Le
nebbie di Vraibourg
di Veronica Elisa Conti
Vincitore Premio Luigi Malerba 2011
Un romanzo gotico lo ha
definito l’autrice quando me lo ha regalato in occasione della presentazione a
Roma del Premio Malerba (del quale si è parlato in questo blog) che si è
aggiudicata con questo racconto di formazione. Se l’atmosfera ha un fondo
tenebroso e cubo, con punte di morbosità, i colpi di scena in stile noir non ne
caratterizzano a tal punto l’impianto. Resta, a mio parere, un romanzo classico
che attinge alla tradizione francese, tedesca e inglese ottocentesca e primi
Novecento per la struttura e l’evoluzione del giovane protagonista, seguito sia
sotto il profilo psicologico, sia intellettuale e delle vicende amorose. Le
fonti sono evidenti, palesate dall’autrice nel gioco della maschera che
nascondendo rivela, come i nomi che riecheggiano, in parte anagrammati,
personaggi noti della tradizione letteraria soprattutto francese. Un gioco che
sarebbe interessante comprendere nello spirito: interattività con il lettore e
quindi puro intrattenimento? Esercizio di ironia? Gusto accademico della
citazione? L’ironia è sottile e pervade con qualche nota grottesca la vicenda,
soprattutto con l’uso dell’ossimoro simbolico, a cominciare dal paese nel quale
si ambienta la storia, Vraibourg, letteralmente paese vero, autentico; in
effetti il regno dei bugiardi. Le letture e la formazione dell’autrice sono
visibili nell’organizzazione della trama, nella caratterizzazione dei
personaggi, nella simbologia del bosco-labirinto, del castello, della lavandaia
e rammendatrice con allusione all’atto purificatore – basti pensare alla
condanna delle ‘ragazze peccatrici’ in “Magdalene” – che in questo caso è però
una doppia negazione. Altro elemento degno di nota, nel quale l’esercizio di
Veronica Conti è impeccabile, l’analisi della falsa società di provincia,
perbenista e cattiva. La crudeltà, oltre che la falsità, è la cifra che domina
l’ambiente, una ferocia che si rivolge come un’autocondanna da parte di ogni
personaggio verso se stesso.
Il pregio migliore di
questo libro che ha molti aspetti inattuali è lo stile e il linguaggio,
decisamente moderni. Una prosa asciutta, lineare, essenziale, con alcuni spunti
graffianti e originali, che fanno scivolare le pagine senza inceppamenti e
guidano, sostenendo la storia fino alla fine. Alcuni passaggi meritano davvero
come quando scrive “Lei si insinuò nella crepa della sua voce”; o “Lui se n’andò,
il volto sfregiato da un sorriso”; o ancora “…le maldicenze che la signora
Rougon macinava come i grani del rosario”.
Etienne un giovane
istruttore cresciuto in collegio è invitato a fare da precettore in un castello
in Normandia, a’ La Guyenne, presso il figli, Dorian, dandy bizzarro di un
vecchio padre burbero vedovo e austero come gli ambienti nei quali vive. E’
Tancrède, il principe, che ha pagato l’istruzione dello stesso Etienne e che
ora lo vuole con sé. Gli incontri soprattutto al femminile sveleranno a Etienne
il mistero che si cela dietro questa famiglia e che lo concerne in via diretta
con un crescendo pirotecnico, fino alla deriva surreale e quasi grottesca,
nelle cui maglie resterà impigliato il protagonista, arreso spettatore e per
questo connivente di tanto marciume. Fanno da sfondo la natura cupa del luogo,
freddo e nebbioso; il bosco scuro e misterioso; le stanze fredde e volutamente
poco riscaldate ed essenziali del castello dove vengono serviti pasti più che
frugali; mentre all’esterno è tutto un cicaleccio di voci e pettegolezzi
roventi di una violenza inaudita che simbolicamente si ritrovano nell’ostentazione
del perbenismo domenicale alla messa.
Sarebbe interessante
sapere dall’autrice la ragione dello spostamento del piano alla fine,
soprattutto nell’epilogo, dal protagonista a quella che si rivela essere suo
malgrado la famiglia, fino a rincorrere gli epigoni di una vicenda laterale
come a sottolineare l’esito perverso delle rivelazioni. Che cosa ne è invece di
Etienne? Cosa accade nei meandri della sua mente e soprattutto del suo cuore?
Quel sondino che era sceso in profondità a seguirlo fin dalle prime pagine si
ritira e lo inquadra da uno zoom un po’ lontano. Cosa rivela questa scelta?
Infine mi resta un
dubbio: Etienne e Ophélie decidono di
darsi del tu nella prima conversazione: “Diamoci del tu. Non siamo coetanei?”
(p. 33). Solo che poi le conversazioni proseguono con il lei finché si dice “Gli
aveva dato del tu per la prima volta” (p. 93). Perché questa visibile
incoerenza? Che gioco nasconde?
“Le nebbie di Vraibourg”
di Veronica Elisa
Conti
MUP Monte Università Parma edizioni
15,00 euro
Voglio innanzitutto ringraziarti per aver seguito i miei primi passi nel campo della narrativa ed aver letto così attentamente il mio libro come deduco dalla tua bellissima recensione.
RispondiEliminaPer quanto riguarda le questioni che mi poni alla fine, ho deciso di spostare il piano di narrazione quasi come contrappasso per Etienne, il quale dopo tutto ciò che è accaduto si trova svuotato nel suo cuore e nella sua mente e sempre più invischiato in quella realtà, in quella famiglia da cui più volte sia Ophelie che Madeleine gli avevano detto di fuggire. Ora sono un branco unito davanti ad ogni esito della sorte.
Riguardo all'incoerenza di cui parli la ritengo un gioco voluto e coerente di Ophelie, quello di avvicinare prima con il "tu" il giovane per poi rimarcarne una distanza da cui accostarsi di nuovo a seconda delle situazioni difficili che Etienne vive. Dovrebbe essere la sua amica più cara, la confidente più intima, ma è lei a decidere il gioco sino alla resa finale.
Spero di aver risposto ai tuoi quesiti. Ti ringrazio ancora tanto.
Veronica