venerdì 30 maggio 2014

Neanche con un fiore, giornata di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne

Neanche con un fiore, giornata di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne
Arezzo, 29 maggio 2014 con il Ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini

Ilaria Guidantoni, con (da sinistra) Carla Nassini, Sabrina Candi e Vittorio Martinelli, gli autori del progetto e i lettori del Liceo Pietro della Francesca

Editoriaraba - Libri, scrittori ed eventi da Nord Africa, Medio Oriente e Golfo

Poesia araba contemporanea al LITERATUR LANA (BZ)

Il Literaturlana (Merano – BZ) il 30 e 31 maggio ospita una interessante rassegna di poeti arabi contemporanei.

Tema degli incontri sarà una discussione aperta per parlare delle evoluzioni della poesia araba e di come questa abbia interpretato i cambiamenti sociali e politici degli ultimi decenni e soprattutto degli ultimi tre anni.

Ospiti dell’incontro dal titolo “Abbiamo una terra di parole”, in omaggio al grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, sarann: il poeta palestinese-islandese Mazen Maaruf (di cui vi avevo parlato qui); il grande poeta marocchino Mohammed Bennis (alcune sue bellissime poesie sono contenute nella raccolta “Marocco. Poesia araba oggi”, a cura di W. Dahmash, Jouvence 2002), la poetessa egiziana Iman Mersal e la regista, attrice e danzatrice egiziana Nora Amin.

L’appuntamento è per il 30 e 31 maggio, ore 19 a Ottmanngut Meran, Verdistraße 18.

“Jeux de rubans” di Emna Belhaj Yahia

Mercoledì, 28 Maggio 2014 Ilaria Guidantoni

Romanzo di un’autrice tunisina, laureata in filosofia in Francia dove ha insegnato per anni, ha vinto nel 2012 il premio Comar d’Or, la principale competizione letteraria per la narrativa della Tunisia.
 
Il testo, significativamente al femminile, disegna lo scenario complesso del mondo della donna nella Tunisia dell’anno della rivolta, il 2011, quando è uscita la pubblicazione, e lo scontro tra diverse generazioni, non banale. Contrariamente a quello che si possa pensare, infatti, la società tunisina, e in generale quella maghrebina, vede dal punto di vista della lettura europea un arretramento delle conquiste femministe degli Anni ’60 e ’70 del Novecento. Vengono rimessi in discussione i valori progressisti assimilati in un primo tempo come segno di emancipazione e le nuove generazioni sembrano riscoprire il valore della tradizione. Il significato di “Giochi di nastri”, questo il titolo alla lettera del romanzo in italiano – non ancora tradotto – è proprio in questo affresco che mostra tre generazioni di donne e due di uomini a confronto, lasciando la speranza di un dialogo che componga alla fine la dialettica dello scontro in una dialettica della convivenza e dell’amore, che ad oggi sembra la strada fortunatamente intrapresa dal Paese in uscita dalla transizione verso la democrazia.

La storia è raccontata attraverso la voce della protagonista, Frida, cinquantenne universitaria divorziata con un compagno e un figlio che si trova strattonata tra l’amore per l’anziana madre che accudisce con cura tutti i giorni e che si è emancipata ai suoi occhi togliendosi il velo e il figlio, Tofayl, che non risponde ai suoi desiderata. Questi infatti non incarna il modello di uomo quale quello del suo compagno, Zaydûn, e di una vita che noi dall’esterno diremmo di stile francese più che arabo-mediterraneo, ma decide di unirsi ad una ragazza velata e profondamente religiosa.

La recensione integrale su Saltinaria.it

mercoledì 28 maggio 2014

Martedì 3 giugno "Berlinguer rivoluzionario" - ore 17.00 Biblioteca di storia moderna e contemporanea

Martedì 3 giugno 2014, alle ore 17.00, in collaborazione con Futura Umanità. Associazione per la storia e la memoria del PCI, presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Palazzo Mattei di Giove (Via Michelangelo Caetani 32 – 00186 Roma), verrà presentata l’opera Berlinguer rivoluzionario. Il pensiero politico di un comunista democratico di Guido Liguori, Carocci, 2014.

Intervengono: Aldo Tortorella, Mario Tronti, Giuseppe Vacca, Albertina Vittoria.

Coordina: Paolo Ciofi.

Uomo politico di riconosciuta coerenza, protagonista della scena italiana e internazionale, il più popolare segretario del Partito comunista italiano oggi viene ricordato soprattutto per la sua denuncia della “questione morale”. Tratto distintivo del suo pensiero fu, tuttavia, intendere il comunismo in uno con la democrazia e con la libertà e se ora, al di là della retorica celebrativa, non ci sono più partiti di massa che possano dirsi depositari del suo lascito, è forse ancora più importante tornare a riflettere su questa figura originale di politico e di comunista.

Guido Liguori insegna Storia del pensiero politico presso l’Università della Calabria. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Gramsci conteso (1996, ristampa: 2013), Sentieri gramsciani (2006), La morte del Pci (2009); e la cura (con Pasquale Voza) del Dizionario gramsciano 1926-1937 (2009, ristampa: 2011) e (con Paolo Ciofi) di Enrico Berlinguer, Un’altra idea del mondo. Antologia 1969-1984 (2014).

Paolo Ciofi, saggista politico, presidente di “Futura Umanità. Associazione per la storia e la memoria del Pci”, è stato parlamentare e vicepresidente della Regione Lazio, Segretario regionale e della Federazione romana del Pci.

Aldo Tortorella, presidente della Associazione per il rinnovamento della sinistra e direttore di “Critica Marxista”, è stato parlamentare e dirigente del Partito Comunista Italiano.

Mario Tronti, filosofo politico, docente all’Università di Siena, è oggi presidente del Centro per la Riforma dello Stato e senatore della Repubblica.

Giuseppe Vacca è presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma e della Commissione scientifica dell'Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci.

Albertina Vittoria insegna Storia contemporanea presso l’Università di Sassari.

Per informazioni:
Biblioteca di storia moderna e contemporanea
b-stmo.info@beniculturali.it

martedì 27 maggio 2014

Summer Post 2014

The Post quest’estate offre spazio a 15 aspiranti giornalisti italiani e fa incontrare loro scrittori, fotografi, reporter, artisti italiani e internazionali. Verranno Eugenio Scalfari, Lucio Caracciolo, Gad Lerner, Enrico Mentana, e tanti altri. 
Verranno Alexander Stille, molti dei corrispondenti esteri che vivono qui in Italia, i grandi nomi del giornalismo internazionale e diversi professori della Columbia in video-conferenza. Mi sembra una iniziativa bella e meritevole, tanto più perché fatta da solo giovani. 

Venerdì 6 giugno "Epicentro Mediterraneo", ore 18.30 Pontedera (PI)


Editoriaraba - Torna il Festival palestinese della Letteratura

Dal 31 maggio al 5 giugno torna il Festival palestinese della Letteratura, nato nel 2008 su iniziativa della scrittrice egiziana Ahdaf Soueif con l’obiettivo di supportare la cultura palestinese e spezzare le barriere israeliane, architettoniche e psicologiche (checkpoint, carte di identità di ogni tipo e colore, privazioni, vessazioni, distruzioni, leggi arbitrarie…) che assediano e frammentano i palestinesi di Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania.

