mercoledì 9 ottobre 2013

“Come di solo andata” di Marisa Cecchetti


Poesie che uniscono nella loro propensione alla prosa tutto il lirismo dei versi, la capacità iconopoietica della sintesi poetica e la narrazione della scrittura libera. La raccolta prende il titolo da un verso come di sola andata, all’interno di una poesia della prima delle tre parti nelle quali si divide il testo. E’ in qualche modo il simbolo delle 28 composizioni, tutte senza titolo, senza dedica, senza data eppure fisse come minuti di un calendario interiore del dramma. La forza del comporre dell’autrice è proprio nel suo essere scarna, nel togliere, a mio parere, ogni elemento didascalico che attenuerebbe la forza drammatica. Dico di più. Senza introduzione, contestualizzazione, si viene gettati dentro il dolore e si è come smarriti, ci chiede dove si sia e cosa stia succedendo. Ad un tratto si realizza e si materializza tutto intorno a noi e ci avvolge fino quasi a farci soffocare. Non c’è però disperazione ma addirittura l’umiltà nell’accettare questa amara sorpresa. Viene da pensare che sia il frutto di un’esperienza personale, diretta o indiretta, che abbia in qualche modo catapultato l’autrice nella malattia e nello sconforto, in quell’essere un numero e soprattutto prigionieri di letti e di un mondo negato. Tutto sta fuori, a portata di mano quanto irraggiungibile, come il sole che tramonta e dà lo struggimento di un incontro con un amante furtivo che non si può cogliere fino in fondo e si deve lasciar andare. Domina il senso della forzata passività e dell’impotenza, del rischio di perdere la propria dignità, i confini del proprio corpo che si estende fino alla coscienza. “Essere trasportati/da portantini verdi/è andare nudi/alla sorgente/mano che ti ghermisce/e ti precipita/in un buio fondo/come di solo andata./Violata nel corpo/di cui non sei padrona…”. E’ il senso di diventare estranei a sé, di aspettare il passato – recita un verso di grande incisività – perché mentre ci si chiede cosa ci succederà qualcuno ha già esaminato il nostro corpo e prevede il nostro futuro inesorabile. Sono poesie sulla fragilità e l’impotenza umana della quale ci si accorge solo quando qualcosa del nostro meccanismo smette di funzionare, facendoci sentire non più padroni del tempo e terribilmente soli. La vita è fuori dal vetro di una stanza. E’ molto interessante come Marisa costruisce l’effetto di drammatico stupore, un po’ come nell’estetica barocca quando dai vicoli si accede ad una piccola piazza con un’immensa fontana (Fontana di Trevi) o al contrario in una grande piazza si rincorre un percorso di rimandi tra fontane e chiese (Piazza Navona). Non si dichiara subito dove siamo, non si annuncia nulla, si vive direttamente l’esperienza di un incontro sempre inaspettato, talora indesiderato: questa è la vita e la poesia ha il pregio dell’incisività che la prosa non ha. Mima, non racconta; contrae, non distende; mostra, non spiega. Non solo ma il poeta si limita ad essere testimone, non messaggero; non ha pretesa di istruire il lettore o di affermare una verità, semplicemente si mette a nudo per partecipare empaticamente al dolore, a dire quello che spesso l’uomo non riesce a narrare o non ha il coraggio di chiamare con il proprio nome. La seconda parte, più breve, più secca nella scrittura, tutta distesa in orizzontale, con incidentali che contrappongono due piani, l’azione e la riflessione; il fatto e il sentito c’è il richiamo ad un altro dolore, al male della nostra contemporaneità, alla malattia dell’informazione che ci bombarda e ai sentimenti inquinati e contraddittori che ne scaturiscono. La terza parte infine, la più sottile, come fosse ancora incompiuta, sembra aprirsi all’altrove che nella camera d’ospedale era restato fuori, è la speranza che si affaccia e forse da qui quel senso di indeterminatezza che mi suggerisce. La sensazione, non so dire perché, è quella di essersi trasferiti in un ambiente dove la natura domina e si espande anche se non necessariamente con un moto vitale, solare, ma esce dalle strettoie e dal ritmo serrato urbano della prima parte della raccolta.
Alla Libreria Baroni di Lucca con la professoressa Marisa Cecchetti
Il commento in quarta di copertina, ho scoperto, è della collega e amica, giornalista e scrittrice, Stefania Nardini, che conosce bene la difficoltà di narrare certe sensazioni, il bisogno e il pudore di condividerle.

Marisa Cecchetti, che ho conosciuto un pomeriggio di maggio, la scorsa primavera a Lucca, perché mi ha fatto il regalo di presentare il mio ultimo libro, è nata a San Giuliano Terme, in provincia di Pisa. Insegnante di lettere, ha collaborato con la rivista letteraria “Stilos” e attualmente scrive per varie testate. Scrittrice sia di prosa che di poesia.



“Come di solo andata”
di Marisa Cecchetti
Edizioni Il Foglio
Orizzonti 
Euro 10,00



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