martedì 18 febbraio 2014

Editoriaraba - “Frankenstein a Baghdad” di Ahmad Saadawi: ovvero di guerra e moralità

Traduzione dell’inglese di Paola Rotolo. Testo originale

Al-Mustafa Najjar ha recensito Frankenstein a Baghdad, di Ahmad Saadawi, in corsa per il Premio Internazionale per la narrativa araba di quest’anno [IPAF - ora rientrato anche nella sestina dei finalisti, N.d.T], definendolo “un romanzo che sospende il giudizio morale”.

Di Al-Mustafa Najjar

“Hai mai visto un pezzo di merda d’oro?” chiede Mahmoud al-Sawadi, un giornalista emergente, a Nawal Al-Wazeer, regista che sta lavorando ad un film sul “male che ci accomuna tutti e che invece affermiamo di combattere”. Non ci aspettiamo una risposta alla domanda retorica di Mahmoud, ma il concetto di ambivalenza attraversa ossessivamente tutto il romanzo di Ahmad Saadawi.
Il relativismo morale è infatti un tema dominante nel romanzo in gara per l’IPAF, che narra la storia di uno straccivendolo “che puzza di alcool”, è “sporco” e “scostante” e che si imbarca in una “nobile” crociata: rovistare per le strade di una Baghdad devastata dalla guerra civile in cerca di organi umani.
Turbato dal fatto che ai corpi smembrati delle vittime degli attacchi suicidi e della violenza settaria a Baghdad non venga mai concessa degna sepoltura, Hadi Al-Attag decide di assemblare letteralmente un cadavere che “invece di essere lasciato in strada ed essere trattato come spazzatura”, possa avere una sepoltura degna di questo nome. Per quanto ben intenzionato, fino all’ultima pagina del romanzo Hadi sarà preda di sentimenti contrastanti nei confronti della situazione “alla Frankenstein” in cui si è cacciato.
Come una sorta di Vaughan, “l’angelo ossessivo delle superstrade” del famigerato Crash di J.G. Ballard (1973), Hadi si aggira come un fantasma per una Baghdad martoriata “in cerca di qualcosa nel mezzo della sagra della distruzione e della rovina”. Una volta trovato quel qualcosa (un naso umano, ci viene detto) brutalmente “lo raccoglie, lo avvolge in una borsa di tela che si ficca sotto il braccio e si allontana velocemente” in direzione della sua bettola nel popoloso quartiere di Al-Bataween.
Un bel giorno di primavera, il cadavere ibrido, ormai completo, si alza e parte per vendicare i proprietari dei suoi organi. Hadi è incapace di accettare la realtà e si auto-convince che “la Cosa” non è altro che un frutto della sua immaginazione; tuttavia, con sorpresa del lettore, Hadi prende l’abitudine di raccontare la sua storia ai malmessi clienti di un caffè di Baghdad. Ed è così che Mahmoud ascolta per la prima volta l’incredibile storia della Cosa, Frankenstein o Criminal X, che di lì a poco terrorizzerà Baghdad: il cadavere vivente e la serie di “strani eventi” avvenuti in città che coinvolgono “criminali che non muoiono anche se colpiti dalle pallottole” vengono raccontati dal giornalista nei suoi articoli.
Durante una visita ad Hadi, la Cosa sostiene di essere coinvolto “in una missione importante per punire, con l’aiuto di Dio e del Cielo, tutti i criminali e infine fare giustizia sulla Terra.” La creatura diviene ben presto una figura di culto in tutto il Paese, e attira sostenitori tra quanti sono “stanchi della situazione del Paese e cercano una qualche forma di salvezza”.
Mano a mano che prosegue nella sua vendetta, la Cosa si accorge di aver bisogno di “pezzi di ricambio”, e dà il compito ai suoi sostenitori di trovarne; per quanto stia attento a specificare che non devono fornirgli parti di corpo provenienti da criminali, ben presto scopre che “metà del suo corpo è fatto di carne di criminali”. A questo punto, il cadavere vivente che una volta diceva di essere il simbolo della giustizia divina, cambia in peggio.
Provvisto di carne “colpevole”, la Cosa diventa ossessionato da una semplice domanda: “Quanto è davvero criminale un criminale?”
Incapace di trovare una risposta alla domanda che lo tormenta e costretto a fare i conti con il bisogno costante di parti di ricambio, la Cosa sente presto il bisogno di giustificare l’uccisione di innocenti che gli forniscano ricambi. Una volta minacciato dall’idea di perdere la vista, la creatura “che non ha nome” uccide un anziano per strada e si impossessa dei suoi bulbi oculari. Per quanto ammetta che possa non essere la soluzione ideale, si convince che la cosa migliore da fare per poter continuare la sua missione è “scegliere i ricambi dai corpi di coloro che meritano di essere uccisi.”