Il Festival è infatti un festival itinerante unico nel suo genere, che porta “fisicamente” attività e ospiti, palestinesi e internazionali, in giro nelle città della Palestina storica, in un tour estenuante dal punto di vista fisico, come molti ex partecipanti hanno affermato, ma che ricompensa di ogni fatica.

Quest’anno gli incontri organizzati si svolgeranno a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme, Haifa e Nablus e gli organizzatori stanno tentando di coinvolgere anche Gaza (evento ancora da confermare).
L’obiettivo generale, come scritto nel “manifesto” del Festival, è quello di riaffermare “il potere della cultura sulla cultura del potere” (Edward Said).

Gli ospiti di questa edizione saranno acclamati scrittori palestinesi e internazionali (tra cui lo scrittore nigeriano Teju Cole), musicisti (tra cui il gruppo hip hop palestinese DAM), registi, giornalisti e attivisti culturali (come la palestinese Rafeef Ziadeh).


Il programma:

Sabato 31 maggio – 19.30 @ Ramallah: The Khalil Sakakini Centre
Letture di: Ahmed Harb, Michael Ondaatje, Kamila Shamsie, Brigid Keenan, Hanne-Vibeke Holst

Domenica 1 giugno – 19.30 @Gerusalemme: Burj al Luqluq Social Centre
Poesia: Najwan Darwish
Performance: Hussam Ghosheh
Musiche: Salam Abu Emneh

Lunedì 2 giugno – 11 @Betlemme: Bethlehem University, Furno Hall
Panel: Nuovi media, nuove narrative
Najwan Darwish, Sharif Abdel Kouddous, Ursula Lindsey, Rachel Shabi
Moderatore: Maath Musleh
Panel: Donne e scrivere la storia
Linda Spalding, Nathalie Handal, Sabrina Mahfouz, Susan Abulhawa, Sapphire
Moderatore: Ed Pavlic

Martedì 3 giugno – 19.30 @Haifa: Midan Theatre
Evento in onore di Rawdah Attalah
MC: Eyad Barghouthi
Musiche: Najwan Darwish, Farag Sleiman & Rana Khoury
Poesie: Nathalie Handal
Panel: Asmaa Azaizeh, Sheikha Hlewa, Raga Ghanem, Ahdaf Soueif MC
Video messaggio: Atef Abu Seif da Gaza
Poesie: Ed Pavlic
Panel: Case perdute, la scrittura come ritorno
Teju Cole, Michael Ondaatje, Kamila Shamsie

Mercoledì 4 giugno – 19.30 @Nablus: Qasr al Qassem, Beit Wazan
Performance: Amer Hlehel, scene da “Taha”
Letture: Rafeef Ziadah, Susan Abulhawa, Sapphire
Musiche: DAM

Giovedì 5 giugno – 19.30 @Ramallah: The Khalil Sakakini Cultural Centre
Letture/parole: Teju Cole, Janne Teller, Haifa Zangana, Ahdaf Soueif
Performance: Sabrina Mahfouz
Musiche: Ministry of Dub-Key, special performance di Wala’a Sbeit e Bruno Cruz

ARTICOLO 1 Una Repubblica AFfondata sul Lavoro - Sabato 31 maggio, 18.30 libreria ALTROQUANDO

FIATI, PERCUSSIONI E POESIA

ARTICOLO 1
Una Repubblica AFfondata sul Lavoro


Sabato 31 maggio alle 18.30 alla libreria ALTROQUANDO

via del Governo Vecchio 80, Roma

INGRESSO LIBERO

Fiati, percussioni e poesia. Questi gli ingredienti di questo evento romano alla Libreria Altroquando che vede al centro il tema del lavoro e le poesie ad esso dedicate tratte dall’ultima antologia di poesia civile di Albeggi Edizioni. Protagonisti 4 poeti della Rome’s Revolutionary Poets Brigade – Marco Cinque, Alessandra Bava, Angelo Zabaglio ed Edoardo Olmi – con Giuseppe Natale alla chitarra e lo stesso Marco Cinque ai fiati e percussioni.


“I poeti sono forse i legislatori meno compresi al mondo ma, malgrado ciò, essi continuano a risvegliare e spesso a toccare i cuori altrui e, nel migliore dei casi, a trovarsi in sintonia con menti brillanti e a provocare una qualche forma di azione.” Scrive nella sua prefazione Agneta Falck, poetessa e moglie di Jack Hirschman.


Firmano l’antologia, oltre ai poeti presenti il prossimo 31 maggio, anche Massimiliano Damaggio, Ludovica Lanini, Marco Lupo, John Claude Smith e Andrea Coffami.

“Quando sorride il mare” Poesie e haiku di Floriana Porta

E’ la terza raccolta di versi di Floriana Porta - poetessa, fotografa e pittrice, nata a Torino nel 1975 – la seconda che leggo dopo “Verso altri cieli” - nella quale questa volta il mare è protagonista assoluto. Il mare è presente in tutte le composizioni, brevi e brevissime, citato o meno espressamente, quale elemento dell’ambiente naturale e ancor più della natura interiore, dimensione esistenziale e metafora del vivere, quant’anche interlocutore – quasi uno specchio dell’io, infinito e profondo come l’inconscio – con il quale la protagonista dialoga e attraverso il quale si interroga.

Il mare è il pungolo della coscienza che non fermandosi mai, dicendo e celando, spinge ognuno di noi a riflettere sulla vita. Nei versi di Floriana emerge totalmente il sentire come dimensione poetica, scevro dall’interrogazione esistenziale, la riflessione più articolata e filosofica e l’impegno civile. I suoi versi sono canto, fluire delle sensazioni e dei pensieri. Sono poesie difficili da commentare, sono piuttosto da ascoltare e lasciarsi risuonare in loro, istantanee fluide di un quadro naturale, dove l’emozione si concentra nell’attimo e raramente si distende. La sua composizione lascia al più affiorare il passato senza soffermarsi sul percorso, senza andare all’origine di quel male di vivere che serpeggia per ascoltare solo il presente.

La recensione integrale su Saltinaria.it

venerdì 23 maggio 2014

Giovedì 29 maggio ore 17 alla Dante Alighieri Tunisi presentazione del libro di Chiara Sebastiani "Una Città, una rivoluzione"


Renata Pepicelli, "Le donne nei media arabi"

Le donne nei media arabi
Tra aspettative tradite e nuove opportunità
a cura di Renata Pepicelli
(Carocci, 2014)



