martedì 31 luglio 2012

ilfuturista.it


Lunedì 30 Luglio 2012 21:26 

 
di Ilaria Guidantoni* - L’eco del sud del Mediterraneo arriva in Italia disturbato e distorto, soprattutto quando fa rima con Islam. E’ così che ho deciso di tornare sulle orme di Sophie, la protagonista del mio romanzo “Tunisi, taxi di sola andata”, che avevo lasciato a Tunisi a fine ottobre, all’indomani delle elezioni che hanno portato al potere EnnahDa (la Rinascita), il partito religioso, assimilabile per usare dei parametri linguistici e ideologici nazionali, ad un movimento di ispirazione religiosa, tradizionale, di centro destra. I numeri forniscono qualche indicazione: il partito di maggioranza con oltre il 40% dei voti, il 40% dei seggi, conta sul voto di un tunisino su 5 più o meno (ha votato meno della metà della popolazione avente diritto). Il consenso maggiore viene dai tunisini all’estero, in Italia e Francia. Nodo cruciale il rapporto con i Salafiti, termine approssimativo in italiano, trascrizione della parola ‘salafiah’, origine, tradizione che sui nostri media hanno fatto la loro comparsa in seguito a episodi di scontri tra religiosità e laicità, di solito con situazioni pretestuose, per lo più in occasioni culturali o di comportamenti individuali giudicati contrari all’Islam. 

A questo gruppo, movimento, si associa spesso il senso della minaccia. Infine la questione del ‘velo’ che sembra polarizzare nella mentalità europea (nonché ridurre, ndr) la posizione della donna e il rapporto della religione con la vita comune. Ho avuto l’occasione di un confronto con una giovanissima deputata del Partito, Imen Ben Mohamed, cresciuta in Italia, laureata alla Sapienza di Roma in Scienze politiche con indirizzo in Relazioni internazionali, che parla l’italiano meglio del francese. Imen arriva a Roma con la mamma e cinque fratelli grazie al ricongiungimento familiare al padre, rifugiato politico. Frequenta la scuola libica e si laurea; cresce il suo impegno civile nel mondo associazionistico di impegno religioso e civile, per essere in prima linea con la deflagrazione rivoluzionaria.

Cosa succede con la rivolta? 
Sono stata trascinata dall’entusiasmo e dalla sorpresa anche era nell’aria che qualcosa di grosso sarebbe successo ma non avremmo immaginato così presto e così rapidamente. EnnahDa è stato legalizzato e io sono stata eletta all’interno insieme ad altri due compagni, secondo la ripartizione del 50% dei candidati tra uomini e donne e l’alternanza nelle liste. 

Dopo il grande entusiasmo si fanno i conti e i programmi: superata la fase post-rivoluzionaria arriva la transizione. Cosa sta accadendo?
La gente non conosce la democrazia, né tanto il cammino per la sua costruzione. Ci sono paesi dove sono stati necessari vent’anni per trasformare lo stato delle cose. In Tunisia il percorso appare più rapido, un fatto positivo non scevro da rischi. La priorità è il dialogo e il popolo si sta orientando in questo senso dal momento che chiede di giudicare i responsabili, non di giustiziarli.

Quali le priorità? 
Riforma della giustizia e una nuova Costituzione; mantenimento del dialogo con il territorio all’interno; apertura alla scena internazionale: il primo passo significativo è stato compiuto verso l’Africa ad esempio, mentre nel ventennio siamo stati schiacciati sul modello europeo. La Costituzione mi sembra uno dei nodi critici anche all’origine dello slittamento delle prossime elezioni da ottobre alla primavera 2013, ancora senza una data. La prima questione è la scelta della forma di governo, presidenziale o parlamentare.

E l’ipotesi del Califfato? 
Impraticabile in Tunisia. In ogni caso nell’Islam non esiste l’idea di Stato teocratico e in generale di potere assoluto perché anche alle origini dello stato arabo i membri guida erano tutti eletti. Forse bisognerebbe capire se è giudicato inaccettabile o semplicemente irrealizzabile.

E sull’articolo 1 della Costituzione, il cui eco è arrivato oltre il mare? 
Si è confermata la dicitura per cui l’arabo è la nostra lingua; la Repubblica la forma di stato e l’Islam la nostra religione; mentre la Shaaria è solo una delle fonti legislative per non rischiare una interpretazione errata della stessa come spesso è avvenuto. Le minoranze religiose sono tutelate e invitate a discutere in merito alla Costituzione. 

Uno dei lati che appaiono oscuri all’esterno è rappresentato dal rapporto con i Salafiti: qual è la vostra posizione al riguardo? 
Non discriminare aprioristicamente, com’è accaduto sotto Ben Ali per non fomentarli indirettamente; promuovere invece il dialogo e punire chi commette atti di violenza, com’è accaduto da parte di alcuni esponenti della sinistra estrema e di semplici agitatori. Solo che i media occidentali non si interessano a questo genere di persone.

Domanda banale ma molto presente in Italia: velo o non velo? 
La prescrizione religiosa prevede l’hijab (foulard), mentre il niqab non è un obbligo quindi una legge dello stato può vietarlo. Io ritengo che sia corretto tutelare tutti, chi porta il velo e chi no ma in determinate circostanze, ad esempio per sostenere gli esami universitari, una ragazza ha l’obbligo di scoprire il volto davanti al professore.

In termini di cultura e di vita sociale la transizione è all’insegna del risveglio o anche di una vera rinascita?
Sicuramente c’è stata una grande apertura e i giovani sono tornati ad interessarsi al proprio paese, al patrimonio artistico; solo che si sta confondendo troppo spesso libertà e provocazione che non necessariamente rappresenta un segno di emancipazione e rischi di diventare dannosa. 

Il suo entusiasmo e la fiducia nella forza interiore della rivoluzione sono contagiosi, come la sua freschezza e determinazione, una buona dose di umiltà e di fiducia nel dialogo. Speriamo riesca a ‘contaminare’ il Parlamento tunisino!


*Giornalista, Blogger e Scrittrice, autore tra l’altro del pamphlet “I giorni del gelsomino” (P&I Edizioni, marzo 2011) e del romanzo verità “Tunisi, taxi di sola andata” (No Reply editore, marzo 2012).

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