedito alla poesia fin da giovane, ha anche lavorato per la radio e la televisione egiziana ed ha presieduto l’Unione degli scrittore egiziani. Nel 2005 è stato nominato segretario generale dell’Accademia della lingua araba. La prima raccolta di versi è stata pubblicata nel 1985. Su Al-Ahram Weekly un suo bel profilo.
"Poesia, sufismo e rivoluzione", di Helmi Salem (GEBO, Il Cairo, 2012). Libro postumo per il poeta egiziano Helmi Salem, scomparso lo scorso luglio all’età di 61 anni. 

STORIA
"Ahmed Abdel-Ghaffar e il suo ruolo nella politica egiziana 1919-1953", di Aisha Abdel-Ghaffar (Dar al-Ain, Il Cairo, 2012)
"Periodici della politica egiziana", di Ahmed Chafik Pasha (GEBO, Il Cairo, 2012)
"Le rivoluzioni egiziane nell’epoca Fatimide", di Mahmoud Khalaf (GEBO, Il Cairo, 2012)
"La vita sociale nel canzoniere di Asfahani", di Sherine Adawy (GEBO, Il Cairo, 2012)

ARTE
"Enciclopedia delle arti in Egitto durante il XX secolo" (I vol.), di Sobhy El Sharouny (Al Dar Al-Masriah Al-Lubnaniah, Il Cairo, 2012)
"Architettura e società nella civiltà islamica", di Khaled Azab (Al Dar Al-Masriah Al-Lubnaniah, Il Cairo, 2012)

mercoledì 6 febbraio 2013

Da La Perfetta Letizia Biblioterapia: un testo effervescente al posto di una compressa disciolta nell’acqua



Chiunque ami leggere e perdersi fra i sentieri delle pagine sa che è possibile; anzi, sicuramente è ben consapevole delle forti emozioni che gli si scatenano nella mente e nel cuore, mentre s’addentra nell’intrico di storie coinvolgenti o s’abbandona con l’immaginazione a scenari che rilassano l’animo, favorendo un momento d’aggancio con se stesso e il mondo. Non dovrebbe pertanto stupire che lo psichiatra statunitense William Menninger, nato e vissuto nel ‘900, abbia codificato una forma di trattamento terapeutico chiamata “biblioterapia”, finalizzata a riflettere su di sé e a elaborare strategie per gestire e vincere alcuni tipi di problematiche psicologiche. 


La lettura di un libro specifico permette al lettore di evadere dalla quotidianità, di simpatizzare per un personaggio, di condannarne un altro senza troppi sensi di colpa, e di vivere empaticamente le loro vittorie e le loro sconfitte. Proiettando le emozioni e i problemi del reale in un “Altrodove” sicuro, il lettore può osservarsi dall’esterno, un passo dietro se stesso, come se la sua vita fosse un libro e lui fosse il curante dei suoi stessi disagi. In Italia, la biblioterapia è ancora una disciplina minore, praticata nella penombra da psicologi, psicoterapeuti ed educatori, ma negli Stati Uniti e in Inghilterra vanta una storia secolare, e sono ormai molti gli studi condotti con gruppi di controllo che ne attestano la validità in vari campi dei disordini psicologici, come i disturbi alimentari o la difficoltà a gestire la rabbia, l’ansia e le forme lievi e moderate di depressione. Non solo, i libri possono curare anche l’insonnia e le disfunzioni sessuali. 

Verso la fine dello scorso secolo, uno studio sugli effetti della biblioterapia, pubblicato sul Journal of Counsulting and Clinical Psycology, dimostrò con dati statistici l'effettiva portata clinica nella riduzione dei sintomi depressivi e disfunzionali dei pazienti. Sulla scia di questi e altri risultati, dal prossimo maggio i medici di famiglia britannici inizieranno a trattare alcuni disturbi mentali e dell’umore attraverso l’innovativa prescrizione di libri, scelti accuratamente fra una lista di trenta titoli proposti dalla Society of Chief Librarians e dalla The Reading Agency. La scelta del libro prescritto non sarà casuale, ma ponderata sulla base del disturbo presentato dal paziente, e al termine della visita il medico compilerà una ricetta che dovrà essere presentata in una biblioteca, anziché in farmacia. I libri selezionati raccolgono racconti, novelle e poesie di autori anglosassoni come Terry Jones, Jo Brand, Frances Hodgson Burnett (“Il giardino segreto”) e Laurie Lee (“Un bel mattino d'estate”). 

Attualmente, il programma è finanziato dall'Arts Council England con 19 mila sterline; se anche il Department of Health supporterà la The Reading Agency, il progetto avrà una durata triennale. 

Fra i testi italiani di ultima generazione, il romanzo di Loredana Limone, “Borgo Propizio” (Ed. Guanda), si è fatto notare da alcuni psicologi per la portata terapeutica delle sue pagine. Scritto dopo due gravi lutti vissuti dall’autrice, offre al lettore un luogo sereno in cui rifugiarsi e ritrovare la speranza e la leggerezza necessarie per affrontare la vita di tutti i giorni. Venerdì 8 febbraio c.a. presenzierò alla IACP di Milano per un aperitivo psico-letterario su questo romanzo. Quando ha saputo della mia presenza, l’autrice mi ha confessato d’aver timore d’essere psicanalizzata ed io, con irridente malizia, le ho assicurato che è il prezzo da pagare per aver scritto un romanzo curativo, anziché una storiella di passaggio da leggere sotto l’ombrellone. 