Questo volume - che nasce all’interno del progetto Arab Media  Report (www.arabmediareport.it) - racconta, attraverso l’analisi di vecchi e nuovi media, la condizione delle donne in Egitto, Tunisia e Marocco dopo le rivolte che hanno scosso la regione araba tra il 2011 e il 2012.
Le autrici dei saggi qui raccolti parlano di promesse tradite ma anche di una nuova libertà di espressione e di inedite opportunità. Mostrano donne in prima fila nell’informazione e le difficoltà che incontrano sia nel fare le giornaliste sia nell’essere oggetto di notizia. Descrivono l’affermarsi di presentatrici velate e di predicatrici religiose sugli schermi televisivi, analizzano i modelli di femminilità e mascolinità veicolati da film e soap opera. Danno voce alle campagne contro la violenza di genere portate avanti tramite vignette, blog e graffiti.  Narrano delle tensioni tra visioni islamiste e visioni laiche della società, studiano le politiche mediatiche di vecchi e nuovi governi, scandagliano l’attivismo femminile per l’uguaglianza dei diritti. Grazie a questo studio dei media da una prospettiva di genere emerge quindi una pluralità di immagini di donne che mette in guardia da qualsiasi tentazione riduzionista, e suggerisce invece di prendere in considerazione la diversità delle esperienze femminili nel mondo arabo.
Renata Pepicelli, docente del Master in Economia e istituzioni dei paesi  islamici dell’Università LUISS di Roma, nel 2014 ha ottenuto l’abilitazione a professore associato. Attualmente focalizza le sue ricerche sulle condizioni sociali e politiche nel mondo arabo contemporaneo, con particolare attenzione alle questioni di genere, ai fenomeni migratori e all’affermazione dell’Islam nella sfera pubblica. Tra le sue pubblicazioni per Carocci: Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme (2010; 4° ristampa 2014); Il velo nell’Islam. Storia, politica, estetica (2012; 1a ristampa 2012; tradotto in finlandese nel 2014).
Indice

Presentazione, Francesca Maria Corrao
Introduzione. I media arabi dopo le rivolte del 2011-12: una lettura di genere
1. Le soap opera: narrazioni delle società arabe postcoloniali. Islam, emancipazione femminile e processi di nation-building, Renata Pepicelli
2. On line & off line: le donne arabe tra autorappresentazione e partecipazione. Il caso egiziano e tunisino, Cecilia Dalla Negra
3. Tra vignette e graffiti. L’autorappresentazione femminile svela il paradosso di genere egiziano, Azzurra Meringolo
4. Il corpo e l’anima delle donne nel cinema egiziano, Carolina Popolani
5. Visibilità dei politici donna in Tunisia tra vecchi e nuovi media: ostacoli al loro risalto e strategie di copertura mediatica, Maryam Ben Salem e Atidel Majbri
6. Le giornaliste televisive in Tunisia: la trasformazione di uno scenario, Leila El Houssi
7. Telepredicatrici e attiviste on line in Marocco: la costruzione mediatica del genere femminile tra ideale islamico e libertà individuali, Sara Borrillo.

Libreria Universitaria: http://www.libreriauniversitaria.it/donne-media-arabi-aspettative-tradite/libro/9788843072163

Editoriaraba - Driss Jaydane: “Il Marocco per me è più di un Paese, è una categoria dell’anima”

Lo spunto è un articolo che Roberta Catalano ha pubblicato ieri su MaroccoOggi, in cui ha intervistato lo scrittore, filosofo e politologo franco-marocchino Driss Jaydane, che ha appena pubblicato per Le Fennec il suo ultimo libro "Divan Marocain", un romanzo che è “la storia di una possessione, di un uomo che vede la realtà scivolargli tra le dita e che non fa nulla per trattenerla”.

Driss Jaydane è un politologo, filosofo e scrittore. Di padre marocchino e di madre francese, classe 1969, vive a Casablanca, dove oltre a scrivere romanzi, racconti e articoli, lavora come cronista alla Luxe Radio e dirige una collana, “Le Royaume des idées” presso le edizioni “La Croisée des Chemins”. È membro fondatore di “Marocains Pluriels”, un’associazione che “riunisce cittadini aperti verso il mondo, i marocchini di sangue o di cuore, di nascita o di adozione, di qui o di altrove… che hanno in comune la difesa dei valori di apertura, di tolleranza, di condivisione e la volontà di contribuire all’avanzamento del paese verso la modernità”.

I suoi contributi alle attività culturali del paese sono in effetti numerosi e sempre vigorosi. Jaydane ha infatti pubblicato diversi articoli piuttosto forti in cui denuncia le ingiustizie che esistono nel suo paese, animato da un evidente amore per questa terra. I temi che tratta ruotano attorno alla questione dell’identità, della cultura, delle relazioni sociali e di dominazione. La sua passione per la filosofia è uno strumento che usa spesso anche per contrastare l’integralismo islamico.

Il suo primo romanzo, “Le Jour venu”, uscito nel 2006 con la casa editrice “Seuil”, denuncia attraverso la storia di un rampollo dell’alta borghesia marocchina i privilegi e i vizi di una classe sociale che sembra farsi beffe della realtà che la circonda.

Nel 2013 è uscito il suo “Parole ouverte” per le edizioni “La Croisée des Chemins”, un saggio giornalistico e filosofico sul mondo attuale, in cui analizza le turbolenze dell’Occidente e del mondo arabo.

Le edizioni “Le Fennec” hanno da poco pubblicato il suo secondo romanzo, “Divan Marocain”. Un lavoro che si distingue dagli altri per la narrazione in prima persona, che lo rende ancor più diretto e efficace. Con il suo stile distintivo, senza fronzoli né filtri.

Signor Jaydane, può parlarci dell’attività di «Marocains Pluriels»?
È un’associazione che, in fondo, ha una sola funzione, quella di far sì che il pleonasmo “marocchini plurali” un giorno non abbia più motivo di esistere! Mi spiego: ogni cultura, e questa è un’evidenza, è plurale; di culture “pure”, garantite, senza Altro, non ne conosco… Ma può accadere che a un certo punto della sua storia, una società invochi una sorta di purezza, che si trovi, si sogni – si tratta in realtà di un incubo – una sorta di unicità, sempre bramata, sempre pericolosa. Marocains Pluriels lavora e crede in ciò che chiamiamo l’Identità al lavoro. Sì, senza tregua, sempre, rimettere ciò che siamo sul telaio, il telaio di Umano. Così, essere unici significa esattamente non essere fatti di una cosa sola.

Nel suo romanzo "Le Jour venu" lei descrive una generazione casablanchese viziata e noncurante della realtà che la circonda: come mai ha scelto di inserirla negli anni Ottanta? E cosa è diventata oggi, trent’anni dopo?
Diciamo che gli anni Ottanta corrispondono a due momenti di cui il romanzo è fatto. Sono gli anni che mi hanno permesso di attingere dalla mia adolescenza, e far parlare un narratore – la cui età non è più, nel momento in cui parla, quella di Moulay, ma ovviamente quella di un adulto – che torna sul suo passato di “povero piccolo ragazzo ricco”, il cui sguardo è protetto, ma anche accecato da muri spessi, quelli della sua villa, della sua vita fatta di domestici, di un autista – personaggio centrale del romanzo – , di cure volte ogni giorno alla soddisfazione di ogni suo minimo desiderio di borghese soddisfatto, ma probabilmente pronto ad attraversare lo specchio senza desiderare davvero di passarci attraverso.

Questo Moulay non sa, realmente, da dove viene, visto che per sapere da dove si viene bisogna essere stati “altrove”. Lo visiterà quest’altrove, accontentandosi, appunto, di visitarlo, senza mai sentirsi a casa. Il romanzo è, in fondo, la storia di un “riscatto”, nel senso che il commercio ha dato a questa parola. Oggi? Questa generazione, se somiglia al narratore, può aver capito la menzogna che le avrà fatto da infanzia e da adolescenza, o può aver rifiutato tale menzogna, essersi confrontata con essa – gli eventi possono avercela condotta, fallimento, esaurimento del sistema, entropia insomma–; così come potrebbe essersi lasciata “riscattare”, ciò offrirebbe dei Moulay diventati cittadini responsabili, dei veri borghesi utili, come può dare anche dei falliti perpetui, che si consumano in un anacronismo probabilmente cinico, da desiderare di perpetuare la menzogna, in una sorta di edonismo tragico, quando la società, essa, vive nel suo proprio tempo.

