giovedì 20 dicembre 2012

La Révolution des Braves di Mohamed Kilani

Mohamed Kilani, Giornalista e commentatore sportivo tunisino, un diploma in giornalismo politico-giuridico, bancario di professione, è l’autore di un saggio sulla nascente democrazia, un bébé, come lo definisce nel suo libro scritto con un nitore sorprendente, una prosa semplice, diretta e fresca, concetti profondi nella loro quotidianità, senza effetti speciali né la voglia di una critica esasperata da cronista d’assalto. E’ un testo scritto a ridosso della rivoluzione tunisina perché sarebbe dovuto essere pubblicato il 20 gennaio, appena 6 giorni dopo la disfatta di Bin Ali, ma ponderato e maturo ad un tempo. Il preambolo serve a tracciare la storia della Tunisia indipendente e repubblicana dal 1957 con Bourghiba e il grande inganno della Repubblica che nella modernità sostituisce la monarchia senza spesso superarne lo spirito: quello del potere personale. Una deriva che conduce presto ad un potere assoluto, decretato nel 1975 con la proclamazione delle presidenza a vita. Lentamente si insinua nella macchine del potere Zine El Abidine Bin Ali che Bourghiba vuole vicino perché non riesce a controllare totalmente il Paese senza rendersi conto che si sta allevando una serpe in seno. Un militare, mandato come addetto militare in Marocco, poi Ambasciatore a Varsavia, quindi richiamato in patria come Segretario di Stato con l’incarico della sicurezza. Nella sua abilità riesce a contrastare da una parte l’islamismo ma nello stesso tempo a ingraziarsi i fedeli: ad esempio ilo 3 novembre del 1987 sarà a Kairouan per la celebrazione della festa de’ El Mouled (la nascita del Profeta Maometto), abbandonata da Bourghiba. Il 7 novembre si autoproclamerà presidente e a vita, sfruttando il terreno spianato dall’uomo che ha detronizzato e del quale è stato il delfino in certo senso. Il nuovo ‘sovrano’ crea lentamente un consenso con le strategie classiche quanto semplicistiche: ad esempio l’ostentazione dell’aiuto ai più bisognosi ai quali di fatto andavano le briciole, comprando il voto e il consenso prima. La vera oppressione ha cominciato presto a farsi sentire ed è stata ammantata però di liberalismo e soprattutto di laicità. In effetti la malattia della Tunisia si è chiamata sonno delle coscienze. Purtroppo i giornalisti e i magistrati, bersagli prioritari, hanno aderito al sistema oppure scelto l’esilio o il silenzio nella maggior parte dei casi. L’informazione e la giustizia finiscono in mano all’arbitrio senza controllo del potere e la corruzione condita con l’avidità sono coltivate dalla seconda moglie del presidente, Leila Trabelsi e del suo clan, che l’autore lascia intuire, in qualche modo avvincono anche Bin Ali stesso. L’ordine è l’ossessione principale del presidente per camuffare una ruberia costante anche se sotto traccia, almeno nei primi tempi, stemperata da alcune azioni di immagine come la costituzione di un fondo sociale nel 1992.
Ci sono personalità che continuano a pensare in autonomia e in dissenso ma con scarsi risultati, scegliendo la via dell’esilio o venendo piegati nel tempo. Sale il malcontento nel tempo così come la disoccupazione ma la frattura tra chi è a favore e chi contro il presidente di amplifica, mentre tra i primi non si conoscono crisi economiche o problemi come la disoccupazione. Qualche scheggia impazzita ogni tanto sfugge al controllo ma è poca cosa: nel frattempo si evidenzia che lo sforzo del presidente è tutto proiettato a Tunisi e al nord del Paese, ai luoghi turistici che diventano lo specchietto per le allodole, la cartina tornasole dell’immagine internazionale. Il sud è abbandonato e una città come Kairouan, la città sacra della Tunisia, è lasciata a se stessa anche se rappresenta il bacino agricolo numero uno del Paese.
Al di là della sua attrattiva religiosa, culturale il turismo langue perché mancano le infrastrutture più elementari ma il presidente sembra sordo alle grida d’allarme. Ed è così che anche se i tunisini sembrano rassegnati a sopportare covano rancore sempre meno nascosto: il suicidio del ventiseienne, Mohamed Bouazizi a Sidi Bouzid il 17 dicembre 2010 è il detonatore della rivoluzione: diventa il pretesto per una critica che colpisce al cuore il governo e che non è più contenibile. Una vicenda personale va al di là del privato e diventa portavoce e porta bandiera di una protesta che era fuoco sotto la cenere e trova il coraggio di uscire allo scoperto. Facebook e la rete fanno il resto. L’altro detonatore della rivolta è il rifiuto del generale di Ammar di sparare sulla folla (licenziato e imprigionato è diventato un eroe del popolo). A questo punto l’esercito e il popolo erano dalla stessa parte, mentre la polizia fiancheggiava Bin Ali perdendo via via dei pezzi (tanto che ad un certo punto gli slogan sulle magliette hanno potuto dichiarare “il popolo ha liberato la polizia”). Kilani, dopo un’analisi del presente e del confronto tra i due padri della Tunisia moderna, si concentra però sul futuro immediato con un focus di grande lucidità e limpidezza: l’importanza che la libertà di coniughi con il diritto e con il valore del lavoro (e a dire il vero il popolo tunisino non sembra aver dimenticato questo legame). Con il buon senso, senza retorica, del padre di famiglia, evidenzia come il fondamento della società sia nella famiglia e nella scuola e come la libertà debba essere unita sempre alla tolleranza e come le democrazie di costruiscano nel tempo ed abbiano bisogno della durata. “La Tunisia si ricostruisce – dichiara in un passaggio l’autore – ha bisogno di calma, di ponderazione e di lavoro.” E ancora “…la libertà non è un fine in sé, ma una condizione per la dignità umana. La libertà che non si appoggia sulla responsabilità non genera che l’anarchia. I giornalisti che vogliono erigersi a quarto potere commettono lo stesso abuso che sono chiamati a combattere”. A tal proposito richiama un valore che spesso le proteste dimenticano: l’umiltà e la pazienza rispetto alla necessità dell’esercizio che occorre per costruire una democrazia stabile. Nell’ultima parte, di documenti, ci sono una serie di lettere aperte al presidente tra le quali una è particolarmente originale perché richiama al valore dello sport, come disciplina completa del corpo e dell’anima nella formazione di un ragazzo che sarà il cittadino di domani. In tal senso muove una critica alla scuola tunisina che ha ridotto lo spazio per l’educazione fisica e lo Stato che soprattutto nelle piccole città non ha realizzato delle strutture adeguate di aggregazione. Personalmente Kilani di ce di aver imparato il football prima del Corano e, citando Albert Camus, di avere un debito con questo sport in termini morali. Non è un caso che il football in Tunisia sia stato avvelenato dalla corruzione e sembra dire che quando la politica e la stampa entrano prepotentemente con la falsità nello sport la misura è colma. Incredibile sembra il ritratto di un altro Paese mediterraneo per il quale il calcio è molto importante.

La Révolution des Braves 
Impression Simpact 21, Tunis Gennaio 2011
10 Dinari

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