sabato 25 febbraio 2012

"Una scrittura femminile azzurro pallida" di Franz Werfel


Non è uno degli autori più noti al grande pubblico ed è un peccato. Appartiene al mondo viennese del primo Novecento come Arthur Schnitzler (l’auore di “Doppio sogno”, reso celebre dal film di Stnaley Kubrich, “Eyes wide shut”) e stefan Zweig (“Amoj”), quel circolo sofisticato e dall’apparenza impeccabile che nasconde elementi torbidi ed intriganti. Werfel è anche l’autore del grande colume “I quaranta giorni sul Mussa Dagh”, un romanzo che evidenzia come lo scontro religioso – il massacro degli Armeni - si abbatta in modo devastante su una coppia ’mista’, un argomento di grande attualità, mutatis mutandis. Ebreo praghese, sposo Alma Mahler con la quale visse a Berlino e Vienna; costretto nel 1938 ad emigrare in Francia dal 1940 alla sua morte vissse in America.
Una scrittura femminile azzurro pallida – raramente un titolo così lungo fu tanto suggestivo – è un romanzo sottile, levigato e di una dolcezza crudele che analizza con una forma impeccabile e attenta la falsità di certi matrimoni. Il protagonista, l’impeccabile e disciplinato Léon, alto funzionario ministeriale, è sposata da vent’anni con Amélie, bella, ricca, una vera dama dell’alta società che lo ama come chi sa amare veramente, al di là della sua adesione alle regole sociali non senza una qualche frivolezza. Un giorno arriva una lettera scritta appunto con una scrittura femmnile azzurro pallida, troppo formale per essere credibile: una donna chiede a Léon di occuparsi del trasferimento in una scuola viennese del proprio figlio. Come solo una donna sa intuire è forte il sosptto ma poi Amélie crede – perché indotta in modo del tutto credibile – di essesi sbagliata e si profonde in una ‘concitata confessione’. Il lettore saprà che si tratta di una vecchia amante, ebrea, abbandonata e rimossa dal vigliacco Léon, che la cancella così una seconda volta.
L’autore con grande sintesi e compostezza lascia a chi legge l’acquisizione della consapevolezza che spesso l’apparenza non inganna come si dice ma è ancor più dolorosa di quanto emerge lasciandosi trasportare dal cuore. Affiora così in tutta la propria mediocrità l’uomo che non ha il coraggio di vivere forse l’unico amore della propria vita, che cede all’inganno e non supera la rivalità con la propria consorte che, dal canto suo, perde per effetto dell’amore un po’ di lucidità sull’altro. Spietatamente attuale, al di là della scenografia aristocratica del palco di un’opera.

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