Perché la scelta della narrazione in prima persona nel suo ultimo romanzo?
Per scelta, quasi politica: non c’era dubbio che doveva farsi carico di tutto ciò che il narratore dice di lui, e del suo mondo, che fu il mio.

Il suo nome completo è Driss Chraibi Jaydane: un segno del destino?
Sì, questo nome, che mi ha quasi costretto a scrivere, mi è stato ripreso il giorno in cui ho scritto. «Non mi rinchiuderai nel tuo nome» è il titolo di un libro che scriverò un giorno, per tentare di comprendere ciò che ho fatto di questo segno del destino.

Lei fa parte di quegli scrittori marocchini che, in virtù dell’amore che hanno verso il loro paese, non esitano a denunciarne gli aspetti tristi e drammatici. Qual è la reazione del pubblico?
Il Marocco è per me più di un paese, è una categoria dell’Essere, dell’Anima! Con ciò che ci è stato dato, di storia, di spiritualità, di lingue, di incontri, con gli ebrei, i cristiani, l’Islam di apertura, questo magnifico mosaico che è il mio paese, il Marocco è quell’Unico che non è fatto da una sola cosa, e io aspiro a che diventi la terra rispettosa dell’eredità che oggi vale solo come l’esigenza di essere più grandi di noi stessi! Quest’eredità è un’etica che ci vieta qualsiasi chiusura, qualsiasi ripiegamento su noi stessi, e similmente ci ordina di essere una civiltà, nel nostro rapporto con noi stessi, ancora una volta, ma anche e soprattutto con gli altri. Se io denuncio ciò che può renderci mediocri, è proprio in nome di quest’eredità. Questo Marocco, “categoria dell’Anima”, è per me una categoria concreta, un luogo di pensiero, di creazione, un’esigenza, lo ripeto, un’estetica e un’etica, che ci sono state consegnate. Allora, quando vedo o sento o leggo dei comportamenti o dei propositi indegni della categoria in cui colloco il mio paese, sì, vado in collera. Mi riferisco all’inciviltà, alla xenofobia, al populismo, che è proprio di certe formazioni politiche, per esempio, i propositi razzisti, la limitatezza di spirito che si insegna in particolare a una gioventù che ha bisogna che le si apra il Mondo, ma in nome di tale eredità, e non di una sorta di diluizione di tipo ultra-liberale che in fondo non ha altra funzione che quella di farne dei consumatori universali. Per questo l’Educazione, questo dramma marocchino, va completamente rivista, riletta. Potrei parlargliene molto a lungo… Ma ho fiducia in ciò che siamo, e so che il mio paese, se appartiene alla categoria in cui lo situo, dimostrerà che non mi sono sbagliato. È anche il senso del mio impegno, e di più, della mia vita.

Qui in Italia purtroppo la letteratura marocchina non è quasi arrivata, a parte i due o tre scrittori più noti e «tradizionali». La letteratura di denuncia, quella impegnata, ha fatto una comparsa vent’anni fa con la traduzione di due romanzi di Abdelhak Serhane, per poi scomparire. Tuttavia si direbbe che il pubblico apprezzi maggiormente una letteratura orientalista e spesso banale. Secondo lei quale è la ragione, è forse più rassicurante?
I veri scrittori hanno spesso una sola e unica idea, una sola e unica ossessione. A volte, ciò che ossessiona uno scrittore può anche, e succede, diventare ciò che gli impedirà di avere un grande pubblico – si leggono uno, due libri di un autore considerato impegnato, e si finisce per stancarsi delle sue denunce così come ci si stanca delle immagini troppo crude, troppo violente, in TV. È vero che un buon numero dei nostri grandi autori ha iniziato con delle grida, di dolore, di collera, è raro che da noi uno scrittore si sia fatto conoscere attraverso una prosa leggera, un libro buffo… Il Sociale è, in un certo modo, il re-segreto di molti dei nostri romanzi, il romanzo di Condizione, quello dei poveri, delle donne, dei bambini di strada, dei potenti quando umiliano gli impotenti, insomma, più che il romanzo di condizione direi il romanzo dialettico, nel senso hegeliano del termine. Allora è vero che alla fine, per poco che un autore “riempia” il suo testo di luride ingiustizie, di corruzione ecc… capisce cosa voglio dire… Quindi, non ci sarebbe da porre la questione di questa letteratura? E cosa dire del suo ruolo, mentre il cinema si fa carico oggi del peso delle ingiustizie… Che dire anche dello stato mentale, o del desiderio dei lettori, che forse hanno voglia che li si colpisca con iniquità, corruzione – perché no – ma con rinnovate modalità. Si pone anche la questione della lingua! Da parte mia, mi è sempre più difficile leggere dei dialoghi in francese, teoricamente pronunciati da gente di montagna, o da bambini che il francese non lo parlano, in una rivisitazione urbana e francese del tipo “Alors, Hamid, quoi de neuf, ce matin?” È contro questo tipo di dialogo che lotto! Al punto che li rendo impossibili, in particolare in Divan Marocain.

A parte le eccezioni note, perché secondo lei è difficile far cadere le frontiere editoriali?
Da un punto di vista delle tematiche, di ciò di cui parlano i nostri libri, direi che ci troviamo a un incrocio che rende forse le cose difficili. In un certo modo, possiamo dire che per quanto concerne la letteratura « di denuncia », chiamiamola così, la regola vuole che se abbiamo letto un libro possiamo averne letti dieci al tempo stesso. Come dicevo, molti dei nostri romanzi sono pieni, romanzi nei romanzi, ognuno gioca a chi denuncerà di più i mali della società che sono, diciamolo, numerosi. Ora, si sa, è necessario per la letteratura che il singolo porti all’universale. A leggere alcuni di questi testi si potrebbe credere, a causa di questo Tutto sociologico che rafforza il singolo, che le nostre “storie” appartengano a una forma di ontologia, qualcosa che ci sarebbe proprio. E lì interviene un altro punto, che attiene a ciò che rapidamente chiamerei la trappola postmoderna, ovvero quelle letterature, o quegli editori, che cacciano la specificità come quando si vogliono prendere delle farfalle nel retino per meglio fissarle a un’asse di sughero e lasciarle lì, paralizzate. Ma questo modo di fare serve anche, basti pensare ai disegni dei nostri venditori di specifico, ai venditori di storie per retini da farfalle, che rendono quasi impossibile l’uscita dallo specifico e l’ingresso nell’universale, oserei dire, per questo non scriviamo la Metamorfosi… Quindi, per tornare alla sua domanda, libri che finiscono per stare alla letteratura come dei vestiti folcloristici stanno alla Cultura potrebbero, in un certo senso, superare le frontiere al punto da dare, per esempio, a un giovane americano o a una giovane francese la voglia di essere uno dei personaggi del libro, cioè senza travestirsi da “personaggio marocchino”, ma passando dalla porta aperta attraverso il libro per ritrovare la via del Mondo, che permette, da sola, il superamento delle frontiere.