Vi lascio con l’augurio di una “buona lettura”, qualunque libro vogliate scoprire, sia per trarne benessere e cura sia per il solo piacere di trascorrere qualche ora in compagnia di una buona storia.

martedì 5 febbraio 2013

"Il silenzio e il rumore", dello scrittore siriano Nihad Siris

Sirees è stato da poco a Londra, ospite di alcuni eventi culturali organizzati per celebrare la traduzione in inglese del suo romanzo Il silenzio e il rumore (الصمت والصخب, tradotto da Max Weiss, Pushkin Press, vincitore del Premio Pen “Writing in Traslation” 2013). E l’accoglienza è stata calorosissima.
Nihad Sirees è nato ad Aleppo nel 1950 ed è autore di sette romanzi e di numerose sceneggiature, una delle quali, nel 1998, gli “guadagnò” il diritto ad essere censurato. Dallo scorso anno Sirees vive all’estero, in un esilio auto-imposto dovuto alla situazione politica in Siria. Emigrato prima in Egitto, ora si trova negli Stati Uniti per seguire un International Writers Fellowship alla Brown University.
Edizione originale in arabo
Edizione originale in arabo
Il silenzio e il rumore è stato pubblicato nel 2004, ovviamente non in Siria (Sirees in realtà non ci ha neanche mai pensato di chiedere alle autorità siriane l’autorizzazione alla pubblicazione), bensì a Beirut, dalla famosa casa editrice Dar al-Adab la quale non ha avuto alcuna esitazione nel decidere di pubblicarlo. Il libro poi è arrivato comunque in Siria (diciamo così), per vie traverse e un po’ illegali (diciamo così), smerciato attraverso il confine siro-libanese. Ed è approdato finalmente, dopo 8 anni, anche in traduzione inglese.
La speranza è che qualcuno se ne accorga anche qui in Italia e ce lo traduca. Anche perchè oltre a Ghada Samman (Incubi di Beirut, Un taxi per Beirut), Salwa al-Neimi (La prova del miele), Rafik Schami (Il lato oscuro dell’amore), Samar Yazbek (Lo specchio del mio segreto) e ai poeti Adonis e Nizar Qabbani, sentiamo la mancanza di altre voci dalla Siria (ho scordato qualcuno, vero?).
Il pubblico londinese ha accolto più che calorosamente il suo arrivo al punto che i biglietti per gli eventi londinesi a cui ha partecipato sono andati esauriti (esauriti!!). Vuoi un po’ perchè la Siria è oggi il fronte caldo delle notizie che arrivano dal Medio Oriente, vuoi anche perchè il libro sembra essere davvero un’ottima prova di narrativa. I critici e i lettori di lingua inglese che lo hanno avuto per le mani ne hanno scritto in termini più che positivi. Marcia Qualey, blogger di Arabic Lit (in English) ha scritto che è un libro bellissimo e assolutamente da leggere.
The Silence and the Roar Il silenzio e il rumore è un romanzo sulla vita sotto e durante la dittatura; è l’affresco vivido di un popolo le cui vite sono dominate dalla paura, ambientato in un paese mai nominato, il cui Leader, il Capo, viene anche nominato con l’appellativo di “Ispiratore della Nazione” e “Bussola dell’ Umanità”. Vi viene in mente qualcuno? A me diversi, in effetti.
Il Rumore del titolo è quello fatto dal regime che, nel giorno in cui il romanzo è ambientato, festeggia i 20 anni di potere attraverso marce, musichette e grida dei supporters scesi in strada a sfilare per dimostrare il loro ardore verso il grande Capo. Il Silenzio è la condizione a cui è stato costretto il giovane eroe del romanzo, lo scrittore Fathi Sheen, “silenziato” dal regime perchè tacciato di anti-patriottismo. Ma il Silenzio, della prigione o della tomba, è anche il destino che aspetta Fathi se sceglierà di opporsi al regime che gli chiede di schierarsi dalla parte della propaganda, dalla parte del Rumore.
“Ogni uomo e ogni donna che saranno sconfitti dalla tirannia smetteranno di amare”, così ha detto Sirees, i cui riferimenti letterari, secondo alcune analisi, sono Kafka e Orwell. Perchè nel libro due sono le armi con cui gli uomini possono sconfiggere la dittatura: il sesso e lo humour, usato per cercare di reagire all’insensata crudeltà del regime al potere. Ed è questo tono, tra il sarcastico e il surreale, la chiave che rende il romanzo così appassionante.
Il paese in cui il romanzo è ambientato non ha nome, ma sembra difficile non fare paragoni con la Siria.
Lo stesso Sirees lo scorso agosto ha menzionato che un diverso tipo di rumore, a cui lui mai avrebbe pensato, sta risuonando nel suo paese: quello dell’artigliera e dei carri armati. “Che tipo di Surrealismo è questo?”.
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Su The Tanjara, il resoconto dell’evento del 30 gennaio al Waterstones Piccadilly di Londra.