Zitoyen!
ou la génération nomade
di Med Ridha Ben Hamouda
Romanzo vincitore
dell’edizione 2012 delle Assurances Comar, testo politico quanto mai di
attualità nel momento della transizione tunisina. E’ un testo e un inno alla
cittadinanza quale consapevolezza e responsabilità della democrazia come
partecipazione, costruzione dal basso, impegno necessariamente continuo e
faticoso; talora un fine sempre al di là delle possibilità reali di definirlo
come un traguardo praticabile. Nondimeno rappresenta l’essenza ancestrale
dell’uomo tanto che Hamouda, definisce lo zigote, in una discussione tra amici,
come il primo nucleo di vita ovvero un cittadino in embrione, detto anche zitoyen,
per l’appunto, come si svelerà alla fine. Il romanzo è una lunga discussione politica
tra amici in vacanza, condita dall’atmosfera di una vacanza marina soprattutto
grazie a descrizioni struggenti del paesaggio. Il nucleo è un saggio sulla
responsabilità del percorso verso la democrazia nel quale la mediocrità e la
corruzione non sono mai una fatalità. Il libro è altresì la narrazione di una
generazione nomade, in viaggio verso una meta mancata, desiderosa di crescere
interiormente, intellettuali del cuore, soffocati poi da un regime. E’
l’euforia di un’epoca all’indomani dell’Indipendenza insieme alla grande
delusione che ne è seguita nelle ultime due decadi.
Testo
impegnativo che ci presenta una serie di coppie descritte a guisa di preludio
in vacanza al mare, impegnati in un continuo dialogo, nel quale le vicende
personali, i gusti, le azioni rimangono decisamente sullo sfondo, sfumando
appena il saggio in romanzo. Il gruppetto di amici, sulla sessantina, diventa
anche paradigmatico dell’avvicinarsi della pensione, come di un’età di
cambiamenti, per lo più subìti, con i quali occorre confrontarsi, rimettendosi
ancora una volta in discussione, ad esempio faccia a faccia con una nuova forma
di solitudine. E’ la generazione del dopoguerra che ha seguito l’onda della
rinascita, dell’impegno civile, della modernizzazione, della speranza e della
grande delusione.
Le
pagine del testo relativamente voluminoso, scorrono rapide tra le dita, tanto è
bella e vivace la prosa, un vocabolario ricco e metafore talora vibranti che
non cedono all’autocompiacimento e sempre asciutte come la marea che diventa
un’eclissi temporanea.
Significativo
il prologo che narra la vicenda di Didone alias Alyssa e la fondazione di Cartagine
quale modello di moderna democrazia, culla delle civiltà del mondo, coraggio
della responsabilità e valore del femminile ‘guerriero’. Un nome che diventa un
simbolo e che sarà dato alla protagonista del romanzo. Tra l’altro potrebbe
esserci un fondo autobiografico dell’autore rispetto alla propria famiglia
nell’identificazione con Elissa e il marito, di funzionari nazionalisti e seguaci
di Boughiba, engagés; mentre il nostro autore, ingegnere di
formazione, è diventato intellettuale per passione, elementi che si ritrovano
nei personaggi del libro e che hanno segnato la vita e la cultura di Hamouda.
Qualcuno dice che un lavoro grande come creare una civiltà non potrà essere
certamente svolto interamente da una donna; ma Elissa/Didone conoscendo la fame
e l’impazienza degli uomini, risponde che sarà possibile. La lezione che ne
deriva – è questo il valore aggiunto – non è una prova di forza, tanto meno di
alterigia; piuttosto una lezione di accoglienza: se il progetto può essere di uno
solo, la costruzione è sempre corale.
L’autore
confessa che alcuni lettori si chiederanno perché racconta questa storia,
dilungandosi, quando la leggenda è ben nota. “Per prima cosa, direi perché sono
sempre innamorato della mia Bien-aimée! E’ un modo come un altro di celebrare
la sua memoria in occasione di una prima testimonianza…” Inoltre - ci informa
l’autore - di aver voluto parlare dei “valori che dovrebbero presiedere nella
nostra società… Infine, ho voluto portare, tanto come testimone quanto come attore,
la mia versione su questo periodo che costituisce in ogni caso,
concediamoglielo, un atto fondatore”. La storia, secondo Hamouda, è infatti una
grande maestra perché per gli uomini esiste rispetto alla tradizione un
attaccamento dal quale trarre affidamento. In fondo se ci pensiamo la
traduzione è ambigua: quando si pensa alla storia si pensa agli accadimenti
realmente avvenuti e in tal senso la storia è maestra di verità; quanto al
raccontare una storia come gioco di fantasia. Qualcosa vorrà pur dire.
L’autore
fa trapelare anche una critica agli intellettuali, quanto mai attuale a mio
parere, dal momento che sulla storia pesa la cultura con la propria
responsabilità di non aver osteggiato le dittature e limitato con quella che
dovrebbe essere la sua vocazione ontologica, il pluralismo, l’affermarsi del
partito unico. Una delle osservazioni – introdotta come nota del narratore – è
che il destino dell’Oriente è di affermarsi attraverso guide singole, ovvero
personalità eccezionali, magari, e proprio per questo distanti dal creare un
sistema democratico.
Nel
testo aleggia anche un amore per la bellezza che ricorda la celebre frase ‘la
bellezza salverà il mondo’ del Principe Minsk ne’ “L’idiota” di Fedor
Dostoevskji, riproponendo una sacralità dell’universo che ci fa dire che può
essere soltanto opera di un creatore. Questa speranza iniziale si flette nel
viaggio dei protagonisti che resta incompiuto.
Zitoyen!
ou la generation nomade
Med Ridha Ben Hamouda
Sud éditions, Tunis
Stampa Finzi
15,00 DT – 15 Euro
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