Cosa può dirci dell’ambito letterario attuale in Marocco, della condizione degli scrittori e dei lettori? Da qui si sente un’aria frizzante e piena di energia.
Diciamo che c’è movimento, che è viva, frizzante, proprio come dice lei.

Esiste in Marocco una giovane generazione di scrittori interessanti e insoliti, di cui lei fa parte, che riscaldano il cuore: siete in contatto tra voi?
Sì, ci vediamo ogni volta che possiamo, ho appena letto Amour Nomade, di Youssouf Amine Alami, un ragazzo che lavora, intelligente, brillante, pieno di humour, che sa perché scrive. Idem per Mohamed Hmoudane, di cui amo la gravità e lo humour, mi piace anche molto la prosa infernale di Bahaa Trabelsi; abbiamo dei nuovi arrivi, come Naïma Tagmouti, che ha appena pubblicato un primo romanzo davvero buono, La Liste, abbiamo Reda Dalil, che ha pubblicato Le Job, un primo romanzo notevole, questi due lavori sono originali e profondi. Dobbiamo leggerci, vederci, parlarci, è molto importante.






lunedì 19 maggio 2014

Editoriaraba - È il momento del romanzo arabo?

A quanto pare sì. Tutti ne parlano, tutti li vogliono. Ma fino a quando?

Ad esempio di recente, la notizia della vittoria all’ultimo premio per la narrativa araba dello scrittore iracheno Ahmad Saadawi con il suo romanzo “Frankenstein a Baghdad” è stata ripresa da The New York Times, The Guardian, al-Jazeera e The New Yorker.

In Italia ne hanno parlato ANSAmed e Il Sole 24ore e la Repubblica e il Corriere, non solo recentemente, si sono occupati e si occupano di romanzi e scrittori arabi.
Certo, ha fatto notizia che Saadawi fosse il primo iracheno a vincere il premio, ma c’entra anche il fatto che il libro sia un romanzo interessante, originale e fuori dagli schemi classici del romanzo arabo a cui probabilmente la maggior parte del pubblico internazionale dei lettori pensa, quando immagina la letteratura araba tout-court.

Lo scrittore libanese Jabbour Douaihy alla fiera del libro di Abu Dhabi aveva ben detto che “questo è il momento del romanzo arabo”, riferendosi alla gran quantità di manoscritti (più di 100) arrivati dalle case editrici arabe agli organizzatori del’IPAF lo scorso anno. Segno che gli editori hanno capito che l’interesse per i romanzi arabi è cresciuto a livello internazionale (e d’altronde al vincitore vanno 50.000 dollari più una traduzione assicurata in inglese.

Per quanto riguarda l’Italia, dell’aumento della curiosità e dell’interesse verso questa letteratura (in particolare quella scritta in arabo) da parte dei lettori e delle case editrici italiane aveva parlato sull’Indice online lo scorso settembre Elisabetta Bartuli, traduttrice e docente dell’Università di Venezia:

Esattamente come sta succedendo per il mercato anglofono, l’editoria italiana nell’ultimo quinquennio ha dimostrato una crescente attenzione per la narrativa di fiction tradotta dall’arabo. In Italia così come in Gran Bretagna e Stati Uniti, la pubblicazione di romanzi originariamente scritti in arabo sta conquistando una sua quota stabile e acquisendo una discreta visibilità.

L’Italia quindi come la Gran Bretagna e la Francia che, con la casa editrice Actes Sud le cui traduzioni in francese seguono quasi a ruota l’uscita dell’originale in arabo, e meglio degli Stati Uniti, dove – secondo quanto riferito di recente da un traduttore ed esperto di letteratura araba statunitense – l’interesse verso questi libri c’è, ma in misura di gran lunga minore rispetto ai tre paesi europei citati, e quindi le traduzioni e i traduttori scarseggiano.

I rischi insiti in questo aumentato interesse naturalmente ci sono, a cominciare da quel “forensic interest” di cui ha parlato lo scrittore e traduttore iracheno Sinan Antoon in proposito al recente exploit dei romanzi arabi presso il pubblico occidentale.

In altre parole: il romanzo arabo usato come strumento per diagnosticare i mali della regione araba. O ancora, leggere i romanzi arabi per alcuni corrisponde ad una ricerca tutta personale e psicologica nei dedali dell’idea di esotico. Si legge questa letteratura per captare un bagliore, carpire un’immagine, addentrarsi nei meandri dell’Oriente, sì fascinoso e allettante, quanto lontano e diverso da noi. E nella diversità, lo sappiamo bene, l’uomo (medio?) si sente rassicurato: il diverso da me, in quanto diverso da me, fa di me un uomo/mondo migliore/superiore.

E la ribalta ottenuta sul proscenio internazionale dai paesi arabi durante e dopo le rivolte arabe rappresenta un’insidia in questo senso: quanti romanzi (saggistica a parte) con l’orrenda fascetta “Il libro rivelatore della primavera araba”, “Il romanzo che ha anticipato la rivoluzione egiziana” sono stati pubblicati negli ultimi mesi? E badate, molti erano testi validissimi che io personalmente avrei letto anche senza lo strillo acuto e querulo che quella fascetta insistente lanciava dagli scaffali delle librerie, fisiche e online.

Di nuovo Antoon, che oggi vive e lavora negli Stati Uniti, aveva pubblicato questo tweet a dicembre:

Quando un paese arabo viene distrutto, l’Occidente “illuminato” ne scopre la cultura e si precipita a tradurre i suoi libri.

Abbiamo ancora bisogno di questa “molla” per convincere gli editori italiani a tradurre dei libri che da soli, senza bisogno di copertine orientaliste, fascette promozionali, conflitti “etnici” alle spalle, sono perfettamente in grado di reggere il confronto con romanzi provenienti da altre geografie e altre latitudini?

E se “il momento del romanzo arabo” non fosse solo un momento, ma la norma?

venerdì 16 maggio 2014

"Chiacchiere, datteri e thé". Primavera araba e dintorni alla libreria Mondadori Piave di Roma, 15 maggio 2014

Ilaria Guidantoni con Francesco Neri e Antonella Colonna Vilasi

con Francesco Neri, giornalista autore de' "L'ultimo bunker"


Lunedì 19 maggio, "Lavoro e immigrazione", ore 17.30 Roma


Editoriaraba - Mazen Maarouf: campione poetico del razionale e del bizzarro

Poco prima dell’ultima Fiera del libro di Abu Dhabi, Marcia L. Qualey (la blogger di Arabic Literature in English) ha intervistato – per la rivista della Fiera – il poeta palestinese-islandese Mazen Maarouf, ospite della manifestazione letteraria, durante la quale è intervenuto in diversi panel, sia in qualità di poeta, sia come traduttore.
(Quando ero lì mi ha detto che sarebbe venuto presto in Italia per un festival letterario, quando sarà ve lo dirò).

di Marcia L. Qualey

Maarouf, di origini palestinesi ma cresciuto a Beirut come rifugiato, è diventato da poco un islandese. Arrivato in Islanda nell’autunno del 2011, da allora ha abbracciato la piccola nazione-isola, ottenendo la cittadinanza alla fine del 2013.