Lo scarso consenso attorno al personaggio è lampante, e la figura del cadavere vivente resta aperta a più interpretazioni. Per quanto gli si senta vicino, Hadi non riesce a sondare le reali intenzioni della creatura, e anzi, incapace di trovare una giustificazione per le azioni del mostro, decide di prendere le distanze facendo finta che non esista.
Elishua, altro personaggio del romanzo, è un’anziana donna che occupa la casa accanto a quella di Hadi, vede nella Cosa un riflesso di suo figlio Daniel, disperso venti anni prima nella guerra fra Iran e Iraq. Elishua passa il tempo dialogando silenziosamente con l’icona di San Giorgio, al quale supplica di riportare indietro il figlio. È significativo che la donna indirizzi il desiderio di rivedere il figlio al quadro di San Giorgio e il Drago, un’icona cristiana che mostra in maniera netta il conflitto tra il bene e il male e che tuttavia non si rivela all’altezza di mostrare invece chi esce vittorioso dal conflitto, il santo che dovrebbe rappresentare il bene, o il drago, spesso letto come simbolo del demonio.
Il santo, nella sua armatura e con la lancia puntata, non riesce a vincere le simpatie di Elishua, nonostante ella sia una cristiana molto devota. Per quanto trovi conforto nel dialogo con il ritratto silenzioso, Elishua non nasconde il fatto che “ama il suo viso mite ma odia la sua uniforme e la sua apparenza militare” non esitando a ritagliare la parte preferita dell’immagine, il mite volto di San Giorgio, quando decide di seguire sua figlia in Australia.

Frankenstein a Baghdad è un romanzo che cattura quel momento di sospensione, quel “rimanere nel mezzo” per usare le parole di Elishua nei confronti del ritratto. Nessuno è un mero criminale o una mera vittima in tempo di guerra: ognuno è un po’ dei due. Perfino il santo ha una natura ambigua. Per rafforzare questa idea, Saadawi si serve dell’omicidio, un atto che presumibilmente coinvolge due entità ben distinte, un criminale e una vittima. Saadawi sembra voler sfidare questa visione semplicistica e decide di esplorarla ulteriormente: una fuga precipitosa di un gruppo di iracheni terrorizzati all’idea di dover morire si trasforma in un massacro; la paura li ha convertiti da innocenti in criminali.
“Tutte le tragedie che stiamo attraversando sono riconducibili ad un’unica causa: la paura”, asserisce l’amico di Mahmoud, aggiungendo: “Vedremo sempre più morti a causa della paura.”
 A dispetto del desiderio di vendetta per le vittime innocenti che lo aveva guidato all’inizio, la Cosa finisce per diventare egli stesso un criminale. Di qui la natura contraddittoria dell’assolutismo morale: quello che per qualcuno è un criminale, per qualcun altro è un combattente per la libertà.
Il romanzo può essere letto come un tentativo di farsi beffe dell’assolutismo morale che divide le persone in bianche e nere, e che spesso agisce da catalizzatore per lo scoppio di guerre.
Sottolineando l’abilità del romanzo nello scoraggiare facili giudizi di valore da parte dei lettori, Baudrillard scrisse a proposito di Crash: “Da nessuna parte affiora uno sguardo morale”. Mettendo in risalto la relatività dei valori, Frankenstein a Baghdad è un romanzo che sospende perciò il giudizio morale.
Saadawi non dà un nome alla creatura, ma ogni personaggio vi trova un mezzo per un fine: per il Generale Surur essa rappresenta una possibilità di promozione, per Mahmoud materiale per uno scoop, per Elishua il figlio che ha perso.
Tornando all’interrogativo di Mahmoud: “Un pezzo di merda d’oro sarà un bel pezzo d’oro o solo un altro pezzo di merda?”. Fin quando Mahmoud si aspetterà di trovare una risposta a questo interrogativo, probabilmente la guerra in Iraq non cesserà.
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 Al-Mustafa Najjar, siriano, è giornalista e traduttore per Asharq al-Awsat. Si è laureato alla University of Manchester in Post-1900 Literatures, Theories and Cultures e vive a Londra.
Ahmed Saadawi è uno scrittore, poeta e sceneggiatore iracheno nato nel 1973 a Baghdad, città dove lavora come regista.

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