Prima di allora Maarouf è stato il primo scrittore ad essere ospitato dall’International Cities of Refuge Network (ICORN) di Reykjavik, periodo durante il quale ha scritto molto. Oltre ad avere due collezioni di poesie quasi pronte, scritte dopo la pubblicazione del suo ultimo libro (ملاك على حبل غسيل, “Un angelo sulla corda stendipanni”, Riad al-Rayyes, Beirut 2012), è molto attivo sul fronte della traduzione di opere islandesi in arabo, traduzione fatta attraverso la mediazione dell’inglese.
“Ho cominciato a tradurre queste poesie perché mi sentivo un po’ responsabile – ha detto Marouf. Mi sono detto che essendo l’unico poeta dal Medio Oriente che viveva in Islanda avevo l’obbligo di tradurre queste poesie in arabo”.
Sebbene Maarouf si sia messo a tradurre all’inizio solo “per amore della poesia”, è stato molto felice di aver scoperto che molti giornali e siti online erano interessati a pubblicarle: “Quindi ora la poesia islandese è sotto l’occhio del microscopio mediorientale. Penso che sia un’ottima cosa”.
Una delle cose che Maarouf ama di più dell’Islanda è il fatto che spesso si imbatte in colleghi scrittori per strada. “Se per esempio stai traducendo un autore importante, molto importante, e ti capita di vederlo in un bar, puoi dirgli: ‘Possiamo vederci domani, perché sto traducendo le tue poesie in arabo e ho bisogno di farti alcune domande?’. E le persone dicono, ‘Arabo, wow, sì, sì’. Sono molto contenti di essere tradotti perché sono solo 320.000 abitanti, mentre gli arabi sono 400 milioni”. E nonostante tutto, aggiunge Maarouf, in Islanda c’è una cultura della lettura e della scrittura molto radicata che fa sì che il dato dei 320 mila abitanti sembri più grande. E di questi, “Forse 220 mila sono poeti”.

Come è facile immaginare, il poeta palestinese è stato accolto molto calorosamente sull’isola. Quando è uscita una raccolta di sue opere in edizione arabo-islandese, è finita tra i bestseller per diverse settimane. La prima edizione è andata esaurita in 10 giorni e la seconda ha continuato a vendere con ottimi risultati. “Forse hanno trovato il libro una cosa un po’ strana – ha detto Maarouf – ma hanno comunque continuato a comprarlo”.

Sebbene non sia in grado di dire se un poeta islandese in particolare abbia influenzato il suo lavoro, Maarouf ha detto che ogni volta che traduce un poeta impara sempre qualcosa. E non vale solo per per i poeti che traduce, ma anche per ogni poeta che ha letto e che gli è piaciuto, “A partire da Nizar Qabbani”.
Qabbani, l'arcinoto poeta siriano (tra le altre cose) per il suo amore per la poesia, è stato tra i primi a cattura l’immaginazione del giovane Maarouf. Un insegnante di scuola superiore lo aveva aiutato a capire meglio la poesia proprio quando Maarouf si era innamorato di una ragazza vicina di casa. “Avevo la poesia e la ragazza. Dovevo dedicarle un poema” – ha detto Maarouf. “Bè, a quanto pare, la ragazza è sparita, ma la poesia è rimasta con me”.
Dopo aver letto Qabbani, Maarouf ha continuato a leggere i lavori del poeta palestinese Mahmoud Darwish:
“Leggerlo mi ha trasformato, nel senso che mi ha reso un poeta serio e responsabile. È stata la mia porta d’ingresso nel mondo della poesia”.
Tuttavia, dopo tanti anni, nelle poesie di Maarouf non si rintraccia un’influenza particolare né di Qabbani né di Darwish. Uno dei suoi traduttori inglesi, Kareem James Abu-Zeid, ha definito la sua poesia come “imprevedibile”, “strana”, “ossessivamente potente” e di una “stranezza pura che mi prende moltissimo”.
Maarouf ha affermato che nel suo lavoro stabilisce spesso un universo parallelo perché: “Forse non sono davvero convinto della vita reale”. E sebbene si ispiri alla realtà, “Penso che a volte sia dura per me scrivere poesie ispirandomi a quello che vedo. A meno che non sia davvero molto bizzarro”.
Il poeta è anche un attivista: sebbene nelle sue opere non sia presente una chiamata alle armi esplicita, ha sottolineato che: “Per ogni palestinese è difficile restare neutrale quando si parla di politica”, e lui stesso è stato molto critico nei confronti dei leader politici palestinesi e dell’esperienza dell’OLP a Beirut durante la guerra.
L’anno scorso Maarouf è stato anche uno dei sei poeti ad apparire nel programma di al-Jazeera “Poets of Protest”, nonostante egli non scriva quel tipo di poesia che smuove la gente, di quelle che lui stesso era solito intonare durante le proteste a Beirut.
Al contrario, ha detto:
“Penso che in quanto poeti arabi abbiamo una responsabilità verso il Medio Oriente: quella di essere più razionali e più apperti”.

martedì 13 maggio 2014

Sala Della Repubblica a Sarzana, presentazione del libro "Chiamarlo Amore non si può", 12 maggio 2014



Editoriaraba - Jabbour Douaihy: “Il Libano è un paese da costruire. Quasi tutte le mattine”

Chiara Comitini ha incontrato lo scrittore libanese Jabbour Douaihy ad Abu Dhabi, dove è stato ospite della 24° edizione della Fiera internazionale del libro. L’intervista che gli ha fatto è stata realizzata per la rivista ufficiale della Fiera, lo Show Daily, e l’articolo che segue è stato pubblicato in inglese, in una versione leggermente rivista, sul numero di venerdì 2 maggio.
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Il suo ultimo libro, Hay el-Amerkane (Dar al-Saqi, Beirut 2014), è ambientato in un quartiere disagiato dell’antica città di Tripoli, nel nord del Libano, ma questa volta lo scrittore libanese Jabbour Douaihy (Zgharta, 1949) non parla della guerra civile libanese come nel suo ultimo libro tradotto in italiano, San Giorgio guardava altrove*, ma del presente.
Hay el-Amerkane è un libro sul Libano contemporaneo ma anche un romanzo su Tripoli, la città in cui vive e in cui l’estremismo religioso è aumentato drasticamente negli ultimi anni.
“Parlare del presente non è stata una cosa premeditata: mi sono imbattuto in questo tema partendo da un luogo più che da un tempo, cioè da un quartiere di Tripoli. Un quartiere degradato, costruito con materiali di fortuna, che però si trova di fronte alla cittadella storica, che sta lì da secoli. E mi sono detto che qualcosa bisognava scriverci su questo contrasto e su questo quartiere, afflitto da miseria, esclusione sociale, dei giovani soprattutto, e assenza di ideologie alternative al jihadismo. E per scrivere del fenomeno dei giovani reclutati dal jihadismo è stato giocoforza parlare della contemporaneità”.
Non è la prima volta che questo autore, arrivato finalista per ben due volte al premio per la narrativa araba, ambienta i suoi romanzi nel Libano del nord, un luogo in cui “tutte le diverse anime del Libano si incontrano e si scontrano”, come ha detto qualche anno fa a Torino, ospite del circolo dei lettori.
Pioggia di giugno, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Dar al-Nahar di Beirut è ambientato nel villaggio di Barqa, tra le montagne libanesi, nel 1957: la vicenda trae spunto da un massacro avvenuto durante un funerale, che porta allo scoppio di una faida tra due clan rivali entrambi cristiani. Questo romanzo è stato il più difficile che Douaihy abbia mai scritto:
“E’ un libro disarticolato, pieno di discorsi, personaggi, punti di vista. Mentre la scrivevo, sentivo che questa storia mi sfuggiva da tutte le parti e mi chiedevo come sarei riuscita a rimetterla insieme, pezzo dopo pezzo. Ma più mi sfuggiva, più ero preso dalla perversione di renderla ancora più eclettica”.
A differenza di Pioggia di giugno, San Giorgio guardava altrove, pubblicato nel 2010, è ambientato a Beirut e deve il suo titolo nella versione italiana al santo patrono di Beirut, San Giorgio, che però nel libro si è distratto e ha lasciato che la tragedia si compisse. Nizam, il protagonista, è un giovane nato in una famiglia sunnita con problemi economici che viene allevato da una ricca famiglia cristiano-maronita che lo tratta come un figlio.
La tragedia di Nizam si compie nel momento in cui scoppia la guerra civile libanese (1975-1990), che lo trova intrappolato in una doppia identità confessionale che ne determinerà la rovina. Nonostante sia stato ampliamente interpretato come un’allegoria del Libano e della schizofrenia di questo piccolo Paese che può contare 17 diverse confessioni religiose al suo interno, il personaggio di Nizam è ispirato ad una persona realmente esistita, un parente alla lontana di Douaihy: “Dopo la sua morte mi sono imbattuto per caso nel suo annuncio mortuario, attaccato ad un muro. E mi sono accorto che in realtà erano due gli annunci, uno cristiano e l’altro musulmano. Ho deciso quindi che ne avrei tirato fuori una storia. Ma scrivere questo romanzo non è stato facile, dovevo soprattutto stare attento a non cadere nella trappola dell’ideologia”.
La guerra civile libanese come tema narrativo è stato largamente esplorato da molti scrittori libanesi, sin quasi dal suo scoppio. Scrittori come Hoda Barakat, Elias Khoury (che scrive il suo Facce bianche nel 1981, nel pieno del conflitto) e Rabee Jaber nei loro romanzi hanno cercato di capire ed eplorare le origini della violenza di una guerra che ha insanguinato il Libano per quasi 15 anni.
“Proprio come i palestinesi, anche gli scrittori libanesi sono prigionieri di questo argomento. Ed è molto difficile riuscire a uscirne, lo stesso Darwish ci ha provato, ma è difficile. Come tutti i soggetti, anche questo della guerra civile è un tema esplorabile all’infinito perchè accompagna la nostra vita, è inseparabile da noi”, ha commentato laconicamente Douaihy.
Nei loro romanzi, molti degli scrittori libanesi hanno utilizzato il paradosso, il grottesco, la tragedia che si trasforma in farsa o in follia per parlare del conflitto:
“I libanesi hanno passato momenti terribili durante la guerra civile ed è facile immaginare che gli scrittori li abbiano in qualche modo interpretati con l’uso dell’assurdo e dell’ironia. Questo stato di conflittualità latente è diventato un po’ il nostro modo di vivere. È il nostro modo di sopravvivere. Perché il Libano è un paese in divenire, da costruire. Quasi tutte le mattine”.
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* Pioggia di giugno e San Giorgio guardava altrove sono stati entrambi tradotti dall’arabo in italiano da Elisabetta Bartuli e sono stati pubblicati da Feltrinelli.

Mercoledì 14 Maggio alle 16 al Maschio Angioino il libro di Ersilia Francesca su Islam ed economia

Mercoledì 14 Maggio alle 16 presso la sede del Maschio Angioino 
presentazione del libro di Ersilia Francesca
“Economia, religione e morale nell’Islam”


un’analisi della particolare economia islamica legata ai principi etici del Corano e alla ricerca di un’alternativa al modello occidentale​​


La presentazione del libro di Ersilia Francesca edito da Carocci avviene nell'ambito del Seminario interdipartimentale dell'Università Orientale. 
Dopo i saluti di Lucia Valenzi, ne discuteranno le docenti del Dipartimento Asia, Africa, Mediterraneo Roberta Denaro e Maria Cristina Ercolessi. Sarà presente l’autrice.

I principi etici presenti nel Corano rispondono a una scala di valori comune a molte religioni, partendo da questi principi l’economia islamica, dal secondo dopoguerra in poi, si è proposta come modello alternativo al socialismo e al capitalismo. Ersilia Francesca, che insegna Storia dell’economia del Medio Oriente e Nord Africa e Gender Politics in contesto islamico, ha analizzato questo tipo di “economia morale” che ha un suo sistema bancario e un suo modello di welfare.

Fondazione Valenzi - Napoli

lunedì 12 maggio 2014

"Chiamarlo amore non si può": giornata contro la violenza alle donne a Sarzana

Presentazione del libro sulla corretta educazione sentimentale per adolescenti e genitori
(Dedicata alle ragazze nigeriane rapite: #Bring Back our girls) 

Pomeriggio intenso tutto al femminile dedicato alla riflessione ed all'educazione sentimentale delle giovani generazioni come reale strumento di prevenzione della violenza alle donne, quello che si terrà a Sarzana quest'oggi lunedì 12 maggio in Sala della Repubblica a partire dalle ore 17.30.

L'evento - organizzato da Sabrina Bertoloni, Responsabile Pari opportunità e politiche per la famiglia della Segreteria PD Sarzana, darà al pubblico di intervenuti, l'opportunità di affrontare il tema della violenza alle donne a partire dalla analisi di un libro sull'argomento rivolto principalmente ai giovani scritto da ben 23 autrici che attraverso racconti sotto-forma di novella, analizzano in modo positivo un tema così delicato e attuale.
A Sarzana sarà presente la giornalista e co-autrice del libro a ventitré voci: "Chiamarlo amore non si può" Ilaria Guidantoni, da anni impegnata nel suo lavoro di comunicatrice in giro per il mondo.
Mondo mediterraneo da dove parte proprio il racconto: “Chéhérazade non abita qui” della Guidantoni, scrittrice che tra l'altro ha rappresentato l’Italia al I° Forum internazionale degli scrittori della regione Euro-Maghreb sul tema delle identità plurali.
"Da anni per il mio lavoro vivo e viaggio in diverse aree del mediterraneo, e purtroppo ho potuto personalmente riscontrare che la sofferenza delle donne è la stessa in tutto il mondo e propria delle più lontane e disparate culture. Nel libro abbiamo con le altre colleghe, deciso per questo di utilizzare la formula narrativa della novella o del racconto breve per affrontare questo tema così attuale e delicato, proprio per facilitare ed avvicinare i lettori più giovani a cui principalmente ci rivolgiamo,in modo che esse risultassero comprensibili al maggior numero di fruitori possibili" afferma la Guidantoni.
La giornata vedrà la partecipazione oltre all'autrice, della organizzatrice Sabrina Bertoloni, che con forza assieme alla collaborazione di tutta la segreteria PD Sarzana, ha dato vita e voluto questo evento: "Oggi più che mai, siamo infatti convinti che il tema sia non solo attuale- basti pensare alle donne nigeriane rapite in queste settimane, a cui come Segreteria PD vogliamo dedicare questo incontro in segno di solidarietà.
Ma come soggetti di un esecutivo politico, abbiamo anche il dovere ed il compito educativo di cercare di fornire delle risposte e predisporre strumenti di contrasto al fenomeno ahinoi dilagante della violenza sulle donne.
Per questo all'incontro abbiamo invitato oltre all'autrice del libro Ilaria Guidantoni, Susanna del Corso in rappresentanza delle numerose volontarie della neo- nata Associazione Vittoria di Sarzana che proprio in questi mesi con l'aiuto della Amministrazione e l'interessamento sensibile del Sindaco Alessio Cavarra, sta affrontando l'iter di formazione professionale per l'apertura sul nostro territorio di uno sportello di aiuto alle donne vittime di violenze fisiche o psicologiche, al quale partecipa come formatrice anche la psicologa Mara De Martino che ci aiuterà oggi nella disamina degli aspetti psicologici della violenza di genere in casi cosi traumatici.

Saranno con noi inoltre Isa Raffellini, della più longeva Associazione Irene con sede alla Spezia e alcuni rappresentanti della Segreteria dei Giovani Democratici perché crediamo che uno degli strumenti di contrasto di tale fenomeno, sia l'educazione ad un linguaggio amoroso sano delle future generazioni.
Invitiamo pertanto la cittadinanza tutta non solo a partecipare, ma ricordiamo che il nostro impegno in questa battaglia è vivo 365 giorni l'anno, e che presso la sede centrale del PD di Piazza Matteotti la Segreteria è attiva anche per fornire indicazioni utili di indirizzo circa gli Enti preposti all'aiuto in casi di questo genere.

Come Segreteria Pd e per volere di tutte le intervenute, la giornata di oggi è dedicata con forza alla solidarietà delle ragazze nigeriane rapite per essere vendute come schiave ed alle loro madri e famiglie.

venerdì 9 maggio 2014

Dal 20 maggio in libreria "I misteri di Montecitorio" di Ettore Socci

Dal 20 maggio  in libreria "I misteri di Montecitorio" di Ettore Socci 

Introduzione di Saverio Fossati, Il Sole 24ore

Storia dell’ascesa politica dell’avvocato Guidi, da giovane professionista
di provincia a deputato romano. Cento anni prima degli scandali della Casta, Socci racconta in presa diretta corruzione, sotterfugi, miserie umane della
classe politica italiana, inventando un genere, il romanzo parlamentare, e offrendo, per la prima volta nella storia del nostro Paese, un quadro umano
e sociale che sconvolge per le rispondenze con la nostra contemporaneità.
Attraverso il suo protagonista, il romanzo esplora ogni sfaccettatura dell’esperienza politica di un uomo qualunque catapultato dalla fine del mondo al centro della scena pubblica: dalle prime, timide manovre per vincere la campagna elettorale fino alla vita mondana, le vacanze, l’amante ufficiale, l’avvocato Guidi ci mostra quanto il potere riesca a trasformare
anche il migliore degli uomini immaginabili nella più bieca e opportunista delle creature. A corollario della sua avventura, gli incontri con i grandi uomini che contribuirono all’Unità d’Italia, ridotti alla miseria da uno Stato che preferiva i furbi agli eroi.

Ettore Socci (Pisa, 25 luglio 1846 – Firenze, 18 luglio 1905) è stato giornalista, politico e scrittore. Mazziniano convinto, Socci studiò a Firenze e combatté come volontario a fianco di Garibaldi nella campagna trentina del 1866, a Mentana (1867) e nella campagna francese del 1870 e 1871. Diresse due giornali progressisti, Satana e Il grido del popolo.
Venne arrestato e assolto più volte per via delle sue idee rivoluzionarie. Nel 1878 si trasferì a Roma, dove divenne amico intimo di Carducci e Cavallotti. Nel 1892 venne eletto deputato per il collegio di Grosseto.

Martedì 13 maggio, 100 thousand poets for change, Napoli


giovedì 8 maggio 2014

Editoriaraba - Eventi, scrittori e incontri arabisti al Salone del libro di Torino 2014

Tantissimi i nomi importanti legati alla letteratura e all’attualità dei paesi arabi che saranno presenti all’edizione del Salone internazionale del libro di Torino 2014.

Giovedì
ore 17 @Independent’s Corner
Incontro con HABIB SELMI – Scrittore tunisino, autore di “Gli odori di Marie Claire” (Mesogea, 2013, trad. di E. Bartuli e M. Soave)
Con Elisabetta Bartuli – in collaborazione con il gruppo di lettura della Biblioteca Levi
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Venerdì
- ore 12 @Independent’s Corner
Incontro con GHADA KARMI – Medico e scrittrice palestinese, autrice di “Alla ricerca di Fatima. Una storia palestinese” (Atmosfere, 2013, trad. di B. Ronca)
Con Diana Carminati e Alfredo Tradardi
- ore 18 @Arena Piemonte
Incontro con RITA EL KHAYAT – Marocchina, impegnata attivamente nella lotta per l’affermazione dei diritti delle donne nel mondo arabo, il suo ultimo libro tradotto in italiano è “Lettere da Casablanca” (Lantana, 2013; trad. di A. Perlino)
Con Francesca Comencini – con la partecipazione degli studenti di francese dell’Università di Torino
- ore 18 @TIZIRI, via Napione 30/e
Habib Selmi incontra i lettori torinesi insieme a Elisabetta Bartuli, Anita Magno (Mesogea) e Maria Paola Palladino (TIZIRI, Jawhara)
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Sabato
- ore 11 @Sala Bianca
Incontro con PAOLA CARIDI – Scrittrice e giornalista italiana, il suo ultimo libro è “Gerusalemme senza Dio” (Feltrinelli, 2013)
Con Piergiorgio Pescali e Luca Rolandi
Il ritratto di una “città crudele”, dilaniata da millenni di guerre, tensioni conflitti, ma anche laboratorio politico aperto alla speranza. Il dialogo con il Custode dei Luoghi Santi chiarisce il ruolo dei cristiani e il dialogo tra le fedi nel complesso scenario mediorientale.
- ore 16 @Independent’s Corner
Incontro con RAJA ALEM – Scrittrice saudita, con “Il collare della colomba” (Marsilio, 2014, trad. di M. Avino, cura di I. Camera D’Afflitto) ha vinto il premio per la narrativa araba 2011.
Con Sebastiano Triulzi
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Domenica
ore 11.30 @Giardino Nicola Grosa, Spazio Incontri Open (Salone OFF)
Incontro con SHADY HAMADI – Scrittore e giornalista italo-siriano, autore di “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana” (Add editore, 2013)
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Lunedì
ore 11.00 @Independent’s Corner
Conferenza: Mediterraneo e democrazia. Le primavere arabe tra delusioni e incognite
A tre anni dalle primavere arabe ci si interroga sul futuro di molti paesi che si affacciano sul Mediterraneo, tra speranze di cambiamento e reflussi autoritari (a cura di Poiesis Editrice)
Partecipano Grazia Ardissone, Giuseppe Armenise, Giuseppe Goffredo, Jabbar Yassin Hussin, Toni Maraini, Vincenzo Mattei, Ivana Trevisani